Multiculturalismo, la nuova religione politica (prima parte)

Ovunque nel nostro pezzetto di mondo si moltiplicano fatti che attestano l’esistenza e la portata di un attacco epocale contro la civiltà ereditata; si diffonde un furioso multiculturalismo deciso a polverizzare quel che resta dell’Europa di sempre. È in auge una vera e propria religione politica tesa a obliterare ogni traccia del passato per riconfigurare un’umanità nuova.

In Italia gli attacchi violenti, scomposti, gonfi di odio nei confronti delle giornate della famiglia hanno visto schierato al completo il gotha mediatico, accademico e intellettuale, con il rinforzo di personaggi dello spettacolo, politici di sinistra e, ahimè, non pochi esponenti cosiddetti moderati e della destra liberale. Chiesa cattolica in imbarazzato silenzio, rotto esclusivamente per prendere le distanze e deprecare “il metodo”.

In Francia da mesi la lotta dei gilè gialli, rivolta insieme economica e identitaria del vasto mondo di provincia, è repressa con violenza furibonda e demonizzata come retriva, conservatrice, antimoderna. In Spagna, il governo socialista vuole cacciare Franco dalla sua tomba dopo 43 anni, abbattere la grande croce della valle de los Caìdos e la legge punisce con pene più severe gli atti di violenza commessi da uomini, considerati in blocco violenza di genere. Un tribunale ha indagato il vice presidente del partito Vox per aver affermato in un comizio elettorale di voler combattere l’islamizzazione. Delitto di odio, secondo il magistrato, omologo alla nostra legge Mancino.

Se fossimo polemisti politici, chiameremmo “progrecrazia” il totalitarismo progressista che, con il pretesto della difesa di ogni minoranza, di ogni causa estrema e di qualunque gruppuscolo di squinternati, sta imponendo a società libere un soffocante burqa ideologico. Un cuore di tenebra si è impadronito dell’Europa e dell’occidente, e lancia contro la civiltà nostra l’attacco finale, facendo suo il grido di Kurtz, il protagonista del romanzo di Conrad, l’orrore, oh, l’orrore.

Sì, impera l’orrore, rivolto contro secoli e millenni di storia comune, imposto da una proterva minoranza di chierici della dissoluzione. Fa specie il silenzio di chi non condivide l’agenda progressista e soprattutto l’incapacità della destra culturale di opporre valori, principi, simboli e convincimenti all’attacco sferrato da quello che dobbiamo chiamare nemico. La destra politica sembra perduta alla causa, dedita agli intrighi al servizio del potere economico, finanziario e tecnologico neoliberista.

Tentiamo di ricostruire ciò che sta accadendo, comprenderne la portata, svelare il progetto storico di quanto è sotto i nostri occhi, la nascita e l’imposizione di una religione civile del tutto nuova, il multiculturalismo. Il suo perno è l’aggressione contro gli europei, le loro idee, credenze, tradizioni, modi di vivere, identità religiose, spirituali e culturali attraverso l’enfatizzazione di ogni minoranza, la mistica rovesciata dei diritti umani e la rilettura in senso distruttivo dell’intera esperienza storica, civile, valoriale dei nostri popoli. Come termiti, stanno portando a termine dal di sotto, da tutte le sentine della società, una distruzione lungamente programmata e realizzata in tappe successive.

Il crollo finale è questione di tempo, ma che cosa resterà oltre le macerie? Una legalità astratta in cui dominerà la legge del denaro, la divisione in innumerevoli ghetti e segmenti l’uno contro l’altro armati, tra solitudine, vuoto esistenziale, aridità intellettuale, ogni bizzarria e qualunque follia spacciata per originalità, l’ossessione di distinguersi in un mondo di automi identici, la finta neutralità del potere, depositario della nuova verità imposta.

Tralasciamo due aspetti, l’evidente alleanza tra le oligarchie del denaro e della tecnica e le transavanguardie progressiste multiculturali, nonché il mezzo metaculturale utilizzato, la neolingua politicamente corretta, per concentrarci sulle radici del fenomeno, i suoi ascendenti ideologici, i suoi scopi ultimi. Illuminante, al riguardo, è l’opera di un giovane pensatore franco canadese, Mathieu Bock-Coté, autore del fondamentale saggio Le multiculturalisme comme religion politique, un testo che non vedremo tradotto nella nostra lingua.

Formatosi in Nord America, Bock-Cotè riconosce la scia delle guerre culturali annunciate da Herbert Marcuse e Theodore Roszak, il padre del termine controcultura, accolte dal post Sessantotto francese per definire una nuova legittimità, la diversità multiculturale. In sostanza si tratta dell’eliminazione delle culture nazionali europee e nordamericane come fonti di trasmissione di valori e idee. Tematizzata mezzo secolo fa, la negazione della civiltà occidentale trionfa oggi, nonostante il suo arsenale concettuale si limiti a disconoscere le tradizioni che combatte.

Agisce un nichilismo del presente che ci riporta al sanguinario utopismo comunista, quello del giovane Marx e del vecchio Bakunin, screditato dopo la caduta del muro di Berlino, risorto con implacabile ferocia leninista per impadronirsi di quelli che Antonio Gramsci chiamò apparati ideologici. Hanno occupato, in Europa e in America, le casematte del potere educativo e dei mezzi di comunicazione, cattedre da cui impartiscono la loro velenosa lezione. Officiano uno storicismo pezzente, un’apocalisse semianalfabeta, una rivoluzione senza possibilità di dialogo dinanzi a ogni conflitto: sesso, razza, religione, classe sociale, età.

Il passato, sempreché sia europeo o occidentale, è colpevole di tutti i problemi esistenti; la soluzione è cancellare la nostra civiltà colpevolizzandola dei fallimenti altrui. Siamo ben oltre l’oicofobia, l’odio di sé, della propria casa, teorizzato da Roger Scruton. Per questo distruggono non solo le idee, ma innanzitutto i simboli: la nostra è la prima civilizzazione che non solo non vuole, ma neppure comprende o riconosce i simboli. Bandiere, personalità eminenti, date che rappresentano i valori unitari delle comunità sono disprezzate, ridicolizzate, condannate all’oblio o alla damnatio memoriae.

Diventa “discorso di odio”, punito a termini di legge penale, l’amore di ciò che è proprio, con una inversione semantica che lascia sgomenti. E’ proibito l’amore per il passato comune, per la religione ricevuta, per la patria costruita, i miti e i simboli che la sostengono. Il multiculturalismo ha un fine preciso: dissolvere tutto ciò che è comune. L’impulso irrefrenabile di delegittimare sino all’ illegalizzazione – una finestra di Overton invertita- tutto ciò che i paesi europei e di radice europea hanno apportato all’umanità è la forma postmoderna del totalitarismo, un pericolo mortale per una cultura che, senza radici, è condannata a sparire. Riaffiora la preoccupazione di Benjamin Constant, un liberale che sapeva vedere il pericolo della libertà moderna, in cui gli uomini, assorti nel godimento dell’indipendenza privata e nel perseguimento degli interessi individuali, rinunciano a partecipare al dibattito civile.

E anche all’onere di pensare, ricordando che la libertà degli antichi, è la lezione di Constant, consisteva nella partecipazione attiva alle decisioni della comunità in cui ci si identificava. Vale per il multiculturalismo la definizione allarmata data al politicamente corretto da Marcello Veneziani. Una lente ideologica che altera la vista di uomini, idee e cose secondo un pregiudizio indiscutibile, assunto a priori come chiave della verità, del bene e del progresso: tutto ciò che proviene dal passato (dal nostro passato, beninteso) è falso, superato, negativo.

Screditato il marxismo reale, tramontato il sogno della rivoluzione, la palingenesi è l’unificazione dello spirito ex comunista e neoliberale, fusi nel codice progressista i cui eroi positivi sono il migrante, il nomade, la femminista, l’omosessuale, il nero, lo straniero. E’ una miracolosa tisana che infonde la benefica sensazione, per chi vi aderisce, di essere buoni, giusti, moderni, moralmente superiori.

Il multiculturalismo è apparso negli Anni 60 come una rivelazione. Non pretende di migliorare la società, ma di smantellarla per rifarla integralmente secondo un’antropologia di nuovo conio. Si presenta con un’inusitata escatologia: da un lato il mondo di ieri, colpevole di peccati imprescrittibili contro la diversità, dall’altro il mondo di oggi, teso al paradiso “diversitario” transnazionale, tappa ultima dell’avventura umana e unico volto possibile della postmodernità. Secondo le tavole della legge multiculturale, le vecchie istituzioni si devono estinguere a vantaggio delle rivendicazioni di tutti gli esclusi della terra, circonfusi, in quanto tali, dell’aura cristica dei reietti da riscattare.

Da ciò scaturisce una concezione assai particolare dello scontro politico, poiché i chierici del multiculturalismo non considerano la democrazia il mezzo del confronto tra concezioni concorrenti del bene comune, ma il terreno da cui sradicare il Male. Chi non si converte al culto “diversitario” è il diavolo in persona, e Satana è per definizione intollerante, razzista, omofobo, islamofobo, eteropatriracale, eccetera. Il dibattito pubblico è confiscato da una minoranza, il clero progressista che minaccia di innalzare roghi al pensiero dissidente.

Il multiculturalismo sorge sulle rovine del comunismo come metamorfosi dell’immaginario marxista. Fin dagli anni Cinquanta del Novecento alcuni intellettuali marxisti presero atto che l’URSS, la loro Gerusalemme, assomigliava più a un infermo concentrazionario che a al paradiso dei lavoratori. Fu la prima fase di un socialismo migrante, o tropicale: molti cercavano la terra promessa in Cina, a Cuba, in Africa. Ma è solo dagli anni Sessanta che il progressismo cambia pelle e si stacca dall’ortodossia rossa.

Il Sessantotto marca il trionfo del “gauchisme”, la controcultura che scavalca il comunismo a sinistra e riformula il mito rivoluzionario. E’ l’epoca in cui Herbert Marcuse parla con disprezzo di “classi popolari conservatrici”. La sinistra radicale constata che il proletariato aspira più a divenire classe media che alla rivoluzione; si prepara ad agire senza il popolo e, se necessario, contro di esso. Il ruolo di nuove categorie levatrici della rivoluzione è assegnato alle minoranze, nel senso più ampio del termine.

È ovvia la debolezza concettuale del nuovo verbo. Perché vivere insieme se non si condivide la stessa cultura, si chiede Mathieu Bock-Coté? Il multiculturalismo, lasciando senza risposta tale quesito fondamentale, anziché mantenere le sue promesse, non produce che una pluralità infinita di appartenenze entro società frammentate, divise in mille comunità ciascuna con una diversa tavola di valori, potenzialmente ostili e spesso incompatibili. La critica deve tuttavia andare oltre gli aspetti dei rischi alla pace civile. L’ideologia multiculturalista obbedisce a una logica di estirpazione delle radici basata sullo smantellamento delle istituzioni e dei sistemi normativi vigenti attraverso l’inversione del dovere di integrazione.

L’immigrato non deve più inserirsi nell’alveo della cultura d’accoglienza, ma è questa che si deve adattare a quella di importazione, perdendo così il suo statuto referenziale. La famiglia naturale, definita tradizionale per rinchiuderla nel passato oscuro, non vale più di ogni altra unione provvisoria e persino momentanea. Le regole e le credenze di ieri diventano, al massimo, opzionali, salvo per espiare i crimini commessi contro le diversità santificate, il che conduce ad una rapida estinzione.

Erede del marxismo in decomposizione con la complicità interessata del liberismo economico, grande beneficiario della decomposizione sociale, il multiculturalismo ha rinnovato in profondità il progetto progressista, sino a convertirlo in religione politica imposta per coazione a ripetere, intimidazione e demonizzazione dell’avversario. Il multiculturalismo ha conseguito una grandiosa vittoria ideologica in coincidenza con la sconfitta storica del comunismo reale novecentesco, riuscendo a diventare intellettualmente e mediaticamente dominante a partire dagli anni 90, nonostante le ripetute disfatte elettorali di tutte le sigle vetero e neo comuniste. Preso atto della sconfitta definitiva del comunismo come prospettiva economica, la nuova sinistra, osserva Bock Coté, è riuscita a imporre il suo discorso nel vasto campo della “democrazia diversitaria”. La nuova alba rivoluzionaria è stata rivolta a realizzare il crepuscolo tanto atteso dello Stato nazionale e della democrazia una volta borghese.

I nuovi Lumi non sono venuti dall’Oriente, vaccinato contro l’infezione comunista, ma dal cuore della cultura occidentale, le università. Preso atto che il proletariato non è più la classe eletta e che la storia ha decretato il fallimento del comunismo, i ceti intellettuali hanno pensato di rifiutare in blocco il passato e porre sul trono ogni genere di minoranze. Nei pensatoi universitari si sono sviluppate le teorie della decostruzione, trasformate in vero e proprio progetto politico negativo, il multiculturalismo che rifiuta tutto ciò che unisce ed esalta ogni subcultura, devianza e condizione minoritaria, una filosofia fondata, conclude Bock-Coté, “sulla disoccidentalizzazione e la denazionalizzazione”.

Lo sbocco è una società destinata a scomporsi in mille rivoli, un fiume impantanato in un delta paludoso che non trova la via del mare. Privo di centro, avverso all’unità, il multiculturalismo fondato sulle sabbie mobili decreta la fine della nostra civiltà per tedio di sé. Un suicidio senza istinto di conservazione, una resa senza condizioni nell’ indifferenza delle proprie ragioni. L’agonia è lunga, durerà ancora decenni. Emil Cioran, pessimista di genio, scrisse che una civiltà tanto grande e di così lunga durata avrebbe avuto una fine prolungata e dolorosa. Non previde il multiculturalismo, per il resto fu buon profeta.

(1 – continua)

5 commenti su “Multiculturalismo, la nuova religione politica (prima parte)”

  1. Carla D'Agostino Ungaretti

    Credo che questa ottima e veritiera analisi si possa riassumere in poche parole: il demonio ha preso il sopravvento in Europa e in tutto l’occidente con l’acquiescenza della Chiesa che da Pio XII in poi ha cominciato anch’essa a dubitare dell’esistenza del “nemico”.

  2. Il teologo don Paolo Squizzato, intervistato sa da TV2000, ha affermato con la massima tranquillità, fra le altre bellissime cose, che l’Atto di dolore è “una preghiera assolutamente non cristiana”, “una tremenda preghiera” che, “purtroppo”, viene ancora recitata in molte chiese. Da non credere, ma le sue parole non lasciano dubbi :
    “Noi, parlo di Chiesa, Chiesa ufficiale, la Chiesa dei preti, abbiamo credo infangato molto il termine e concetto di peccato; l’abbiamo pensato anzitutto come una trasgressione, come infrazione a una norma, a un comandamento e quindi come un’offesa fatta a Dio. Tutto questo è rimasto in quella tremenda preghiera che purtroppo viene ancora usata, so, da alcuni catechisti, che è l’Atto di dolore: “perché con il peccato ho offeso Te, infinitamente buono, e per questo merito i tuoi castighi”. È una preghiera che non ha nulla di cristiano perché Dio non si può offendere e poi Dio non castiga, perché Gesù è venuto a rivelarci un altro tipo di Dio, di Padre”.
    http://www.accademianuovaitalia.it/index

  3. …….
    Ho già avuto occasione di udire simili parole durante l’omelia domenicale (in particolare nel commento al passo evangelico dell’invitato a nozze gettato fuori, legato mani e piedi, perché presentatosi senza l’abito nuziale) per cui non mi sorprende adesso questo tale Squizzato.
    Ma allora, mi chiedo, ma allora come la mettiamo con l’Ave Maria? Rottamiamo anche quella, perché recita “prega per me peccatore” evidentemente per ottenere il perdono da Dio e non essere castigato, altrimenti per quale motivo chiederemmo a Maria SS.ma di pregare per noi? E l’Incarnazione, che senso avrebbe avuto senza il sacrificio espiatorio (ripetuto nella S. Messa, non certo una memoria, una cena: balle!) di Cristo Redentore, che ci evita a tutti il castigo della dannazione eterna? Ma che stiano dando fuori di testa questi preti modernisti?

  4. La “fine della nostra civiltà per tedio di sé”. Il “suicidio senza istinto di conservazione”. La “resa senza condizioni nell’indifferenza delle proprie ragioni”. Queste sono caratteristiche di tutta quanta la nostra civiltà, non di un manipolo di intellettuali nemici interni. A cosa è dovuta questa apatia, questa incapacità di reazione? Non è evidente che stiamo mettendo da soli la nostra testa nel capestro? Non teniamo alla sorte del nostro Paese dopo di noi, alla sorte dei nostri figli? Sta qui il mistero tragico del nostro presente. Che il Cielo non ci abbandoni.

  5. Questo scritto di Roberto Pecchioli, sempre limpido, cristallino e mirante alla profondità delle cose, perché Pecchioli analizza le cose alle loro radici, capita nella Settimana Santa che vedrà la Santa Pasqua di Resurrezione lo stesso giorno del Natale dell’Urbe dalla quale nascerà quell’Imperium che accoglierà il Verbo Incarnato. In questo frangente storico, colmo di segni palesanti la dissoluzione satanica, l’imminente 21 aprile possa rappresentare l’inizio, o meglio, la resurrezione di una Civiltà da quasi tre secoli attaccata, umiliata, martoriata.

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