Memoriae tradere. Firenze. Testimoni veri e falsi del XX secolo – di Pucci Cipriani

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MEMORIAE TRADERE. Rubrica del sabato, a cura di Pucci Cipriani

sabato 3 ottobre 2015

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FIRENZE. TESTIMONI VERI E FALSI DEL XX SECOLO  –  di Pucci Cipriani

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Anche nella nostra Firenze ci sono stati grandi Testimoni del XX Secolo, il Secolo delle due Guerre, il Secolo dei totalitarismi (Comunismo – Fascismo – Nazismo), il Secolo dei campi di concentramento e dei Gulag…altri potranno forse ricordare la Seconda Guerra Mondiale, la Resistenza, la ricostruzione del dopoguerra e, non solo, quella politica, ma anche quella spirituale.

Sì, e, invece, andando avanti si avverava quella che era stata (non la chiamo profezia perché il mondo pullula di falsi profeti) un’intuizione del nostro caro Giovannino Guareschi: “…L’Italia aveva cominciato la battaglia per la rinascita che consisteva nel ricostruire le case distrutte e nel distruggere ciò che era rimasto del patrimonio spirituale” (Cfr. “Vita con Gio'” di G. Guareschi)

Ebbene, io ricordo il Sessantotto, a Firenze, in Italia, nel mondo… ricordo mandrie di assatanati che andavano distruggendo e sprangando al grido di “Lotta dura…senza paura” e ricordo, assai bene, anche a Firenze il Sessantotto della Chiesa: la contestazione  dell’Isolotto, la cosiddetta “Comunità” di base che farà guerra al cardinal Florit e alla Chiesa, ricordo i prodromi di quell’epoca tremenda con don Milani e p. Balducci che proclamavano “l’obbedienza non è più una virtù”… e ricordo il Calvario del nostro cardinale arcivescovo e del suo coadiutore Mons. Giovanni Bianchi, che dovettero portare la pesante croce della contestazione… E ricordo la folla di contestatori organizzati dalla Sinistra estrema e indottrinati dai preti rossi dare l’assalto alla Curia. Ricordo il nostro vescovo “preso in ostaggio” dentro ‘arcivescovado e il suo umiliante interrogatorio da parte della canaglia della Comunità isolottiana e le offese contenute nei cartelli agitati in piazza “Florit vattene!” etc, etc.

Florit e Bianchi, intrepidamente, affrontarono – con un mondo che remava contro di loro…ecclesiastici compresi – la tempesta e tennero alto il Vessillo della Fede, la Croce di Cristo.

Pensavo che la Chiesa di Firenze proponesse ai fedeli  queste due figure, insieme ai “grandi” cattolici che onorarono, nelle lettere, nelle arti, e con la loro testimonianza cattolica la Fede… no, invece ci vengono additati come esempi da seguire lo scolopio p. Balducci e don Lorenzo Milani.

Parce sepultis…verrebbe da dire anche perché il giudizio su questi due personaggi spetta al Signore. Quindi non manchi la nostra preghiera neppure per loro. E soprattutto non manchino le nostre preci per i nostri due Pastori (il Cardinale Ermenegildo Florit e Mons. Giovanni Bianchi) che con la loro testimonianza coraggiosa ci hanno tramandato integra la loro Dottrina. Dimenticati dagli uomini ma cari al Signore!

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Il testimone dimenticato

“In tante occasioni, specialmente quando la solitudine…pesava di più sul suo cuore, ho potuto conoscere e ammirare la qualità più bella del cardinale Florit, che secondo me è stata la fede. Nei momenti dolorosi, non infrequenti specialmente dal 1967 all’anno della sua morte, il 1985, quante volte l’ho visto ricorrere al “suo” San Paolo! Nel  periodo del ritiro, poi, presso  l’Istituto fiorentino di Maria Riparatrice, in via Gino Capponi, quando la pressoché totale cecità sopravvenuta gli aveva tolto anche la possibilità di leggere e quindi di riprendere – come aveva sognato – gli amati studi biblici, suo conforto fu l’adorazione eucaristica. Aveva amato la Chiesa (che)…era per lui la “Comunione dei Santi” , l’inizio ancora faticoso e tormentato del Regno di Dio nel mondo, la comunità gerarchica che dovrebbe avere come preoccupazione primaria la gloria del Signore e l’aumento numerico e qualitativo di coloro che nella terra vivono nella sua grazia. E’ questo, pensava Florit, il seme della speranza destinato a morire per dar frutto, a vantaggio di tutti, anche di chi non crede o non ha incontrato Gesù. E’ un messaggio spirituale sempre valido, ma in particolare in tempi di secolarizzazione  e secolarismo come il presente.”

(Cfr. Mons. Paolo Ristori : “L’Uomo Florit” in Marcello Mancini – Giovanni Pallanti : “La preghiera spezzata. I cattolici fiorentini nella seconda metà del ‘900”  – LEF  2010 – ) 

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Cardinale Ermenegildo Florit, Arcivescovo di Firenze (Fagagna 5 luglio 1901 – Firenze 8 dicembre 1985)

Vescovo coaudiutore di S. Em. il Card. Elia dalla Costa, Arcivescovo di  Firenze, quindi arcivescovo. Portò, insieme a Mons. Giovanni Bianchi, prima Vicario della Diocesi, quindi Vescovo ausiliare, la pesante croce della contestazione ecclesiale a Firenze. I “preti rossi”, ribelli a Roma, saranno particolarmente attivi nella Diocesi che fu di Sant’Antonino e il Card. Florit dovrà fronteggiare il profeta dell’odio don Milani (che era stato mandato “in esilio” a Barbiana dal Card. Dalla Costa), poi la cosiddetta Comunità ecclesiale di don Enzo Mazzi (Borgo San Lorenzo 1927 – Firenze 2011 – il prete mugellano morì senza riconciliarsi con la Chiesa, volle il funerale civile e fece cremare la sua salma) all’Isolotto, p. Ernesto Balducci (pare che dietro la contestazione dell’Isolotto ci fosse la sapiente regia dello scolopio fiorentino), don Salucci, Don Gomiti etc. etc., che furono i precursori degli odierni contestatori: don Marco Zanobini che nella sua “sinagoga” invece di celebrare l’Eucarestia celebra la festa dei “Purim” e si batte contro il celibato portando a “indottrinare” i fedeli il prete sposato ed eretico don Curtaz, don Santoro, il fautore delle nozze pederastiche che celebra (si fa per dire!) nella sua parrocchia alle Piagge, dalla quale nonostante le sue dichiarazioni eretiche, nessuno ha il coraggio di “mandare a far radicchio”, don Bigalli che, invece del matrimonio religioso celebra il matrimonio civile… in Comune, don Jacopuzzi, che ha creato il rito buddista, infine don Stinghi che durante l’Offertorio, in una sorta di parodia della Messa cattolica, inneggia a Maometto… per non parlare dei “Signori del Forteto” i quali hanno in don Milani il loro Maestro (clicca qui su Il Covile per conoscere “Il Forteto”), don Maurizio Mohamed Tagliaferri – l’allievo del famigerato don Lelio Cantini (il preteporco della Regina della Pace)  e della “veggente” Rosanna Severi, che è riuscito a rendere deserte le chiese borghigiane e, quando non sia impegnato a cantare i versi del Corano in Moschea o nelle settimane bianche con la “papessa” Giovanna (veggente?), la ex sciampista ( che tiene banco a tavola, pontifica con il placet del “capo” e fa scappare tutti gli altri preti da Borgo) che sceglie e prepara le “donne” che dovranno diventare (lecitamente?) Ministre del culto, passa il suo tempo a fare agguati, ad aggredire violentemente persone, a offendere e a sparlare dei suoi “rarissimi” fedeli ….

Il Cardinal Florit, un illustre biblista che al Concilio aveva fatto parte del “Coetus Internationalis Patris”, i vescovi fedeli alla Dottrina e alla Fede di sempre, dovette subire grandi umiliazioni dalla masnada di ribelli e, in particolare da don Milani e da p. Balducci, che oggi la Chiesa fiorentina indica come “Testimoni della Fede” (sic!!!).

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I testimoni scomodi

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(ANTICRISTO) Nacque con Cristo e sparirà con la scomparsa dell’ultimo cristiano.

Quando avrà sconfitto il Cristianesimo, immediatamente sarà sconfitto. Così è stabilito, così sarà. Il trionfo finale di Cristo sarà preceduto dal trionfo mondiale dell’Anticristo. La sua lotta con il Divino Antagonista non è mai cessata; incominciò con la passione; continuò, nei primi secoli, con le sette filosofico-religiose; culminò con l’arianesimo; si riaccese sempre più vasta , con Maometto, con Lutero, con la Rivoluzione Francese, ed infine, ai giorni nostri, col Bolscevismo.

Ma l’incarnazione suprema della Bestia non s’è vista ancora. Però sembra già esser nell’aria il suo fiato. 

Io fermo due preti, tre preti, cento preti, mille preti; e domando loro se non avvertano qualche cosa che annunzi l’avvicinarsi degli Ultimi Tempi. Mi guardano; sorridono di compassione; credono che io sia pazzo. Non ho bisogno d’altro; ho capito: essi sono stati anche troppo chiari. Nella loro sordità, nella loro cecità, e nel loro stupido sorriso  già s’avvera la profezia divina: “Veruntamen Filius hominis veniens, putas, inveniet fidem in terra?”

(Giovanni Papini – Domenico Giuliotti : “Dizionario dell’omo salvatico” – Ed. Vallecchi 1923 )

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.Giovanni Papini (1881 -1956)

Forse il più grande (e volutamente dimenticato, dopo la sua conversione al cattolicesimo) scrittore del XX Secolo. Dopo aver predicato l’interventismo e la “guerra come pulizia” e aver fatto professione di ateismo, nel 1921 scriverà quel grande capolavoro, “Storia di Cristo”, che tanto scosse allora (e continua a scuotere tuttavia) gli animi della gente. Nel 1922 gli fu offerta una Cattedra all’Università Cattolica ma lui la rifiutò, ricordando che l’insegnamento nelle scuole non gli era congeniale (aveva insegnato solo per pochi mesi nella Scuola Elementare). Quindi, con Domenico Giuliotti, iniziò la stesura dello stupendo : “Dizionario dell’Uomo Salvatico”. Fondò la rivista cattolica “il Frontespizio”, che ebbe tra i suoi redattori Bargellini, Casini, Giuliotti, Tirinnanzi, etc, in cui si faceva “la fronda” al Fascismo e in cui Piero Bargellini con  il “nom de plume” Petrus Magister (” mi chiamavo Piero ed ero, infatti – scrive – maestro elementare”) polemizzava, difendendo le Insorgenze antigiacobine toscane dei “Viva Maria” che lui vedeva come un moto religioso popolare, con Alberto Luchini che sul fascista “Il Bargello” tacciava i Viva Maria di reazionari, affermando che quelle insorgenze in difesa della Santa Fede e della Monarchia erano invece fatte per “il pane” dal “popolo bue”.

Pur avendo aderito al Fascismo, Giovanni Papini si batté contro il razzismo. Ricordiamo un suo famoso “pezzo” contro il razzismo apparso su “Il Frontespizio” dal titolo : “Razzia dei razzisti” dive , tra l’altro, lo scrittore cattolico fiorentino scrive : “Il razzismo non è che una camuffatura – un insieme di scienza sbagliata e di storia falsificata – della eterna superbia germanica”.

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Quando è morto, nella sua Greve il 12 gennaio 1956, quasi ottantenne, è stato come se rinascesse non solo nel senso soprannaturale, ma anche in quello letterario. Tutti, d’ogni parte e tendenza, hanno dovuto riconoscere che, con Domenico Giuliotti, spariva uno dei più forti e originali scrittori italiani. La sua figura è balenata all’improvviso , in quella luce che, col tempo, se resiste, prende il nome di gloria…egli, quasi solo nel campo della letteratura, ebbe il coraggio e la forza di rimontare il fiume melmoso dell’anticlericalismo, gridando… che non era possibile spiritualità fuori del Cristianesimo, che non esisteva Cristianesimo fuori del Cattolicesimo, proclamando ” esteriore ” tutto ciò che si trovava fuori della Chiesa.

(Piero Bargellini nella presentazione dell’opera di D. Giuliotti : “Il Malpensante” -Ed. Vallecchi 1957 -)

Tu, essendo prete, stai in alto. Tuttavia, benché in alto, sei congiunto per invisibili fili alle sottostanti anime, che devi sollevare dallo sterco alla gloria. Ma lo fai? Se non lo fai, sei, nello stesso tempo – essendo prete – deicida, omicida e suicida. Pensaci!

(D. Giuliotti – Il malpensante – ed. Vallecchi 1957)

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Domenico Giuliotti (San Casciano 1877 – Greve in Chianti 1956)

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“L’amore ha il carattere dell’assoluto; rifiuta d’essere relativo. “Amore e morte”, il binomio degl’innamorati, fatto proprio dai poeti, è valido perché composto da due assoluti, l’amore e la morte.”Amore e divorzio” è un falso binomio, composto da due realtà non omogenee, perché l’amore è un assoluto e il divorzio un relativo. Viene perciò rifiutato dagli innamorati e conseguentemente anche dai poeti”.

(Piero Bargellini : “Le ragioni dell’amore”  in “Il Matrimonio” – Ed. Paoline 1962)

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Piero Bargellini (Firenze 5 agosto 1897 – Firenze 28 febbraio 1980)

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 E’ il cantore cattolico di Firenze (Vasco Pratolini è il pur bravissimo cantore “laico” di Firenze) autore di numerosissime e godibili opere tra cui dobbiamo ricordare “Pian de’ Giullari – Panorama storico della Letteratura Italiana” (Vallecchi) in tre volumi ; “La Magnifica Storia di Firenze” e, infine “Un Santo al Giorno” . Fu Direttore de “Il Frontespizio” e, con il “nome de plume” di Petrus Magister, scrisse sui Viva Maria, esaltandone le gesta, in contrapposizione agli scritti contro il Movimento Sanfedista, di Alberto Luchini, apparsi sul “fascistissimo” “Il Bargello”.

Coerente e coraggioso: si ricorderà negli anni Settanta la sua battaglia in difesa del matrimonio indissolubile, contro il divorzio. Dette la sua testimonianza di Fede anche con l’impegno politico e viene ricordato da tutti come “il Sindaco dell’alluvione”.

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(La Corona del Rosario)

Così, con te e te soltantoscenderò nella tomba, giacerò con quelli che dissero come me, prima di me o insieme a me, il Rosario. E mi parrà di dirlo ancora, con essi, di ripassar con essi i misteri della vita, della morte e della risurrezione…Tu legherai ancora le mie falangi quando le mie carni saranno fieno…e cancellatesi, perdutasi di me ogni memoria tra gli uomini, di me si dirà, e sarà la mia gloria: “Era uno che diceva il Rosario”.

Così possa trovarmi l’angelo che tuonerà : “Il tempo è finito: tempus non erit amplius”, e tornerà il fieno in carne per chiamarla in giudizio! Così possa trovarmi, e così ammanettato, legato fra le tue ritorte, condurmi al gran tribunale! Così, e io non avrò da temere, avendo nelle mani la mia difesa, in te la mia avvocatura; il memoriale di ciò che, Maria mediante, Dio fece perché fossi salvo. Così, la corona della mia vita, la corona della mia morte, si cambierà nella corona della mia eternità.

(Tito Casini : “Il Rosario” – ed. Pucci Cipriani, Firenze 1973)

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Tito Casini (1897 – 1987)

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Scrittore cattolico di Firenzuola, il paese “figlio di Firenze”, noto per la purezza della lingua, inizio’, dopo la laurea in giurisprudenza, la pubblicazione di alcuni racconti in una silloge : “La bella stagione” che ebbe subito gran successo di pubblico e a cui seguirono molte altre opere di narrativa e di agiografia. Collaborò, su richiesta di Papini al “Frontespizio” e fu apprezzato per la sua prosa ” che sa di Mugello e di trecento” (come scrisse lo stesso Papini) . Penna agile e felice, con la “Tunica Stracciata” iniziò la pubblicazione di una serie di libri in difesa della Fede, della Dottrina di sempre e  della liturgia tradizionale contro le riforme fatte dai “nuovi barbari”.

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I testimoni falsi profeti

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Caro Gianni,

tre minuti dopo la tua partenza ho esaminato attentamente il bagaglio di idoli che mi avevi infranto..della CISL mi hai insinuato il sospetto d’infiltrazioni dell’area del dollaro. Dell’Acli massa di manovra ecclesiastica . Di Fanfani conformismo. Di La Pira paternalismo. Dell’Aci (Azione Cattolica Italiana n.d.r) merda. Di Pio XII merda. Di De Gasperi merda. di Adesso merda.

(Lettera di don Lorenzo Milani all’amico Giampaolo Meucci (Il Presidente del Tribunale dei Minori di Firenze, quello che mandava “carne fresca” agli orchi de “Il Forteto” – da San Donato 21 – 06 – 1952)

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don Lorenzo Milani (Firenze, 27 maggio 1923 – Firenze, 26 giugno 1967)

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Per avere un’immagine chiara del cattocomunismo e del donmeuccismo fiorentini, clicca qui

Una testimonianza dell’ispettore ministeriale della Pubblica Istruzione prof. Enrico Nistri:

Di don Milani, in molte opere di taglio agiografico, si è parlato come di un eroe del nostro tempo, come dell’illustre rampollo di una famiglia di famosi filologi che, come una sorta di moderno Prometeo, ha portato ai ceti meno abbienti il dono della parola, la conoscenza del preciso significato dei vocaboli, dalla quale, per una congiura millenaria, sarebbero stati esclusi. In realtà, seguendo il suo breve ma intenso curriculum vitae quale è stato ricostruito anche da opere apologetiche come la biografia a firma di Neera Fallaci, non è difficile rendersi conto che la sua è stata un’esperienza più complessa e travagliata. Dapprima gli studi, relativamente facili per il figlio di una ricca e colta famiglia di professori universitari, poi una ribellione al mondo borghese comuni a tanti altri adolescenti: una ribellione, nella sua prima fase, essenzialmente esteriore, consistente – come ricordò il suo coetaneo Oreste Del Buono – nell’usare un linguaggio sboccato all’epoca poco usuale e nel fare la bohème in uno studio col portiere gallonato all’ingresso.
Poi, dopo questa ribellione esteriore, fu la volta della scelta definitiva: la sua “conversione”, dopo ‘agnosticismo giovanile, e la vocazione sacerdotale. Il giovane Lorenzo Milani entra in seminario, con una scelta che egli avrebbe definito “aristocratica”. Ma aristocratica in che senso, visto che virtù fondamentale di un cattolico e in particolare di un sacerdote dovrebbe essere l’umiltà? E’ egli stesso a farcelo capire, quando presenta il sacerdozio, nelle lettere ai familiari, come : “un mestiere col quale posso divertirmi tanto senza declassarmi neanche un attimo.”
Un’espressione assai più rivelatrice di quanto possa sembrare a prima vista, perché ci conferma che, nonostante le conclamate scelte di campo “dalla parte degli ultimi”, Lorenzo Milani non perse neppure un momento la consapevolezza della sua superiorità intellettuale e persino sociale: non si spiegherebbe, altrimenti, l’utilizzazione del termine “declassare”, che sta a indicare una caduta di prestigio esteriore , piuttosto che un abbassamento morale.
Anche il suo comportamento in seminario – quale risulta dalle testimonianze dei suoi compagni di corso e dalle sue stesse lettere – ci conferma questa fondamentale mancanza di umiltà. Il futuro sacerdote sembra quasi snobbare certe materie, certi insegnamenti (e di conseguenza certi insegnanti) e perfino certi suoi colleghi, ritenuti intellettualmente inferiori. Anche nella benevola biografia della Fallaci si accenna a una “tagliente ironia” nei confronti di compagni di seminario, di cui più tardi disertò i periodici raduni.
Una volta cappellano don Milani conferma il suo atteggiamento aristocratico – o, se si preferisce, snobistico – con la sua indifferenza ( per non parlare di aperta insofferenza) nei confronti delle forme popolari, anche esteriori, di religiosità, come le processioni o la pratica delle “Quarant’ore” . Le considera, probabilmente, espressione di una religiosità popolana “sensuale” , esteriore, sottovalutandone, con un atteggiamento che non è forse azzardato definire giansenistico, l’influenza sull’anima dei fedeli e anche di quanti alla fede cercano di accostarsi.
Eppure come ricorda la recensione del gesuita padre Perego a Esperienze Pastorali, proprio il ricordo della Via Crucis seguita da ragazzo, più che l’accesa predicazione sociale del suo maestro, avrebbe condotto al pentimento e alla fede un suo allievo prediletto, quel Giordano che molto spesso vediamo menzionato in questo libro.
Un analogo spirito aristocratico , o snobistico che dir si voglia, si avverte nella sprezzante insofferenza di don Milani nei confronti della figura del prete “gestore di biliardini”, animatore di attività sportive per i suoi parrocchiani. Svolgere queste attività costituiva infatti una maniera come un’altra di mettersi al livello degli umili, condividendone divertimenti e interessi, forse banali, ma certo semplici e onesti. Un atteggiamento che don Milani non ama, nonostante i suoi atteggiamenti populistici, a ulteriore conferma della saggia osservazione di Manzoni, nell’ultimo capitolo dei Promessi Sposi, in cui osserva che è più facile mettersi al di sotto degli umili, magari servendoli a tavola, che sedere alla loro stessa mensa ponendosi al loro pari
Non a caso don Milani, piuttosto che sedere umilmente alla loro tavola, o semplicemente discutere con loro di sport come tanti preti che avevano seguito una via diversa, preferisce salire in cattedra scegliendo la strada aristocratica dell’insegnamento.
Abbiamo così la “Scuola di Barbiana” e la celeberrima “Lettera a una professoressa” , vera e propria summa della pedagogia, o se si preferisce dell’antipedagogia di don Milani. Un’antipedagogia dominata da due elementi: un classismo rozzo e manicheo, già riscontrabile in tante citazioni di “Esperienze pastorali”, un neo autoritarismo rigido, fondato su una spiccatissima componente di egolatria. Quando don Milani parlava – ricordano a questo proposito i suoi stessi agiografi – pretendeva la massima attenzione; se qualcuno parlava disturbando la lezione si seccava subito e allora erano “espressioni tutt’altro che ritoccate e percosse”. Nella stessa : “Lettera a una professoressa”, del resto si può leggere che nella “scuola di Barbiana” si faceva, se necessario uso della frusta. Una pratica sulla quale tanti apologeti libertari del manesco priore hanno a lungo preferito scivolare.
Corollario dell’egolatria di don Milani era del resto il suo esclusivismo, che si manifestava anche nella gelosia nei confronti delle altre persone di cultura che avrebbero potuto esercitare un ascendente sui giovani. Nella missione dell’insegnamento popolare don Milani non voleva concorrenti istruiti e i professionisti della zona – ricordano i professionisti della zona – erano ammessi alle conferenze purché se ne stessero “zitti e buoni in un cantuccio”.
A ben guardare, inoltre, nella “Lettera a una professoressa” affiora un’altra componente della personalità del sacerdote : una vena di misoginia, che lo spinge a vedere nella professoressa, appunto, non nel professore – forse non solo in quanto la classe docente è composta in prevalenza da donne – il “nemico di classe” . Non è da escludere,  inoltre, che all’odio, per certi aspetti classista, di don Milani nei confronti degli insegnanti si unisse una sottile vena di disprezzo, derivante da un sentimento di superiorità sociale. Don Milani, proveniente da un’abbiente famiglia dell’alta borghesia, che annoverava al suo interno molti docenti universitari, non è da escludere che disprezzasse nell’intimo il lavoro di maestri e professori di scuola, di estrazione piccolo – borghese, che il linguaggio della contestazione pre – sessantottesca iniziava già a definire “le vestali della classe media”. Nella sua polemica con gli insegnanti perché “lavorano troppo poco” , rispetto agli operai, c’è, a guardar bene, sotto il velo populistico, un tipico atteggiamento da “padrone delle ferriere”, che vede in ogni lavoro la mera componente quantitativa.
Quel che colpisce di più, nell’atteggiamento di don Milani nei riguardi dei problemi educativi,è il radicalismo nella critica all’istituzione scolastica : una critica che si estende all’intera cultura “borghese”  con alcune grossolane generalizzazioni. Il priore di Barbiana critica la scuola dalle radici, non accetta compromessi e soprattutto non si pone, come obiettivo dell’istruzione, la formazione dell’uomo di cultura senza aggettivi, nella sua completezza. Dei suoi allievi vuole fare dei sindacalisti, o tutt’al più degli insegnanti politicizzati ( e, infatti, molti di loro lo divennero, per altro con risultati alquanto mediocri) .
Il suo odio per la cultura tradizionale a volte raggiunge forme impressionanti. A un amico che era redattore della Biblioteca Universale Rizzoli, benemerita della diffusione della cultura, egli scrive chiedendogli di compilare un’edizione de I Promessi Sposi depurata di tutte le parole difficili, perché riteneva che un testo non si dovesse studiare con l’ausilio delle note (troppa fatica) , ma dovesse essere comprensibile di primo acchito. Se una parola, col passare del tempo, aveva assunto un significato diverso doveva essere cancellata o ammodernata, con buona pace delle ceneri del Manzoni del Monti, “colpevole” di aver composto una traduzione troppo bella ma anche troppo “difficile” dell’Iliade. E quale fosse il suo atteggiamento nei riguardi di chi non condividesse queste sue opinioni, appare del resto da questa sua franca minaccia : “Se qualche professore storce il naso, gli diremo che amava i signorini raffinati della media di ieri che hanno la cultura come privilegio di pochi, gli diremo che stia attento perché quando andremo al potere quelli come lui li manderemo in Siberia”. Parole, queste, che non mi sono inventato io, ma che si trovano nelle’edizione delle “Lettere” di don Milani pubblicate da Mondadori in un’edizione, per altro, già ampiamente espurgata di molte intemperanze verbali dell’autore dai suoi stessi, imbarazzati, apologeti e, comunque, se, come molti altri miti, anche quello del priore di Barbiana reggerà al vaglio del tempo e della storia.
Ricordando questa verità, in un’epoca in cui parlar male di don Milani – o anche parlarne in termini non entusiastici – equivale a parlar male di Garibaldi, è imbarazzante, ma al tempo stesso doveroso. Resta da vedere, comunque, se, come molti altri falsi miti, anche  quello del priore di Barbiana reggerà al vaglio del tempo e della storia.

(Enrico Nistri, intervento al Convegno : “La pedagogia cattolica da San Tommaso ai falsi profeti di oggi”, tenutosi il 3 aprile  1977, a Firenze, presso il “Circolo Borghese e della Stampa” per iniziativa della sezione fiorentina di “Una Voce” con la partecipazione del teologo p.Tito S. Centi – del Docente Universitario Prof. Danilo Castellano – del Prof. Adolfo Oxilia e del Prof. Enrico Nistri. Il testo è stato tratto dallo “sbobinamento” del nastro registrato della conferenza ed è stato mantenuto lo stile discorsivo. L’intervento è apparso, tra l’altro, in “Controrivoluzione” N.22 del novembre -dicembre 1992 ).

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Padre Ernesto Balducci, il famigerato scolopio fiorentino “anima” e “mente” del cattocomunismo, grande quercia, le cui radici si nutrivano della dottrina gnostica e alla cui ombra si sviluppò il mito dei “preti rossi” (don Mazzi, don Milani, don Salucci, p. Turoldo etc.), figura nella lista di Mino Pecorelli come affiliato alla Massoneria. Di lui scrive Carlo Alberto Agnoli: “scomparso in un incidente stradale il 26 aprile 1992, in occasione della cui morte ‘L’Osservatore Romano’ ebbe ad esprimersi con profonda emozione e dolore. Ebbene, è sufficiente una conoscenza superficiale dell’opera di questo frate per rendersi conto che abbiamo a che fare con un uomo permeato dagli insegnamenti della Loggia .Ci limiteremo a spigolare alcune citazioni dal suo libro ‘Uomo planetario: ‘Chi ancora si professa ateo, o marxista, o laico, e ha bisogno di un cristiano per completare la serie delle rappresentanze sul proscenio della cultura, non mi cerchi. Io non sono che un uomo’. Più oltre commentando l’incontro ecumenico di Assisi del 27 ottobre 1986,così si esprime: ‘Siamo così alla resa dei conti. E in questa resa dei conti le religioni sono costrette a rivelarsi per quel che sono :PRODUZIONI SIMBOLICHE DI GRUPPI UMANI, SISTEMI IDEOLOGICI IN VESTE SACRA[…] TIMOR FECIT DEOS’. Poco prima infatti aveva scritto: ‘Nella generale eclissi delle identità, il nostro primo dovere è di restare fedeli a quella che abbiamo costruito, con una variante però, che essa va ritenuta non come il tutto ma come un frammento del tutto, di un tutto ancora nascosto nel futuro[…] Come il vero Dio, così anche il vero uomo è absconditus’.

Il ‘Deus absconditus’, il dio del futuro che si deve ancora rivelare  e che nascerà dalla fusione e dalla morte di tutte le religioni  esistenti! E’, pari pari, l’insegnamento del 32° Grado del Rito Scozzese Antico ed Accettato. Concludiamo il nostro ‘excursus’ con questa citazione di sconvolgente crudezza: ‘E’ finita l’era dei popoli eletti .E’ FINITA ANCHE L’ETA’ DEI SALVATORI. Come mi appare vera oggi, la frase che Nietzsche rivolgeva ai cristiani del suo tempo: ‘Chi vi salverà dal vostro Salvatore?’.

A questo punto è opportuno ricordare brevemente chi è quel Friedrich Nietzsche(1844-1900) alla cui autorità padre Balducci si richiama per ripudiare Gesù e il suo messaggio. Autore, tra l’altro, di un libro il cui titolo, ‘L’ANTICRISTO’, è già tutto un programma , quel filosofo preconizza un ‘Superuomo’ ‘liberato’ da ogni precetto e remora di ordine morale, e contrappone DIONISIO, dio della gioia, al Nazareno, predicatore di una tetra ‘morale da schiavi’.

Il suo pensiero, compreso il mito dell’eterno ritorno , è tutto permeato di quelle dottrine gnostiche  che, secondo i più autorevoli trattatisti massonici(Albert Pike, René Guenon, ecc…) costituiscono il midollo della Massoneria, e che, evidentemente, il Balducci, in gran parte, condivide.”

2 commenti su “Memoriae tradere. Firenze. Testimoni veri e falsi del XX secolo – di Pucci Cipriani”

  1. giorgio rapanelli

    Fu questo padre Balducci che mi disse personalmente ad una conferenza dibattito tenuta a Loreto di iscrivermi al PCI. Rivederlo oggi sotto una luce diversa mi fa un certo effetto.
    Allora stavo cercando. Oggi ho finalmente trovato e non devo più cercare altre vie. Per grazia dello Spirito Santo.

  2. Per tutti gli altri sono d’accordo, ma per don Milani trovo ingiusta tanta demolizione. Come prete fu ineccepibile, come educatore al di là di possibili errori e estremizzazioni difese la serietà della cultura della quale oggi registriamo un crollo vertiginoso (lo dico dopo 45 anni di lavoro nella scuola pubblica ), come carattere può essere riuscito antipatico a molti, ma non sta scritto da nessuna parte che il prete debba essere per forza simpatico a tutti; perlomeno non stava scritto, prima del 13 marzo 2013.

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