di Piero Vassallo
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Accomunati al destino della teologia tradizionale, che il rispetto umano ha tentato di nascondere sotto il plumbeo tappeto del Vaticano II, numerosi protagonisti del luminoso Novecento cattolico, ad esempio Cornelio Fabro, Giorgio Del Vecchio, Francesco Orestano, Antonio Messineo, Nicola Petruzzellis, Salvatore Riccobono, Giovanni Papini, Domenico Giuliotti, Piero Bargellini ecc., sono stati consegnati all’inceneritore della memoria, funzionante nell’allegro (gay) cimitero delle moderne rivoluzioni.
Soltanto la memoria di alcuni ispirati autori è tenuta desta nei margini presidiati dalla minoranza refrattaria ai comandi degli inquisitori neomodernisti, agitati dai rumorosi terremoti, in atto presunto e immaginario nei sussulti agonici di un mondo appestato dall’insignificanza e dal delirio.
Per effetto dell’esemplare attività controcorrente del palermitano professore Tommaso Romano, della generosa e irriducibile tribù dei Falzone-Tricoli e per l’attività dei giovani e instancabili ricercatori nella loro scuderia, la memoria del filosofo e letterato siciliano Pietro Mignosi (1895-1937) ha trovato stabile asilo nel catalogo degli autori cattolici, sottratti all’oblio comandato dal clerico-progressismo.
Nell’arco di quattro decenni, 1973-2013, l’opera di Mignosi è stata oggetto di numerosi saggi e articoli scritti o pubblicati e diffusi dal prof. Romano, e di importanti convegni promossi a Palermo dalla fondazione Thule, che, senza sosta, persegue il fine di sottrarre alla censura la memoria degli scrittori siciliani refrattari.
Un prezioso contributo agli studi mignosiani è offerto in questi giorni anche dalla professoressa Maria Elena Mignosi Picone, autrice di un prezioso e avvincente saggio, “Così è … anche se non vi pare Il paradosso di Pietro Mignosi letterato”, edito in Palermo da Thule.
L’autrice, che, oltre una straordinaria sensibilità per le letteratura, vanta, con orgoglio legittimo, la parentela con Pietro Mignosi, disegna un veritiero e affascinante profilo del singolare filosofo e letterato siciliano.
Un ritratto che fa risalire dal passato il profumo del cattolicesimo intransigente, attivo in una stagione immune dalla debilitante e languorosa passione per il compromesso con l’errore: “Semplice, profondo, incline alla vita interiore, un po’ malinconico”, scrive l’autrice. “Ma non triste, né complicato, anzi era compassionevole e pronto a venire incontro ai poveri ai deboli e agli oppressi. Amava gli ultimi. Li sapeva comprendere. I peccatori. Non usava critica o condanna verso di loro ma compassione. Senza perciò essere debole. Non era debole. Tutt’altro. Aveva un carattere forte. Era fermo, energico, fino ad essere polemico e battagliero – Difendeva con vigore le sue idee, che badava bene fossero sempre conformi alla parola di Dio. Era profondamente religioso. Di una religione vissuta innanzi tutto, e poi limpida, autentica, genuina”.
L’elogio dell’autrice, peraltro, riflette l’attestato di stima sottoscritto da mons. Giuseppe Petralia, il quale afferma: “E’ Mignosi di quegli ingegni poderosi che si innestano a una volontà forte e a volte violenta, a una fantasia lussureggiante e a volte frondosa, a un sentimento profondo e a volte ruinoso e torbido. E’ tale quest’uomo che quando vede una faccia del vero, si volge a lei con impeto, anzi con bramosia, e ne afferma la bellezza con violenza, non esitando dinanzi al paradosso”.
La limpida fede di Mignosi, d’altra parte, era alimentata da un virtuoso e precocissimo desiderio di conoscere la letteratura e la filosofia contemporanea.
Nel carteggio con Piero Bargellini, Mignosi confessa la curiosità che vivacizzò gli anni della sua infanzia: “La mia prima lettura (quella che ricordo perché risale ai sei anni) fu nei Promessi sposi. Il castello dell’Innominato. In prima ginnasiale lessi Marco Visconti. Ma il più bel libro della mia infanzia, quello che segnò il mio destino di poeta sentimentale, fu il “Cosimo” di Daudet. Anche oggi lo ritengo un capolavoro. A dodici anni cominciai coi primi libri di filosofia, “Il discorso del Metodo” di Cartesio e il primo volume “Dell’uomo” del Liberatore”.
Lo straordinario vigore dell’ingegno accelerò il corso degli studi: Mignosi si laureò, con una tesi d’alto spessore, in filosofia teoretica, al termine di sole tre sessioni.
Prima della laurea, purtroppo, ci fu la partecipazione alla Grande Guerra, durante la quale lo scoppio di una granata ferì gravemente agli occhi e alle orecchie Mignosi, causandogli disturbi e malesseri che lo scompagnarono per il dolente resto della breve vita.
Dopo un triennio di insegnamento in scuole di provincia, Mignosi vinse il concorso per una cattedra nei grandi centri e scelse il liceo Vittorio Emanuele II di Palermo, dove insegnò dal 1923 al 1936.
Purtroppo l’attività di Mignosi fu ostacolata e molestata dalla presenza subdola e ostile di iniziati ai disgraziati misteri della massoneria e dalla sordida invidia dei clerico-modernisti.
Mignosi tuttavia ottenne ambiti riconoscimenti dai protagonisti della cultura italiana, fra i quali Luigi Pirandello e Francesco Orestano. Pirandello, ricevuta copia di un saggio critico di Mignosi, rispose: “Caro Mignosi, ho letto con crescente commozione il suo libro su me (non so dire più sulla mia opera). Le sono profondamente grato di averlo scritto”.
Di seguito il grande drammaturgo, alludendo ai malumori che l’invidia bigotta rivolgeva contro Mignosi, avvertiva: “Saranno ritenute legittime le sue conclusioni? non sarà lei amareggiato per averle tratte da un’opera che finora neanche i più benevoli han voluto riconoscere ispirata almeno da un libero e schietto amore per la vita? Ne avrei un gran dolore per lei, caro Mignosi“.
Pirandello, icona insicura dello scetticismo da palcoscenico, concludeva la lettera a Mignosi confessando con sincero candore: “sono stato uno strumento puro, credo nelle mani di Qualcuno sopra di me e di tutti. Il resto non ha importanza…”
L’accademico d’Italia Francesco Orestano celebrava Mignosi con i seguenti, impegnativi giudizi: “La scomparsa di Pietro Mignosi mi ha profondamente addolorato. Le molte opere da lui lasciate non potranno sostituirlo presso di noi, che amavamo oltre che il pensatore l’uomo e attendevamo fiduciosi ogni documento della sua attività intellettuale, sempre più dalla sua vivente sintesi di pensiero e di fede, di sapere e di bontà, di scienza e di umanità“.
Ada Negri, infine, scriveva: “Io non so e non posso in questo momento ricordare se non il Cristiano puro e l’Amico affezionato. … Non mi usciranno mai dalla memoria il suo parlare concitato, il bel viso ardente, la ricchezza e la novità delle idee da lui espresse, quantunque fosse difficile seguirlo nella rapidità del discorso”.
La magnifica opera di Maria Elena Mignosi Picone, in definitiva, segna una tappa lungo il difficile e contrastato cammino della Riconquista cattolica, in atto grazie al coraggio di studiosi della sua tempra. Il suo saggio può e deve figurare nella biblioteca dei cattolici che non intendono ammainare il vessillo in cui la fede è coniugata con la ragione e con l’amore del bello e dell’onesto.