Matrimonio gay all’italiana  –  di Clemente Sparaco

Il governo italiano si appresta a varare un disegno di legge per regolarizzare le unioni omosessuali. Così l’Italia si allinea agli altri paesi europeiPer il momento non si usa il nome matrimonio, ma il più esotico ed intrigante “civil partnership“. Né si concede alle coppie gay di adottare, ma si riconosce che i partner hanno tale diritto nel caso che un bambino sia biologicamente figlio del compagno (come da sentenza del 20 febbraio 2013 della Corte europea dei diritti umani di Strasburgo). Si va, quindi, verso una soluzione che scimmiotta le legislazioni “dei più progrediti ed evoluti” paesi europei, facendo nel contempo attenzione a mediare fra i diversi interessi politici in gioco. Si procede, in ogni caso, verso la cancellazione dell’eterosessualità come requisito fondamentale del matrimonio.

di Clemente Sparaco

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zzrnzfncIl sesso denaturato

Ma come si è potuto arrivare a tanto in un paese come il nostro in cui la famiglia è stata da sempre valore unificante e caratterizzante?

Possiamo rispondere che l’individualismo che pervade ormai il comune sentire ha provocato una sorta di mutamento antropologico. Si è prodotta, infatti, una miscela di materialismo, utilitarismo e ideologia edonista della realizzazione di sé da parte di se stessi, il tutto condito dalle note dell’egualitarismo ideologico. Non a caso, “Mariage pour tous!” è stato lo slogan con il quale in Francia si è promossa l’elevazione dell’unione omosessuale al rango di matrimonio.

A fare da sostegno a questa mutazione antropologica c’è la teoria del gender.

Essa è una cartina di tornasole per comprendere la modernità liquida (l’espressione è del sociologo Zygmunt Bauman). Alla tradizionale e solida distinzione tra uomini e donne basata sul sesso (“retrograda e materialistica concezione genetico-biologica-fisico-anatomica”), da cui deriva la trasmissione della vita, la teoria del gender sostituisce una vera e propria moltiplicazione dei generi (omosessuale, bisessuale, transgender, trans, transessuale, intersex, androgino, agender etc. – in tutto, 23, secondo l’Australian Human Rights Commission). Il sesso non sarebbe, quindi, che una variabile scaturente dalla scelta dell’individuo. Pertanto, si preferisce adoperare, in luogo di sesso, l’espressione, contorta e cervellotica, di “orientamento sessuale”.

Ma è già da tempo che il libertarismo nichilista ha tolto al sesso ogni velo romantico. Non c’è, infatti, suo territorio che non sia stato esplorato né segreto che non sia stato svelato. Le sue dinamiche sono esibite senza ritegno e pudore. Le sue fantasie sono governate esclusivamente dal piacere. Assimilato sempre più ad una tecnica, in cui poco è concesso all’immaginazione, ha smesso non solo di essere un tabù, ma anche di sorprendere ed incantare. Si è trasformato, quindi, in un diritto che non sopporta discriminazioni né restrizioni.

Così mal messo, il sesso, da collante di strutture sociali durature (“finché morti non ci separi!”), è divenuto l’elemento tipico della modernità liquida a livello personale, qualcosa di deregolato e assolutamente privatizzato: non più assunzione di responsabilità e osservanza di un obbligo, ma disimpegno e gioco irresponsabile; non più dono di sé, ma esazione di una spettanza; non più accoglienza dell’altro, ma mezzo di gratificazione esclusivamente individuale (“finché mi va!”).

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Il matrimonio scoppiato

Anche il matrimonio ha subito i contraccolpi della modernità liquida.

Da sempre aveva avuto la funzione fondamentale di preservare, trasmettere e custodire la vita. Lo evidenzia il termine latino matrimonium, che è composto dalle parole mater (madre) e munus (compito), a dire che esso era compito della madre e, quindi, connesso alla maternità. Né la maternità era intesa in senso meramente biologico, perché il matrimonio era investito della fondamentale funzione educativa (la nascita civile dell’individuo). Ed era, a sua volta, chiaro che discendeva dall’unione stabile, costituita, riconosciuta, tra un uomo e una donna, in quanto unica unione fertile.

Lo si riscontra anche nella nostra Costituzione che, dopo aver riconosciutoi diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio” (art. 29), la mette in relazione con la procreazione e con “il dovere e diritto dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio” (art. 30). C’è da osservare (circa l’art. 29) che il testo afferma che la Repubblica riconosce i diritti della famiglia, quasi a rimarcare che non li istituisce, perché la famiglia precede lo Stato, e non viceversa. Lo Stato ne prende semplicemente atto.

Su cosa poggi è dichiarato con estrema chiarezza: è “fondata sul matrimonio”; dunque, su un’istituzione ben precisa, collaudata da millenni di storia, sia pure con accezione diversa, ma sempre come fatto pubblico, celebrato e riconosciuto.

Ma il matrimonio, oggi che l’emancipazione sessuale ha portato a separare le relazioni sessuali dalle relazioni coniugali, è stato ridotto, circoscritto, a mero riconoscimento di un legame affettivo quasi disincarnato. E’ stato, poi, ulteriormente impoverito, quando il legame tra matrimonio e procreazione è stato sciolto. Ci si unisce, infatti, dilazionando, allontanando o rifiutando del tutto la procreazione o si procrea,  negli ambienti asettici della fecondazione medicalmente assistita, senza unirsi.

Il nido familiare, già luogo di una relazione affettiva forte, densa di impegno e di condivisione, è stato demolito. La legge sul divorzio lo ha sancito. La proposta di legge sul divorzio breve (votata dalla Camera a maggio) si avvia, infine, a ridurre i tempi di scioglimento: non più tre anni, ma sei mesi per le consensuali, connotando sempre più il matrimonio come un prodotto di facile consumo.

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Il figlio rivendicato

Negli anni ’60 e ’70 l’emancipazione sessuale aveva separato di principio l’atto sessuale dalla riproduzione, impoverendo il matrimonio del fondamentale legame con la procreazione. La decisione di avere o meno un figlio era stata, quindi, attribuita all’esclusiva determinazione della donna (“l’utero è mio e me lo gestisco io” era lo slogan delle femministe). Poi, in ragione delle nuove possibilità offerte dalla fecondazione artificiale, la fecondità è stata del tutto rinviata alla sfera del calcolo decisionale (“Il bambino quando lo voglio e come lo voglio!”).

La FIVET ha reso possibile una fecondazione programmata e monitorata nei laboratori e “una genitorialità senza corpo, senza sesso e senza relazioni naturali” (Eugenia Roccella su Tempi del 7-7-2014). Quanto al figlio, esso ha potuto assumere caratteristiche sempre più rispondenti al prodotto finale di una filiera biomedica. E’ stato immesso in una logica di produzione e considerato come una derrata, che si poteva tanto congelare, quanto, una volta scaduta, scartare e distruggere.

La fecondazione eterologa ha prodotto, poi, un ulteriore stravolgimento, non solo perché ha permesso a chi in passato ne era escluso di accedere alla fecondazione, ma anche perché ha ulteriormente separato il significato unitivo da quello procreativo. In tale contesto, è potuta avanzare l’idea innaturale di fare figli senza l’altro sesso.

Contestualmente, la pretesa di avere figli ad ogni costo è stata considerata come diritto di tutti. Si è giudicata, quindi, discriminatoria non solo ogni distinzione fra coppie fertili e infertili, ma anche fra coppie eterosessuali ed omosessuali. Le restrizioni alla fecondazione eterologa (legge 40/2004 sulla procreazione assistita) sono via via cadute in ragione di alcune sentenze della Magistratura. In particolare, la sentenza n. 162 della Corte Costituzionale del 9-4-2014 ha giudicato incoercibile la determinazione di avere figli da parte di una coppia, indipendentemente dalla sua omosessualità.

L’immagine del figlio che si è andata profilando è divenuta sempre più rispondente “alla figura del bisogno affettivo, emozionale, psicologico, da soddisfare, a qualunque costo” (Adriano Pessina). Ma, equiparato il figlio all’oggetto di un bisogno, lo si è immesso nel punto di raccordo fra una logica economica, perché un bisogno ha un costo di soddisfazione, ed una logica giuridica, per cui se esso è un bisogno primario, sarebbe discriminatorio ammettere alcuni ed escludere altri dalla sua fruizione. Siamo al figlio rivendicato come un diritto, al diritto al figlio, ad una mostruosa cosalizzazione del bambino, che diventa addirittura oggetto di contenzioso fra coppie.

Qui si innesta la rivendicazione da parte delle coppie gay del diritto di adottare.

Il problema, infatti, non è tanto l’adozione di un minore esterno alla coppia, quanto la possibilità di adottare il bambino biologicamente figlio del compagno. Ora, questa possibilità è direttamente funzionale all’eterologa, che permette che il bambino appartenga geneticamente ad almeno uno dei partner. Nel caso di coppia femminile, infatti, una delle partner, il cui ovulo sia stato fecondato dallo spermatozoo di uno sconosciuto, è madre biologica del bambino. Nel caso di coppia maschile, uno dei due sarà padre biologico, avendo fecondato una donna disponibile a “dare in affitto” (a pagamento!) il suo utero. Connesso a queste pratiche si sta creando (nei paesi in cui è già in vigore la legge) tutto un indotto, un vero e proprio mercato della genitorialità con tanto di cataloghi da cui selezionare le donatrici (o i donatori), con tanto di “mediatori competenti, avvocati, contratti, pagamenti, penali da pagare se il contratto non è rispettato” (Eugenia Roccella su Tempi).

3 commenti su “Matrimonio gay all’italiana  –  di Clemente Sparaco”

  1. Se non ci fosse l’ Europa, non si arriverebbe a snaturare in modo cosi coercitivo l’ idea di famiglia e sessualita’. L’ attacco alla famiglia tradizionale e’ un attacco frontale alla chiesa cattolica come mai prima si era visto, neanche la rivoluzione francese pote’ tanto. La violenza con cui si propugnano certe tesi e’ tanto dissimulata quanto nefasta. Colpisce che la chiesa, nella sua felpata prudenza e secolare saggezza, faccia finta di non capire fino ad assecondare posizioni che non solo, non sono omologabili alla tradizione, ma neanche al buon senso.

  2. Da una logica mostruosa come questa non si scappa : se il bambino diventa un oggetto di consumo programmabile , prenotabile , acquistabile , prima o poi diverra’ anche svendibile , scambiabile, eliminabile a piacimento , con annessa la facolta’ di prestarlo , cambiargli i connotati fisici e psichici , sesso compreso, e di fare causa legale a chi l’ha prodotto se non dovesse riuscire come si era desiderato , o se dovesse dare ‘ problemi ‘ . L’ infanticidio pre e post-parto sara’ equiparato a restituire l’auto in garanzia se non funziona bene . E’ poi inesorabile che il matrimonio , quale diritto ‘ incoercibile’, una volta svuotato della sacralita’ del sacramento , potra’ avvenire con un numero a piacere di uomini , donne , animali , piante , oggetti e – perché no ? – la luna o i pianeti . Ci aspettano ideologie spaventose , di fronte alle quali quelle degli ultimi secoli appariranno infinitamente piu’ ‘umane’ e piu’ ‘ vere ‘. Dio aiuti noi e soprattutto i posteri .

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