MEMORIAE TRADERE. STALIN, STERMINATORE DI COMUNISTI – di Luciano Garibaldi

MEMORIAE TRADERE. Rubrica del sabato, a cura di Pucci Cipriani

sabato 19 gennaio 2013


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STALIN, STERMINATORE DI COMUNISTI

di Luciano Garibaldi


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La più recente rivelazione su Stalin – e sono tutte rivelazioni incontrovertibili perché fuoriescono come acqua di fonte dagli archivi ex sovietici che nessuno, all’epoca del crollo dell’URSS, si diede cura di distruggere, – lo dipinge come un sadico che godeva nel mandare a morte presunti fedelissimi da lui appena invitati a cena. Non privandosi di un ricco bicchiere di vodka come accompagnamento al racconto, che gli veniva fatto dai suoi killer, delle circostanze in cui il “rinnegato” di turno aveva affrontato l’esecuzione capitale. Niente di diverso da Hitler che si faceva proiettare sullo schermo gli spasimi dell’agonia dei generali, feldmarescialli, diplomatici e ufficiali infilzati per la gola a ganci da macellaio per scontare orrendamente la loro partecipazione al Putsch del 20 luglio 1944. Su Stalin sono stati scritti circa 450 libri. Riassumere in un articolo la sua vita è dunque un’impresa impossibile. Cercheremo di farlo per flash.

L’INFANZIA. Nasce a Gori, in Georgia, il 21 dicembre 1879 da un calzolaio, Vissarionov Ivanovic Jugasvili, e da una serva, Ekaterina Zeladze. Dei futuri capi della rivoluzione d’ottobre (tutti borghesi, se non di famiglie agiate) è dunque l’unico autenticamente proletario. Il suo nome è Josef, in casa lo chiamano “Soso”. La madre, religiosissima, vuole che diventi prete. Lo iscrive alla Scuola teologica ortodossa. E’ un ragazzo prepotente, furbo, cinico. Alcuni suoi compagni di scuola, intervistati nel ’61 dal giornalista italiano Raffaello Uboldi, riferiscono di suoi istinti sadici. “Godeva nel veder soffrire i compagni. Era generalmente indifferente alle loro gioie, ai loro problemi”. Agli insegnanti cristiano-ortodossi il ragazzo piace così, anche perché, negli studi, eccelle. E’ infatti il primo della classe. Per tirarlo sù a dovere, secondo i loro princìpi, un po’ lo premiano, un po’ lo frustano. Un giorno prende da parte un compagno: “Sai, ci ingannano: Dio non esiste”. A 15 anni passa al seminario ortodosso di Tiflis. Poco dopo si iscrive al Partito Socialdemocratico e abbandona gli studi. Il partito lo utilizza per lavori “sporchi”. Entra in clandestinità, organizza un “gruppo di fuoco”, compie attentati e rapine per autofinanziamento: un terrorista.

LA FAMIGLIA. La prima moglie, Ekaterina Svanidze, è una ragazza semplice, estranea alla politica. Si sposano nel 1905, hanno un figlio, Jakov. Lei muore di tifo tre anni dopo, mentre Josef è in carcere. La seconda moglie, Nadezda Alliluieva, è figlia di un dirigente della frazione bolscevica del partito. Si sposano nel 1918. Lei ha 17 anni, lui 39 ed è già ministro alle Nazionalità del primo governo Lenin. La fa assumere come segretaria dapprima al ministero, poi al partito, nella segreteria di Lenin, in modo che possa informarlo su tutto ciò che accade attorno al capo. Hanno due figli, Vassili e Svetlana. Nadezda tradisce in un certo senso le aspettative del marito. Fa bene il suo mestiere di spia, ma, non essendo del tutto priva di sentimenti, al contrario di Stalin, finisce per affezionarsi ai boss bolscevichi che girano attorno a Lenin: i vari Kamenev, Bucharin, Ordjonikidze, Zinoviev. Stalin non glielo perdona. I loro rapporti diventano tesi. Una sera, a una festa al Cremlino, Stalin le getta una sigaretta accesa nella scollatura dell’abito di gala. Nadezda lancia un urlo spaventoso. Tutti si voltano, ma nessuno osa affrontare di petto Stalin  e magari mollargli un cazzotto in faccia, come ogni vero uomo avrebbe dovuto fare (ma veri uomini, in una riunione di bolscevichi, non potevano esservene). Umiliata, disperata, distrutta, Nadezda si suicida con un colpo di pistola l’8 novembre 1932, all’età di 31 anni. Dei figli di Stalin, Jakov morirà in un Lager nazista durante la seconda guerra mondiale, Vassili finirà alcolizzato e perseguitato da Kruscev, Svetlana fuggirà negli Stati Uniti. Durante le purghe del ’37/’38 Stalin farà sterminare suoceri e cognati. Si vocifera abbia messo incinta, in quegli anni, una immigrata italiana antifascista, ma nessun comunista italiano lo ha mai confermato. Alla pelle non si rinuncia facilmente.

LA RIVOLUZIONE. Nella cerchia di Lenin, Stalin è il giornalista, l’uomo della propaganda, il direttore della “Pravda”. Come massacratore, esordisce a casa sua, in Georgia, eliminando, nel ’21, la frazione menscevica del partito. Come giornalista numero uno del regime, “monta”, con l’aiuto di Dzerzinski, capo della Ceka (poi GPU, NKVD, KGB), lo scandalo contro Trotzkj, il comandante militare della guerra civile. Dei massacri degli anticomunisti e delle loro famiglie (genitori, mogli e figli) non è l’ideatore, ma soltanto uno degli esecutori. La sua specialità verrà più tardi, ed è quella di massacratore di comunisti. Nessuno, al mondo, ha sterminato più comunisti di lui.

LE PURGHE. Le vittime dell’“arcipelago Gulag”, a partire dal 1937, sono almeno 20 milioni, ivi compresa l’intera classe dirigente della rivoluzione d’ottobre, ma ad esse vanno aggiunti altri 10 milioni di morti, tra cui i 6 milioni di Ucraini lasciati morire di fame e cannibalismo nel ’32, a seguito della grande carestia, voluta da Stalin per sterminare un popolo che non aveva mai accettato l’ideologia comunista. In quell’occasione, i killer dello NKVD si occupano anche di mettere a tacere per sempre un coraggioso giornalista inglese che aveva voluto vedere chiaro nella leggenda della carestia ucraina, scoprendo e denunciando, sul suo giornale londinese, la spaventosa verità. Come esempio di quegli incredibili crimini, valga l’ultima lettera a Stalin di una delle vittime più famose dei “processi di Mosca”, Nikolai Bucharin. E’ un documento che, da solo, dice perfettamente che cos’è stato, che cos’è e che cosa sarà, finché non verrà estirpato definitivamente dalla faccia della terra, il comunismo. Bucharin non si preoccupa affatto di dover morire, ma si preoccupa che in Stalin rimanga anche il minimo dubbio sulla sua innocenza. “Ho imparato ad apprezzarti e ad amarti”, scrive Bucharin al suo carnefice: “voglio che tu sappia che nulla è vero di ciò di cui mi sono autoaccusato, ma non voglio deviare dalla linea del partito. Grande e coraggiosa è stata la tua idea di una purga generale. E’ giusto giustiziare i colpevoli, i sospetti e anche i potenziali sospetti. Sarebbe meschino porre la questione della propria persona a fronte dei compiti storici globali che gravano prima di tutto sulle tue spalle. Perdonami, Koba, scrivo queste righe e piango. Josef Vissarionovich, con me hai perso uno dei tuoi migliori generali, uno che ti era davvero fedele, ma sappi che nei confronti di tutti voi, del partito e di tutta la causa, non provo nient’altro che un amore grande e infinito. La mia coscienza più intima è pura davanti a te, Koba! Ti chiedo l’ultimo perdono, il perdono nell’anima, e mentalmente ti abbraccio”.

Quando questa allucinante lettera fu resa nota, alcuni “intellettuali” – ammesso che sia lecito usare questo sostantivo – comunisti italiani scrissero che il suo contenuto era “sconvolgente”, che Bucharin era stato “uno dei più lucidi rivoluzionari dell’ottobre” e che “Stalin rovesciò la rivoluzione nel suo contrario, trasformò un progetto razionale in una religione sanguinaria”. Ecco cosa succede quando queste faccende vengono commentate dagli ex comunisti. In Bucharin, come in tutte le altre vittime “illustri” delle grandi purghe del ’37/’38, non c’è nulla, ma proprio nulla di grandioso, nulla di nobile, meno che mai nulla di “religioso”. Non bestemmiamo! Erano dei miserabili. Stalin non fu che un Robespierre, con l’unica differenza che il suo Terrore durò, anziché un anno e mezzo, ben 15 anni. Ebbe così tempo di mandarne a morte molti di più del suo omologo francese. E la sua bestialità si riverberò soltanto nella pochezza umana e morale delle sue vittime. Per lo meno, Hébert e i girondini salirono sulla ghigliottina maledicendo Robespierre. E Danton, nella sua bieca grandezza, gridò al suo ex complice e carnefice: “Presto mi seguirai sul patibolo”.

LA GUERRA. Stalin, che aveva dato inizio alle grandi purghe con la scusa di mantenere compatto il regime di fronte alla minaccia hitleriana, si accordò segretamente e vigliaccamente con i nazisti, firmando con loro il “patto di non aggressione” del luglio 1939, che gli consentì l’espansione territoriale ai danni dei moldavi e dei baltici. E quando Hitler, il 21 giugno 1941, attaccò l’Unione Sovietica, rifiutò di credervi: non pensava che potesse esistere qualcuno più cinico e traditore di lui. In quella circostanza, dimostrò dunque di essere, oltreché un assassino, anche un imbecille. Per effetto dell’eliminazione dell’intera classe dirigente militare, attuata durante le purghe, l’Armata Rossa si trovò a rispondere a comandanti inetti. Il risultato furono i 15 milioni di soldati sovietici morti nella seconda guerra mondiale. L’URSS non scomparve dalla faccia della terra solo grazie ai giganteschi rifornimenti ottenuti da Roosevelt. Grazie alla complicità americana, Stalin poté assoggettare tutta l’Europa dell’Est, che si è liberata dal giogo comunista soltanto nell’89.

LA MORTE. Stalin ebbe un ictus cerebrale la notte del primo marzo 1953 nella sua dacia di Kuncevo, dopo una furibonda lite con Mikojan e Kaganovic che si opponevano al suo progetto di deportare tutti gli ebrei in Asia centrale. Accorsero Malenkov, Beria, Kruscev e Bulganin, che tennero tutto sotto silenzio, si autoproclamarono “Nucleo leninista del comitato centrale” e, per prima cosa, eliminarono dalla scena politica la “vecchia guardia” (Molotov, Voroscilov e, appunto, Mikojan e Kaganovic). Appena lo vide, inerte, su un divano, Beria esclamò: “Siamo liberi!”. Stalin aprì un occhio. Allora, Beria si gettò in ginocchio e, afferrandogli le mani, gliele baciò supplicando: “Perdònami, Koba” (dalle memorie di Kruscev). Stalin morì alle 21,50 del 5 marzo 1953. Nei mesi seguenti, iniziarono le coltellate all’interno del “quadrumvirato leninista”. Beria e Malenkov furono uccisi, il vecchio Bulganin scomparve dalla circolazione, il potere passò a Kruscev, il massacratore di Budapest, che, al 20° congresso del PCUS, iniziò la demolizione del mito di Stalin.

I LACCHE’. La morte di Stalin scatenò l’apoteosi tra i piccoli lacché della sinistra italiana (unici nel mondo occidentale, a vergogna imperitura del nostro Paese). Saragat: “La più grande figura del grande popolo russo”. Pertini: “Un gigante la cui figura non conoscerà tramonto”. Nenni: “Sua unica aspirazione, conservare la pace”. Riccardo Lombardi: “Non un dittatore, ma il capo espresso attraverso il più democratico dei sistemi”.

SINTESI. Ai comunisti non va consentito l’alibi di Stalin. Stalin non fu più mostro di quanto non lo siano stati Robespierre, Saint-Just, Lenin, Trotzkj, Hitler, Kruscev, Mao, Pol Pot, e di quanto non lo sarebbe stato in seguito Milosevich. Stalin non è stato “lo zar rosso”, non è stato “l’artefice della degenerazione del marxismo-leninismo”, un giudizio che fa comodo ai rinnegati che si sono impunemente reinseriti nel sistema capitalistico occidentale. E’ stato il prodotto classico ed inevitabile di un’ideologia. Nelle rivoluzioni violente e nei regimi instaurati sulle picche, sulle forche e sui plotoni d’esecuzione, non v’è nulla che si salvi. I loro protagonisti, grandi e piccoli, sono soltanto dei poveri senza Dio, privi di qualunque grandezza, preoccupati esclusivamente di emergere o di conservare i propri privilegi nella ristretta cricca che opprime il popolo.

 

GALLERIA DI IMMAGINI

 

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Lavrentij Beria, capo della polizia politica staliniana. Morirà ucciso nel regolamento di conti avvenuto dopo la morte del dittatore georgiano

 

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Sandro Pertini, presidente della Repubblica dal 9 luglio 1978 al 29 giugno 1985. Alla morte di Stalin dichiarò: “Un gigante la cui figura non conoscerà tramonto”. Poche idee, ma ben confuse

 

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Il delirante necrologio di Stalin sull’Unità, organo del Partito Comunista Italiano (clicca sull’immagine per ingrandirla)

 

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I compagni della federazione di Bologna del PCI non possono essere da meno… (clicca sull’immagine per ingrandirla)

 

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Edito da Controcorrente di Napoli, un libro che indaga sui segreti del portavoce in Italia di Stalin, il Partito Comunista Italiano (clicca sull’immagine)

 

 


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