Pochi aggettivi hanno ottenuto il successo di “liquido”, l’attributo del mondo contemporaneo inventato da Zygmunt Bauman. Modernità liquida, famiglia liquida, mondo liquido. Il sociologo ebreo polacco emigrato negli Usa ha dato la definizione più sintetica, fulminante e precisa del nostro tempo. Liquido nel senso di non solido, privo di un centro e di una forma. I liquidi sono informi, assumono quella dei recipienti che li contengono e, in assenza, tendono a disperdersi, evaporare, annullarsi. L’intuizione di Bauman è straordinaria, ma rivela che l’uomo liquido, prodotto di una società altrettanto liquida, è un uomo chiuso in bottiglia.
La modernità è la convinzione che il cambiamento è l’unica cosa permanente e l’incertezza l’unica certezza. Questa riflessione di Bauman conferma che il nostro è un tempo di inversione, di ribaltamento generalizzato, in cui ciò che è confuso, indistinto, mutevole è considerato positivo e moderno. Anche l’aggettivo moderno ha assunto una valenza assoluta, universalizzata, metafora e sinonimo di positività. Moderno significa soltanto “al modo odierno”. L’assolutizzazione del termine, elevato a categoria del bene, della superiorità di oggi rispetto a ieri, che diventerà inevitabilmente l’inferiorità di oggi vista con gli occhi di domani, fa il paio con “liquido”.
Ma che cosa si intende esattamente per società liquida? La crisi del concetto di comunità ha fatto emergere un individualismo programmatico, in cui “nessuno è più compagno di strada ma antagonista di ciascuno” (Umberto Eco). Il vicino è sempre qualcuno dal quale guardarsi, un concorrente se non un nemico. Homo homini lupus. Questo soggettivismo ha minato la modernità, l’ha resa fragile, immersa in una condizione in cui, aboliti i punti di riferimento, tutto perde consistenza. La solidità di ieri è vista come un pericolo o una gabbia. Tutto diventa liquido poiché nulla appare più vero, buono, giusto. Le uniche soluzioni per individui senza punti di riferimento diventano l’apparire ad ogni costo, il consumo, la novità, il movimento fine a se stesso.
Il liquido, lasciato a se stesso, tende a scorrere in mille rivoli, cambiare direzione ad ogni ostacolo, sino ad annullarsi e perdere ogni distinzione. L’esito è la dissoluzione in milioni di gocce, atomi liquidi privi di valore, direzione, centro. Il consumismo liquido mira al possesso di oggetti di desiderio in cui appagarsi, ma li rende subito obsoleti, e gli individui-goccia passano da un consumo all’altro in una bulimia senza scopo, milioni di liquidi che si muovono a ondate eterodirette. Nel mondo liquido-moderno la solidità delle cose, così come la solidità dei rapporti umani, tende a essere considerata un male, una minaccia. Qualsiasi proposito di fedeltà e impegno a lungo termine annunciano un futuro di obblighi che limitano la libertà di movimento e riducono la capacità di accettare le opportunità ancora sconosciute che si presenteranno.
La prospettiva di trovarsi invischiati per l’intera vita in qualcosa di definitivo, non rinegoziabile, appare ripugnante e spaventosa (rapporti sentimentali, amicizie, idee, opinioni, famiglia, luoghi, la stessa personalità individuale). Inevitabilmente, “si chiede agli uomini di cercare soluzioni private a problemi di origine sociale, anziché soluzioni di origine sociale a problemi privati” (Bauman) Il mondo liquido produce una società frantumata, in cui se io ho risolto i miei problemi soggettivi, non mi importa più degli altri. Di contro, i miei guai, debolezze, fragilità sono solo miei, per l’indifferenza liquida altrui. Il mondo circostante è tagliuzzato in frammenti scoordinati, mentre le vite individuali si frantumano in una successione di episodi non collegati fra loro. Essere moderni, cioè liquidi, significa essere incapaci di fermarsi e ancor meno di restare fermi, una condizione che Paul Virilio chiamò “dromocrazia”.
La cultura di oggi è fatta di offerte di mercato, non di norme. Anche qui trionfo del liquido. Nel mondo liquido il capitalismo vince senza competitori perché le fonti del profitto si sono estese dallo sfruttamento della manodopera allo sfruttamento dei consumatori, gli esseri liquidi per eccellenza, che devono continuamente modificare se stessi, gusti, aspettative, per stare al passo, inseguire l’odiernità, la moda, svalutando continuamente “ieri” e “prima”. La comunità è solida, poiché ad essa apparteniamo interiormente, moralmente, la società è liquida in quanto è solo un contratto che può essere stracciato, di durata limitata; impegna solo per i termini sottoscritti e contiene clausole di rescissione.
Il mondo liquido è per natura un corsa verso il nulla che trascina con sé la civiltà. La società, spiega lo scrittore Agostino Saccà, è il semplice stare insieme. Per caso, perché siamo contemporanei, ci troviamo senza una vera ragione nello stesso spazio al medesimo tempo. Estranei, liquidi ridotti a gocce che si disperdono al vento, circondati da “rari nantes in gurgite vasto” pochi nuotatori nel vasto mare, i rari superstiti del naufragio, come i marinai dell’Eneide virgiliana. Il contratto è liquido, l’impegno è solido. Fornisce uno scopo indica una meta, dà valore, attribuisce senso, costruisce civiltà La civiltà ha bisogno di maturazione, ideali, valori, cultura unificante, terreno solido, sedimentazione. La civiltà è il desiderio di incamminarsi su un terreno comune, per definizione solido. Non vi è civiltà senza una solida appartenenza. A un popolo, un’idea, una credenza religiosa, un destino, un luogo, un sistema di valori, a una persona amata. Non esiste un popolo “liquido”.
Ci limitiamo a correre in una società vista come agglomerato provvisorio, plastico, onde di un mare in tempesta sferzato da venti provenienti da ogni direzione. Liquefatto, il mondo diventa irriconoscibile, una babilonia confusionaria in cui ognuno va per conto suo, teme gli altri, si unisce in tribù provvisorie, parla lingue reciprocamente incomprensibili, oppure diventa afasico e comunica in maniera elementare. Questa o quella per me pari sono, era il cinico programma sentimentale del Duca di Mantova nel Rigoletto. Il pessimo programma è allargato alla vita intera: vivere in Italia o in Mongolia non fa differenza, né che il proprio paese perda la sua lingua, cultura, o sia invaso da stranieri. Fa lo stesso essere uomo o donna, essere attratti sessualmente da persone dello stesso sesso o dell’altro, anzi degli altri, esprimersi in italiano o in inglese. Liquido è tutto, le gocce si frantumano a caso.
Quel che conta è la corsa, il viaggio, nessuna meta, ogni mezzo è buono. Importante non avere alcun fine o averne uno per ciascun giorno. È imperativo cambiare, spogliarsi e rivestirsi continuamente di nuovi abiti. L’ideale è la mescolanza, la contaminazione, passata a definire un ideale di vita anziché il vecchio insozzare, macchiare, deturpare. Dicono che le mescolanze accrescono, ma solo se vi è uno scopo di civiltà, non il mescolamento fine a se stesso, che diventa frullato casuale di elementi diversi, emulsione insensata, spesso impossibilità di creare un equilibrio. L’olio non si scioglie nell’acqua. La marea liquida è indifferenziata, il pentolone che bolle continuamente mentre vi entra di tutto (melting pot) e tutto vi si scioglie è indigeribile, velenoso. Liquido è il flusso di Babilonia, solida è la civiltà. Ma l’obbligo è vivere alla giornata, nuotare in un magma che si muove ed esplode come ciò lava di un vulcano.
L’uomo liquido è un essere in bottiglia: per andare da qualche parte, conservare un senso e una parvenza di unità deve essere raccolto in un recipiente, diventare contenuto. Perde autonomia; se il recipiente si rompe, il liquido si disperde. Se manca il tappo, il destino è l’evaporazione. Persino un ciottolo è più stabile dell’uomo liquido, intrappolato nel recipiente sotto pena di dispersione e in balia di chi impugna la bottiglia. Non resta che abbandonare la condizione di fluidi alla mercé dei padroni di bottiglie, recipienti e condutture, e tornare solidi.
Non è difficile. Un comandante degli Chouans, i combattenti antirivoluzionari della Vandea, disse che la sua Patria non erano i principi astratti, i diritti universali dei giacobini, ma la terra che calpestava e sentiva sotto i piedi. Concreta, reale, come ogni principio in cui si crede. Duratura, perché mantenersi, conservare e consegnare, tramandare, è un istinto potente dell’uomo “solido”. L’acqua non si afferra, scivola, scorre e non è mai la stessa. L’uomo ha bisogno di fermarsi, costruire una solida casa, difenderla con fermezza, consegnarla ai figli e levare lo sguardo in alto. Bisogna uscire dalla bottiglia e dalla pozzanghera, farla finita con la condizione liquida. Essere, tornare stabili, solidi, fare comunità, appartenere, possedere un’identità. Il principio appartenenza sconfigge il mondo liquido, fa saltare il tappo della bottiglia in cui ci hanno rinchiusi goccia a goccia.
2 commenti su “Mondo liquido: l’uomo in bottiglia”
Articolo verissimo!
E questo essere liquidi, ci fa sentire assenti, insoddisfatti, inquieti, senza programmi e prospettive. Questa ” pappa” a cui vogliono assimilarci, ci sottrae certezze, identità. C’è bisogno di punti di riferimenti per l’uomo d’oggi, di stabilità su cui basare e svolgere la quotidianità. Ma la dissennatezza e la mancanza di sani e saldi principi, in chi dovrebbe essere vessillo, porta allo stordimento e al disorientamento.