“Micromega” denuncia il politicamente corretto. E fa autogol – di Mario Bozzi Sentieri

Nel mondo liquido delle idee evanescenti può accadere di tutto. Anche che una rivista, culturalmente ai vertici del conformismo dominante (di sinistra), si faccia paladina della lotta al “politicamente corretto”. È il caso, fresco di stampa, di “Micromega”, nata a difesa delle “ragioni della sinistra”, seppure “dichiaratamente eretica”, ed ora impegnata, come si legge sotto la testata, “per una sinistra illuminista”.

Cambiare opinione – per carità – è legittimo. Il fondatore/direttore di “Micromega”,  Paolo Flores d’Arcais, è famoso per il su spericolato  zigzagare tra le diverse sigle dell’arcipelago “progressista” e non :  dall’iniziale adesione alla Federazione Giovanile Comunista, da cui viene espulso, alla militanza trotskista, dal riformismo craxiano al Partito Democratico della Sinistra di Achille Occhetto, dalla stagione dei “girotondini” , esperienza civica organica all’Ulivo, alla vicinanza al Pd, dalle simpatie per  Di Pietro a quelle per il Movimento 5 Stelle.

Il corposo dossier di “Micromega” contro il politicamente corretto, sbandierato sulla copertina (con l’immagine hard dell’“Origine del mondo” di Gustave Courbet) non deve essere sottovalutato. Flores d’Arcais ha la capacità di annusare l’aria che tira, come certi cani da tartufi. Comprende che l’immigrazione è un fenomeno di tale portata da aprire varchi insanabili nelle gracili politiche di una sinistra che, cercando di stare ancora dalla parte degli “oppressi”, finisce per assumerne le ideologie oppressive.

Flores d’Arcais manca invece l’obiettivo (e aumenta la confusione) laddove immagina   impossibili assimilazioni nel nome dell’intramontabile triade “Libertà Uguaglianza Fraternità” e nel segno del più radicale laicismo, quello anticattolico, giudicando una “grottesca sconcezza” brandire la croce e volere le scuole parificate, l’ora cattolica in quelle statali e magari i crocefissi nelle aule.

Nel grand tour delle ideologie il direttore di “Micromega” punta il dito contro la riscoperta “progressista” della censura, ritrovandosi però, nel nome dei “diritti dell’uomo”, a declinare le ragioni dell’individualismo, nel quale non c’è spazio per l’interesse comunitario, per la fratellanza “organica”, per le culture dei popoli e dunque per la loro identità spirituale.

Troppo poco richiamarsi all’illuminismo e ai “principi dell’89”, per riuscire realmente ad immaginare una coerente strategia “contro il politicamente corretto”, laddove il nocciolo della questione è piuttosto rivendicare il senso di un radicamento culturale, profondo e stratificato. Lo evidenziano, d’altro canto, nello stesso dossier della rivista, Ingrid Colanicchia (laddove offre un’ampia rassegna dei casi più eclatanti di censure politicamente corrette degli ultimi anni, in grado di colpire classici della letteratura, capolavori dell’arte, opere liriche e persino cartoni animati) e Chiara Saraceno, che analizza gli effetti devastanti del “politicamente corretto” sui corsi di studio universitari.

Il materiale non manca, ma per uscire fuori dalla cappa soffocante del politicamente corretto ci vuole ben altro che i richiami moralistici ai generici “diritti dell’uomo”, laddove la sfida ormai è sul piano dei diritti dei popoli, delle comunità, delle Nazioni e dunque della Memoria.

Denunciare insomma non basta, se si sbagliano gli obiettivi e non ci si interroga sulle ragioni profonde della crisi odierna, restando – di fatto – vittime della stessa cultura che, a parole, si vuole contestare.

 

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