MILLI DANDOLO, FINE PSICOLOGA, GRANDE SCRITTRICE – di Piero Nicola

di Piero Nicola

 

 

Fine psicologa, moralista nella nobile accezione del termine, tra le brave scrittrici del secolo scorso, a dispetto della sua classificazione tra quelle che composero novelle e romanzi destinate a signore e signorine, ella si distinse altresì nella letteratura per l’infanzia e con libri di lettura educativi per le scuole.

Nata a Milano nel 1895 da famiglia veneziana, visse nella Città lagunare, studiò in istituti del Veneto e collaborò a giornali e riviste, frequentando al contempo gli ambienti letterari di Firenze e del Capoluogo lombardo.

Esiste un autore che non mostri un difetto nello stile, o nell’ossatura del racconto, o nella credibilità, nei dosaggi e nelle amalgama degli elementi narrativi? Forse nessuno. Forse qualche capolavoro l’ha fatta franca. Sull’arte limpida e copiosa di Milli Dandolo si tende un velo di gentile mestizia, che non intacca il realismo, sebbene la lieve melanconia si rifletta anche sui personaggi di buon carattere e più fortunati. Ma quest’ombra lunga non giustifica un declassamento dell’artista, e soltanto coloro che rifuggono dall’entrare in questa valle di lacrime a causa della loro propria melanconia e per un bisogno quasi patologico di evasione, sono propensi ad abbassarla.

ldNel 1944, quando la Dandolo, sebbene inferma, continuava a lavorare e due anni più tardi avrebbe reso l’anima a Dio, Mondadori pubblicò il suo romanzo di circa mille pagine Croce e delizia, un romanzo fiume, come in quel tempo venivano chiamati siffatti grossi libri di prosa. Esso ebbe di certo una ristampa nel 1953 e una ancora nel 2010.

L’ampio respiro, la cura dell’ambientazione, la dovizia di episodi incidentali, utili alla verosimiglianza, a definire e impolpare la trama, il disteso tessuto delle trame parallele, di poco minori, fanno di Croce e delizia un grande affresco storico e un fascio di nature, di casi umani,  illuminanti un’epoca – avente per centro la Lombardia nel fatidico decennio 1849-1859 – e la  dimensione atemporale, invariabile dei bisogni vitali, del lavoro, dell’amore, dei sentimenti giusti o sbagliati, degli errori e dei valori. I valori oggi decaduti, le necessità e gli interessi mutati, lo scivolamento dei gusti e del sentire, il ritmo dell’esistenza accelerato, non modificano alcunché di essenziale.

Le protagoniste sono cantanti d’opera, il romanzo verte assai sul mondo della lirica. Non pochi scrittori si impegnarono con successo a rendere accessibile alla vasta gamma dei lettori le varie forme della musica. Tuttavia, far ascoltare strumenti e voci per mezzo delle parole è un’impresa che, da sola, rende l’idea della statura dell’artefice letterario. Ma, Milli Dandolo, oltre che competente in fatto di melomania, nulla risparmiando per vivificare le scene e le azioni, rendendoci ad esse presenti, si rivela conoscitrice della storia nei suoi moventi e accadimenti, e degli usi sociali, dei modi di abbigliarsi, dei mezzi di trasporto, di conforto, di sussistenza, pure nel loro progresso, nei vari climi e paesi. Ciò, senza che si abbia mai e per nulla a sentire la didascalia, il peso documentario.

Siamo a Milano all’indomani dei moti insurrezionali del Quarantotto, duramente sedati. Dall’esilio, Mazzini persevera ad alimentare le speranze e i complotti dei carbonari. Carlo Alberto prepara la guerra contro il Lombardo Veneto. Dividono un misero alloggio una bella giovane, Amelia, che aspira a cantare in teatro e Margherita, sartina di aspetto piuttosto ingrato, amica un po’ invidiosa e talvolta maligna suo malgrado. Amelia è orfana d’un’umile donna con cui, da piccola, servì in casa di grandi signori del contado. Ebbe una vaga e spiacevole conoscenza del suo genitore, che non sposò sua madre.

Oliviero Brivio, nobile milanese amante dell’opera, ha creduto in lei e l’aiuta a perfezionarsi e a farsi strada. Egli, quarantacinquenne cordiale, conduce una vita di società, parteggia equilibratamente per il Piemonte e per i rivoluzionari, e si prodiga per la causa in accordo con Laura, un’altra cantante affermata, donna di origini contadine, ma di costumi mondani, saviamente disinvolti. Oliviero, figlio di primo letto, ha un fratellastro, Alessandro, che è quasi il suo opposto: austero, riservato, assiduo nella condizione delle proprietà agricole e delle filande appartenenti alla famiglia, simile alla madre Maria Teresa, la vedova Brivio. Sono entrambi fedeli al dominio austriaco e fidenti nel suo ordine.

Alessandro è innamorato di Amelia e vuole sposarla, nonostante la prevista opposizione di Maria Teresa, il cui mondo è circoscritto nelle vecchie tradizioni. Amelia, onorata della profferta, è tuttavia insensibile dal lato sentimentale e risponde con un garbato rifiuto. Riesce ad avere una scrittura di Rosina nel Barbiere, ma non è pronta per il registro di contralto, né adatta a recitare una parte brillante, antitetica al suo temperamento grave e appassionato. Il fiasco è inevitabile. Nel suo abbattimento finisce per cedere alla corte del serio innamorato, che le promette di consentire al corso delle sue aspirazioni. Il matrimonio, cui la rigida Maria Teresa si adatta freddamente e a malincuore, naufraga nella ripulsa, anche fisica, che la giovane prova per lo sposo: un distacco concomitante con la loro divergenza ideale, perché Amelia ammira Garibaldi e trova nell’amicizia con Oliviero la sola affinità che la trattiene nell’ambito domestico. La conforta inoltre a una certa simpatia, rispettosamente ricambiata, tra lei e il vecchio maggiordomo. Ma ella tende a sconfinare in una sconveniente confidenza con la servitù.

Nel frattempo, è giunta da Torino Carlotta, una ragazza ingenua, povera e sola, a momenti graziosa e di poca salute, amica di Amelia, come lei nata per il bel canto, dotata di una voce quasi bianca, angelica e cattivante pur essendo esile. Ha trovato rifugio nel quartierino della sarta Margherita, ha preso il posto lasciato da Amelia. Tuttavia, ben presto ella cade nella rete di Matteo, un agente teatrale duro, egoista, imperioso: raffigura l’uomo nero dei ricordi infantili, il quale ha visto un lucroso affare in quell’ugola sottile ma infrangibile. Dopo avere ubriacato e violato il mite usignolo, trattiene in casa la fanciulla-usignolo ad accudirlo, e manterrà l’intenzione di sposarla; le ottiene recite fortunate e sempre più importanti.

Amelia aspetta un figlio, si sente bloccata, dispiaciuta. Nonostante i loro impegni, le ragazze si incontrano, si confidano. La sposa ventenne ha pietà di Carlotta contenta, indulgente verso il marito-padrone, ma dubita che quell’essere candido avrebbe una sorte migliore andando libera, procurandosi da sé chi le organizzi le prove che l’aspettano.

Un giorno, ad Amelia si presenta un uomo insinuante e untuoso, malsano, nel quale ella stenta a riconoscere suo padre. Combattuta nel suo intimo, quantunque l’individuo sia disprezzabile, ella gli concede un aiuto finanziario.

Alla cascina di Briona, acquistata da Laura agli anziani genitori, Amina, figlia dell’affermata soprano, segue con passione le notizie della guerra imminente. La dodicenne immagina il re come un sovrano delle fiabe, col manto di ermellino, lo scettro e la corona. Il suo vagheggiamento di vederlo così supera gli interrogativi rivolti a quelli che la circondano, donde non vengono risposte adeguate sul reale tenuta del monarca. E quando cominciano le battaglie campali, quando alla sconfitta di Mortara segue la rotta di Novara, Amina fugge di casa per raggiungere il re. Le peripezie della balda giovinetta nei pressi ed entro la città devastata, saccheggiata dalle stesse truppe piemontesi sbandate e affamate, le scene crudeli della popolazione in fuga, vedute da occhi immaturi, forti della scarsa comprensione e volti alla delusione, delusione di non aver potuto incontrare Carlo Alberto, già sia in procinto di trattare la resa, sono pagine degne delle migliori di questo genere.

Nell’economia del romanzo Amina rappresenta il destino delle indoli indomite, non cattive, aventi le loro generosità, educate alla fede e, in conclusione, difficilmente istradabili nella coerenza della norma onesta. Amina, figlia illegittima, tenace come la volitiva donna di spettacolo che la partorì, l’artista precisa nel suo mestiere, nel costruirsi un salotto e una villa adatta agli ospiti, quanto è irregolare nella vita intima; Amina determinata a cantare contro il volere materno e che, sebbene stia in collegio, ottiene l’appoggio di Oliviero, una sorta di suo tutore convinto dal suo estro; poi ragazza disposta a farsi sposare da lui pur di riuscire nel suo intento, benché egli non le ceda; Amina perverrà allo scopo di avviarsi sulle orme di colei che starà per ritirarsi dalle scene mettendo fine alle sue assenze, senza aver realizzato un buon matrimonio, la sistemazione che avrebbe preparato tempestivamente alla figliola.

Oliviero avverte Amelia che l’uomo venuto qualche volta a trovarla è un individuo sospetto. È suo padre, e lei conserva il segreto. Nel palazzo di Erba, dove i Brivio trascorrono la buona stagione, giunge la sorpresa del commissario con i gendarmi. Avviene una perquisizione di polizia, mentre i signori di casa sono assenti. Ella riceve la conferma che suo padre è una spia degli austriaci. Stremata dalle vicissitudini, dà alla luce anzitempo un bimbo che muore. Il lutto non ritarda di molto il suo ritorno allo studio, agli esercizi vocali, alle amiche, alle scene. Una ricamatrice attempata adesso abita con Margherita, ha un figlio adottivo, Luca, orfano, ragazzo allegro, solido e intelligente, che fa il tipografo ed è quasi coetaneo di Amelia. Dal loro incontro casuale, ne seguono altri, più o meno voluti, nella resistenza da entrambi opposta al sorgere del loro amore. Amelia si sente in colpa fin dall’aver consentito al nuovo sentimento sbocciato in lei. Pensa all’eventualità di aver ereditato il male da suo padre; del resto, colei che la mise al mondo non fu incolpevole. Ma la forza che li attrae è accresciuta dalla comunione delle idee. Il biondo giovane è un patriota, milita agli ordini di Mazzini. Succede ciò che appare inevitabile, nella soffitta da lui abitata, dove ella si  recava al suo capezzale per un’infermità da lui contratta in un periodo di prigionia. Egli però, coinvolto in rischi supremi, la dissuade dal separarsi dal marito, col quale ella vive ormai di fatto separata. Ella partecipa marginalmente nelle attività del ragazzo. Ha insistito per acquistare la cartelle del prestito mazziniano di cui il giovanotto è un distributore; le propone a suo cognato, che la mette in guardia da simili operazioni. Oliviero confida nella guerra, non nella rivoluzione. Infatti la sommossa, per cui Milano è posta in stato d’assedio, abortisce, e Luca vi resta ucciso.

È trascorso del tempo, prima e dopo la disgraziata gravidanza di Amelia, si sono susseguite le stagioni delle preparazioni e quelle delle rappresentazioni nei teatri di provincia, in quelli di Milano e delle capitali italiane ed europee. La suocera formalista, tanto da richiamare la nuora in merito ai suoi rapporti, alle vecchie amicizie, per il dovere di conservare il decoro del casato cui ella ora appartiene come sposa di don Alessandro, la nobildonna, che tuttavia non reagì a un moto di ribellione della giovane, ora ha accettato tacitamente l’impossibilità che ella si uniformi al rango della famiglia; anzi, a poco a poco, prende ad affezionarsi alla madre del nipotino morto, spera in una nuova nascita. La segaligna ed eretta Maria Teresa, all’oscuro dei motivi di disaccordo tra gli sposi, ritiene che il carattere di suo figlio non lo giustifichi dal trascurare Amelia, pure seria nella professione, in una carriera che, per quanto abbia del disdicevole per loro, forma un tutto con le origini da cui la ragazza non pervenne a sciogliersi. E poiché la cantante, a Venezia, sviene in palcoscenico e dovrà abbandonare le riprese della Sonnambula, ubbidendo alla sollecitazione materna, Alessandro la raggiunge nella città della Laguna.

Ella è incinta, confessa il tradimento, è giunto il momento che si dividano; si lascia andare ad accuse contro i ricchi che abbandonano i poveri, contro lo stesso Oliviero, patriota insensibile verso i poveri eroi caduti o giustiziati. Comprende che Alessandro abbia riallacciato i rapporti con una sua amante. Non gliene importa. Egli non replica, non batte ciglio. Si oppone alla separazione che addolorerebbe ingiustamente sua madre e che recherebbe offesa all’onore, un onore che Amelia non arriva a comprendere. Manterranno il segreto sul figlio di lei e di Luca. Lei rimanda la risposta, che ad ogni modo le costerà molto. Ripensando all’inconsistenza dell’onore concepito come mero giudizio altrui, medita di provocare lo scandalo. Angelica invece, sebbene dolente per la perdita di Luca, le dice l’importanza degli obblighi e della famiglia, di fronte ai quali i sentimenti migliori sono caduchi e bisogna lasciare indietro, al loro posto, i cari trapassati. Crede nella giustizia divina, per quanto ella sia comprensiva verso chi sbaglia. Sicché la cantante di belle speranze non sa risolversi; pentita di aver ceduto rinviando il chiarimento in famiglia, lo rimanda ancora pensando di riprendere a cantare dopo il parto, in settembre, quando probabilmente potrà affidare il bambino ad Angelica e Margherita e lasciare casa Brivio.

Le irresolutezze non avranno termine dopo la nascita di Oliviero Maria, detto Viero, bimbo che le somiglia e cresce robusto, giudizioso, e mostra una singolare considerazione per Alessandro, un presunto padre all’apparenza freddo e persino ostile, di fronte alle infantili dimostrazioni di un affetto non ricambiato. La mamma trepida per questa ostilità, specie nelle sue lontane esibizioni in giro per l’Europa. Ella teme che egli possa maltrattare Viero e nuocergli seriamente.

Il fratellastro e cognato, per quanto ha inteso dei loro contrasti, le chiede se possa riconciliarsi col marito, le dice che la sua scorza racchiude un’anima superiore. Soltanto molto più tardi Amelia avrà modo di ricordarsene, allorché con un colpo di testa, porta con sé il bambino, che ha ormai tre anni, a Napoli dove ella recita alcune opere e dove, affaticato dal viaggio, Viero si ammala, è sull’orlo della polmonite. Di nuovo, consigliato da Maria Teresa, Alessandro la raggiunge ed ella, addormentatasi spossata, risvegliandosi vede il marito che presta le sue cura al piccolo. Egli rinuncia a riportarlo a casa, alla nonna. Restano intesi che Amelia lo ricondurrà guarito e che le loro strade si divideranno soltanto alla scomparsa di Maria Teresa.

L’aver cominciato con la diffidenza, con l’accusa a lui rivolta di essere stato responsabile di una situazione falsa, mentre sarebbe stato preferibile che la vecchia signora avesse potuto capacitarsi delle verità, ancora una volta vanifica la completa pacificazione. Non è stato sufficiente aver confessato d’aver supposto che lui desiderasse la morte di Viero, ed essersi detta miserabile. Non è servito che Alessandro abbia spiegato d’aver addotto la ragione dell’onore nondimeno per evitarle di andarsene verso un’esistenza peggiore, densa di pericoli.

Intanto le indagini del padre di Amelia lo portano a spiare le manovre di Laura, che nella sua Villa sul Ticino ospita una riunione di congiurati. Durante un temporale ella, abile nuotatrice, fa sì che egli voglia seguirla in una traversata in barca, diretta, lei dice, a portare soccorso a una famiglia. L’imbarcazione si rovescia ed ella sola guadagna la riva.

L’incolta e semplice Carlotta, le cui virtù sono una bontà innata e l’estro canoro, oltre a uno scrupolo religioso, per cui accetta le sofferenze, la salute malferma, il pauroso viaggio nella gelida Russia come un’espiazione per il suo peccato di aver convissuto con Matteo prima che la sposasse, si ammala a San Pietroburgo, questa volta senza rimedio, e spira tra le braccia di una cameriera ex amante di Matteo. E su di lui cade il sospetto delle donne: che egli avesse ritenuto fosse giunto il momento di liberarsi di lei, sempre ormai malaticcia.

A Erba Viero va a passeggio con Alessandro. L’incontro dei coniugi è quasi affettuoso. Amelia resta turbata, colta da smarrimento, come quella sera che credette d’averlo visto in un palco, mentre recitava la parte di Violetta, quando Violetta pianse mettendo a rischio la voce, ed egli scomparve lasciandole il dubbio che fosse stato proprio lui. La ripulsa verso la sua persona è scomparsa. Luca è come scomparso: rimasto per sempre il ragazzo, separato da lei donna fatta, non solo per il trascorrere degli anni, non solo per l’idea che il loro amore sarebbe comunque cambiato; il suo amore per lui appartiene a un’altra sé stessa, scomparsa. Deve ammettere che il marito le piace, e le è dato di stimare la sua lealtà. Parlando della guerra imminente si trovano abbastanza d’accordo. Ma per lui è presto per rivedere il loro passato.

Prima che comincino le ostilità, i due fratelli si arruolano, Oliviero con Garibaldi, Alessandro nell’esercito di Vittorio Emanuele. Egli le scrive di aver preso partito per onorare il sacrificio di  chi ha creduto ed è morto, di voler superare sé stesso. Il che non gli dà la fiducia. Non confida nemmeno in lei, lo si intuisce. Eppure deve aver offerto il suo gesto anche ai sentimenti e ai  dispiaceri di sua moglie.

Agli inizi la guerra va male. Poi arriva Napoleone III al comando delle truppe francesi. Oliviero entra a Varese con Garibaldi, quindi a Bergamo. Vittoria di Palestro. Il re a Milano. Giunge la notizia che Oliviero è ricoverato in ospedale a Brescia, che Alessandro marcia in una divisione sarda alla volta di Desenzano. Egli scrive a sua madre d’essere ferito leggermente. Battaglie di San Martino e Solferino. L’armistizio di Villafranca, ove gli imperatori si abbracciano, è una delusione di molti. Scontento Garibaldi, Cavour dimissionario.

Oliviero giunge alla dimora di Erba in licenza dal corpo dei Cacciatori delle Alpi. Appare stanco, abbattuto. Non tarda a riprendersi. Alessando ritorna zoppicante, si trattiene a cena con le donne, racconta brevemente la campagna alla quale ha partecipato, ragiona pacatamente sull’armistizio. Al suo arrivo, Amelia l’ha atteso a piè fermo, stringendo a sé il bambino, vinta da una paura indefinibile. Maria Teresa più che commossa è rassicurata. Accompagnato dal fratello, il reduce sale nella sua camera, e manda a chiamare sua moglie. La paura della giovane donna raddoppia. Al contrario, il colloquio a lume di candela volge tutto a pietà e tenerezza. Egli ha sempre nutrito per lei un attaccamento pervaso di compassione e di protezione e, come fosse un altro, le esterna le sue sofferenze di ferito in un padiglione in cui le mosche e il caldo facevano più vittime delle piaghe. Una volta si era dato sollievo immaginando che ella gli passasse sulla fronte una mano bagnata. Ora ella bagna con le lacrime la mano che stringe la sua; gentilmente le dice che non pianga: non ha più febbre che richieda refrigerio. Insieme considerano che la guerra dovrà essere ripresa, ma, egli osserva, la guerra è il meno, il più dovrà farsi dopo, in molti anni a venire. Poi, riandando al patto stabilito a Napoli a proposito di Maria Teresa, Alessandro ricorda le parole definitive pronunciate alla messa del matrimonio: il vincolo che non deve essere mai sciolto. “Io sono molto semplice in queste cose” egli soggiunge. Amelia, pudicamente, rammenta d’aver cominciato ad amarlo quando lo vide nel palco del teatro a Bologna. In seguito, si rese conto di quel principio; e Alessandro risponde che era proprio lui, ma gli fece male vederla sul palcoscenico innamorata del tenore. Poi rompe un silenzio, divenuto per lei increscioso, chiedendole se partirà, se è già scritturata. Lo è infatti: “Vorresti che rimanessi a casa?”

Convengono che ella sarebbe troppo immiserita se smettesse di cantare. Invitata a coricarsi accanto a lui, gode la presente, innegabile delizia di sentirsi a lui vicina, e s’addormenta suo malgrado, vinta dalle emozioni. Egli, tenuto sveglio anche dal piede dolorante, vede sorgere l’alba; potrà sostenere la parte del protettore dei due poveri esseri, la madre e il suo bambino, contro ciò che è stato e non può essere distrutto.

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