Mozart, Da Ponte, l’illuminismo e il matrimonio – di Carla D’Agostino Ungaretti

di Carla D’Agostino Ungaretti

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zzmzrtQualche giorno fa ho avuto occasione di riascoltare in TV – ripresa recentemente dal Teatro alla Scala – un’opera di Mozart che conosco bene ma che non sentivo da qualche tempo: Così fan tutte, un gioiello musicale che, come tutte le opere di Mozart, ci ricrea lo spirito ogni volta che le ascoltiamo. Ma non voglio parlare dell’efficacia rigeneratrice della musica scritta da quello straordinario giovane – che morì a soli 35 anni dopo aver composto melodie per le quali ad altri musicisti sarebbe stata necessaria una vita lunghissima – bensì del significato del pur bellissimo libretto di Lorenzo Da Ponte, simpatica e affascinante canaglia che incarnava alla perfezione lo spirito dissacrante e libertino del suo secolo. Questo libretto, se ci si riflette un po’, presenta alcuni aspetti che mi sembra meritino di essere approfonditi, tra i quali l’estrema modernità delle situazioni, tanto è vero che il Teatro alla Scala ha deciso di rappresentare l’opera in abiti moderni, anche se su questa scelta ci sarebbe molto da discutere.

Riassumo brevemente la trama per chi non la ricordasse. Guglielmo e Ferrando sono due giovani ufficiali felicemente fidanzati rispettivamente con Fiordiligi e Dorabella , ma il loro anziano amico don Alfonso, filosofo illuminista e cripto –massone, insinua in loro il sospetto che esse non siano fedeli (“E’ la fede delle femmine come l’araba fenice, che ci sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa”). I tre decidono perciò di metterle alla prova scommettendo una ricca cena. Dietro consiglio e sotto la regìa (diremmo in termini moderni) di don Alfonso, i due ufficiali fingono di partire per la guerra, ma subito dopo si ripresentano alle due fanciulle travestiti da  nobili albanesi innamorati di loro e – con l’aiuto della servetta Despina, furba ma non intelligente – fanno una corte serratissima l’uno alla fidanzata dell’altro, fingendo anche un tentativo di suicidio per essere stati inizialmente respinti. Inutile dire che le due credulone non li riconoscono e, dopo le prime esitazioni, cascano in pieno nel tranello: perciò, dopo i lamenti, i piagnistei e le invocazioni di morte seguiti alla notizia della (finta) partenza dei loro fidanzati, sotto l’occhio sornione e divertito di don Alfonso artefice dell’inganno (“Io crepo se non rido …”), esse accettano di sposare i due nuovi spasimanti. A questo punto c’è l’agnizione finale e il trionfo di don Alfonso, vero simpatico diavolo tentatore. I due ufficiali fingono di tornare “richiamati da regio contrordine” e devono riconoscere che le loro fidanzate li hanno traditi, proprio come aveva previsto il loro amico, l’una con il fidanzato dell’altra sia pure sotto mentite spoglie. Che fare? Ucciderle, come invocano le stesse pentite fedifraghe (“Ah signor, son rea di morte e la morte sol vi chiedo, il mio fallo tardi vedo … “), o sposarle ugualmente, come suggerisce lo stesso don Alfonso (“Dopo tutto voi le amate, queste vostre cornacchie spennacchiate …”)? Guglielmo e Ferrando perdoneranno le loro fidanzate e le sposeranno, avendo però imparato a loro spese che “così fan tutte” e l’opera finisce con i sei protagonisti che inneggiano “all’uom che prende ogni cosa pel buon verso e tra casi e le vicende da ragion guidar si fa”.

Il tema del marito geloso che vuole mettere alla prova la fedeltà della moglie è un autentico topos letterario ed ebbe molta fortuna a partire dal Medioevo, ma Da Ponte lo trasformò aggiornandolo alle tendenze letterarie e filosofiche del suo tempo creando un senso di cinico antisentimentalismo che si avverte alla lettura del libretto, ma che la musica di Mozart è capace di mitigare e spesso contraddire. Infatti “la divina semplicità” della musica di Wolfgang Amadeus riesce a comunicare una sorta di benessere mentale, nonostante la cattiveria del soggetto.  L’opera, composta nel 1789, fu rappresentata l’anno dopo in pieno illuminismo e  Da Ponte, ebreo convertitosi al cattolicesimo per opportunismo, ex abate, geniale e smaliziato libertino dalla vita avventurosa, scrisse per Mozart i suoi tre famosi e godibilissimi libretti, dei quali io penso che questo sia il più spiritoso, anche se pervaso da un totale pessimismo e una totale misoginia che, anche a quel tempo, avrebbe dovuto apparire in contraddizione con lo spirito del XVIII secolo che aveva assolutizzato la Ragione. Infatti quella trama fu molto criticata nel secolo successivo, con l’avvento del Romanticismo, e fu ritenuta immorale sia da Beethoven che da Wagner.

Non c’è da meravigliarsi se la vicenda è pessimista e misogina. Questi erano solo due degli aspetti reconditi di quella corrente filosofica e massonica che dominò tutto il XVIII secolo ed esplose nella Rivoluzione Francese. E’ noto che i più grandi illuministi furono misogini: Voltaire disprezzava le donne non disdegnando, però, di farsi mantenere dalle sue ricche amanti, che stregava con la sua intelligenza; Rousseau, che non si sentiva “padre”, spedì all’orfanotrofio i suoi sei figli man mano che nascevano, non ritenendo neppure necessario sentire il parere della loro madre; il Re di Prussia Federico il Grande, anch’egli illuminista e grande amico di Voltaire, pur non essendo omosessuale non volle mai accanto a sé una regina perché si fidava più degli ufficiali usciti dall’Accademia di Potsdam, da lui fondata, che delle donne. Perché Da Ponte avrebbe dovuto essere diverso? Non aveva respirato anche lui in quell’atmosfera, razionale e ottimista solo a parole?

Comunque, i caratteri dei sei personaggi di quest’opera sono scolpiti, sia  poeticamente che musicalmente, a tutto tondo e questo è quello che conta, anche se moralmente non si salva nessuno. A differenza che nelle “Nozze di Figaro” – in cui le donne finiscono per beffare il Conte d’Almaviva, gelosissimo di sua moglie, ma prontissimo a portarsi a letto le domestiche  – in quest’opera il sesso femminile fa una ben magra figura. Fiordiligi e Dorabella appaiono come due scioccherelle incapaci di resistere, appena i loro fidanzati si sono allontanati, al corteggiamento dei due (supposti) sconosciuti e la loro servetta Despina, cooptata nella trama da don Alfonso con la lusinga del denaro, appare (come dicevo poc’anzi) più furba che intelligente, perché neppure lei riconosce i due uomini mascherati. Guglielmo e Ferrando, poi, la cui anima è riposta solo nella spada, non sono certo figure eroiche e virili come don Giovanni, ma denotano una totale assenza di senso morale, prima accettando una scommessa basata sull’inganno, poi meravigliandosi nel constatare che le loro fidanzate sono cadute nel tranello che essi stessi avevano accettato e contribuito a realizzare.

E don Alfonso? Da Ponte e Mozart riescono, ciascuno con la sua arte, a rendere simpatico un personaggio che dovrebbe risultare odioso. Don Alfonso non si limita a inoculare il sospetto nelle menti dei due giovani ufficiali, usandoli come cavie per affermare la propria visione del mondo ma, al pari del serpente biblico, si adopera concretamente per indurre in tentazione le due ragazze – sciocchine sì, ma fino a quel momento fedeli – architettando l’inganno nel quale esse cascheranno e corrompendo col miraggio del denaro la servetta per assicurarsene la complicità. Il suo esperimento conduce a esiti sconvolgenti: la natura umana, messa alla prova in una situazione inedita, rivela tutta la sua debolezza e la precarietà dei sentimenti amorosi. Più pessimista di così …!  Hanno ben ragione i cristiani, ammaestrati da Gesù, a chiedere al Padre:  “Non indurci in tentazione, ma liberaci dal male”, perché nessuno sa cosa può capitare in una situazione inattesa e nessuno può salvarsi dal peccato con le sue sole forze.

Ma, un momento … Alla fine – ed eccomi arrivata all’aspetto di questa vicenda che più mi dà da riflettere  – forse una piccola catarsi, forse una briciola di speranza e ottimismo, si possono trovare anche in quest’opera apparentemente così negativa. L’intrigo si conclude col matrimonio delle due coppie e sarà fondato non più sulla fiducia cieca e apodittica, ma sulla realistica consapevolezza della debolezza umana. Il tradimento in amore si è sempre verificato e oggigiorno, con il venir meno della riprovazione sociale nei liberi comportamenti sessuali, ha perso molto della sua carica devastante perché si può rimediare facilmente: nel fidanzamento o nelle convivenze si pone fine al rapporto tout court; nel matrimonio l’adulterio conduce facilmente al divorzio. Niente di tutto ciò in Così fan tutte: è lo stesso don Alfonso, cinico, illuminista, pessimista e misogino, a consigliare i due ufficiali di sposare ugualmente le loro fidanzate, non solo perché essi le amano ancora, ma (a mio giudizio) perché il buon Lorenzo Da Ponte (specchio del suo tempo che parla attraverso la bocca del filosofo),  nonostante la vita libertina e avventurosa che condusse, ancora credeva nel significato antropologico, etico e sociale del Matrimonio. Il secolo dei lumi aveva addirittura inventato il matrimonio civile, sancito poi nel Codice Napoleonico, per non renderlo esclusivo appannaggio della Chiesa, segno che quell’antichissimo istituto era ancora ritenuto capace di assicurare la tenuta umana e civile della società. Ma oggi che succede?

 Oggi il pessimismo dilaga sovrano. Il matrimonio non conta più nulla perché si vuole attribuirne la natura a rapporti umani che non hanno nulla di rapportabile  ad esso, il che equivale a dire che il matrimonio sta morendo e forse tra qualche decennio esso sopravviverà  nella sua natura  sacramentale, solo per i cattolici “bambini”. Forse dovremo prendere esempio dalla più libertina opera di Mozart? Sarebbe un paradosso davvero strano… ma chissà che non funzioni lo stesso?

4 commenti su “Mozart, Da Ponte, l’illuminismo e il matrimonio – di Carla D’Agostino Ungaretti”

  1. A me è chiaro che il matrimonio come istituzione civile è già morta, già oggi la distanza fra ciò che è il matrimonio e ciò che dice la legge sul matrimonio è siderale.
    Il diritto di famiglia già oggi, assieme a molte altre leggi, è violento e bugiardo, ed è meglio per tutti starne lontano il più possibile.
    Unica salvezza nel diritto canonico, finché regge alla marmaglia modernista che si sta prendendo anche la Chiesa.

  2. Cesaremaria Glori

    Lorenzo Da Ponte, alias Emanuele Conegliano da Ceneda (ora Vittorio Veneto), compose “Così fan tutte” per rinnovare il successo dell’opera buffa ” La grotta di Trofonio” musicata da Salieri su libretto di Giovanbattista Casti, uno dei concorrenti di Da Ponte. Entrambe le opere sono un tipico prodotto dell’ ambiente imbevuto di spirito massonico e libertino favorito dalla politica anticlericale dell’imperatore Giuseppe II, quel sovrano che volle anche l’esecuzione del singspiel che stava avendo tanto successo a Francoforte col titolo Die Figaro’s Hochzeit (= Le nozze di Figaro). Il singspiel era eseguito dalla compagnia di Grossmann, notoriamente legato al compositore Andrea Luchesi (Motta di Livenza 1741- Bonn 1801) maestro di cappella a Bonn e maestro del giovane Ludwig Van Beethoven. L’imperatore volle che questo singspiel (variante tedesca dell’opera buffa italiana) venisse tradotto in italiano, che era la lingua dell’ambiente aristocratico viennese e dell’intera élite asburgica, giacché il suo soggetto, al pari dei due lavori sopra accennati – La Grotta di Trofonio e Così fan tutte- era improponibile alle masse borghesi e popolari. Casti venne a sapere che l’imperatore aveva affidato a Da Ponte la stesura del libretto italiano per il singspiel e, d’accordo con Salieri, scrisse l’opera Buffa ” La musica prima delle parole” con la quale mette alla berlina il compositore Mozart che starebbe adattando la musica altrui sul nuovo libretto. Il successo della piccola opera del duo Salieri – Casti fu lusinghiero ed ebbe funeste conseguenze sul futuro viennese di Mozart, giacché l’aristocrazia e l’alta borghesia viennese abbandonarono le sue esibizioni concertistiche, al punto che la Corte imperiale dirottò le prime dei successivi lavori di Mozart a Praga, ove il pubblico non era a conoscenza di quei retroscena. Il risultato dell’esecuzione dell’operetta di Casti – Salieri fu che il librettista fu esonerato con grande soddisfazione di Da Ponte. C’è da aggiungere che Da Ponte ebbe appoggi, protezione e aiuti da Giacomo Casanova, altro italiano navigante nell’ambito massonico germanico. Che anche Da Ponte fosse imbevuto di spirito massonico non c’è alcun dubbio, ma non venne, probabilmente, affiliato, a motivo del suo carattere incostante e per la sua personalità inaffidabile per le esigenze di una setta. Da Ponte fu un donnaiolo impenitente sino all’incontro a Gorizia con la inglese Miss Grahl ( la Nancy tanto citata nelle sue Memorie) che divenne poi la sua inseparabile compagna cui restò fedele sino alla morte.Non la sposò mai, essendo lui stato consacrato prete. Personalità controversa quella di Da Ponte. Aveva un indubbio talento e quando dovette emigrare da Londra a New York a causa dei debiti accumulati non si perse d’animo e si industriò per far conoscere la cultura e la musica italiana dando vita al primo teatro lirico della futura metropoli.

  3. Normanno Malaguti

    Splendido l’articolo!
    e bellissimo anche il commento, veramente degno di quell’uomo di grande cultura che ne é l’autore.
    E’ stato un piacere spirituale e non soltanto, visto che sono un appassionato di storia.
    Vi ringrazio: dei due capolavori che si aggiungono a quello mozartiano.
    Circa la morale da trarne?
    Beh l’acqua va in basso, si sa.
    Ma ora non si tratta più dì acqua anche se inquinata, ma soltanto di Feccia infetta e mortifera per l’attuale società così prossima e proclive all’estinzione nella barbarie prossima ventura.

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