Nello scrigno segreto del C’era una volta… – rubrica quindicinale di fiabe, curata e illustrata da Elena Manetti

Parte seconda: le fiabe regionali del Piemonte

San Giorgio e il camoscio

Nella vita ci sono molti tipi di obiettivi; ciò è assolutamente normale, ma bisogna tener conto di cosa è davvero importante e di cosa non lo è.

Cari bambini, quali sono gli obiettivi più importanti, quelli materiali (che ci creiamo durante la nostra vita terrena) o quelli spirituali (che riguardano la nostra anima)?  Ovviamente quelli più importanti sono quelli spirituali, che a volte, purtroppo, tendiamo a dimenticare e, di conseguenza, ad ignorare per raggiungere degli scopi del tutto superflui. Ma non è mai troppo tardi per rimediare ai propri errori e Dio Onnipotente è sempre pronto ad ascoltare le nostre preghiere, Lui e i suoi Santi.

 

Era una bestia magnifica, un camoscio quale il bravo cacciatore, già vecchio del mestiere, non aveva visto mai l’eguale. Quando l’aveva scorto per la prima volta, sulla Forcella degli Abeti Tronchi, esso era troppo lontano per poterlo colpire. Allora egli aveva tentato di avvicinarlo; ma, appena l’uomo si era fatto sotto, il camoscio era scomparso.

Per tutta quella notte il vecchio cacciatore non poté prender sonno, pensando a quel magnifico camoscio.

Il giorno dopo, quando era ancora buio, egli partì di casa con l’idea di uccidere la bestia e poi tornare per assistere all’ultima Messa. Era domenica, e il cacciatore non veniva mai meno ai suoi doveri religiosi.

Sulla Forcella degli Abeti Tronchi il camoscio non si fece aspettar molto: apparve in tutta la sua possanza della corporatura vigorosa e snella, e un po’ bruciava il musco sui sassi, un po’ guardava in giù verso il cacciatore quasi in atto di sfida. Questi si accosta cautamente, prende la mira e fa fuoco.

Pam, pam! Due pallottole da lupo.

Ma il camoscio spicca un salto e se ne va su per i fianchi del monte, come se invece di due pallottole avesse avuto due carezze.

Il cacciatore rimase sbalordito. Una cosa simile non gli era mai capitata in vita sua.

La bestia era a tiro, egli aveva mirato bene, le cartucce erano buone, il suo occhio non aveva rivali nella valle: eppure il camoscio riapparve poco dopo su di uno scheggione, da dove guardava giù beffardo.

Adagio, nascondendosi abilmente, il cacciatore si si fece ancora più sotto che poté, ed appena fu a tiro sparò.

Ancora una volta il camoscio balzò via e si portò un centinaio di metri più in alto.

Disperazione, rabbia e umiliazione s’impadronirono dell’animo di quell’uomo. Egli non pensò più a nulla e si diede a corpo perduto all’inseguimento della bestia, dimenticandosi della Messa.

Finalmente, dopo avere sparato ancora due o tre volte, la bestia cadde a terra. L’uomo le balzò addosso, se la caricò sulla schiena e si mise a scendere verso la valle. Era già tardi: dal fondo valle le campane suonavano il mezzogiorno, la Messa era finita.

Il pensiero di non aver santificato la festa rattristò il cacciatore, e poi… che affanno portar quel camoscio!

La bestia che egli portava sulle spalle pesava come piombo, gli sembrava di aver addosso una montagna. Più andava giù, più il peso pareva aumentare.

Alla fine non ne poté più. L’uomo gettò a terra la preda, borbottando indignato: «Neanche fosse il diavolo!…»

Non aveva finito di pronunziare quelle parole, che una terribile sghignazzata gli risuonò all’orecchio e il camoscio, balzato in piedi, gli ghignò in faccia: «Come tu mi hai portato fin qui, così io ti porterò con me, dove sto io!»

A questo punto il manipolato cacciatore si ricordò d’aver sempre portato la massima devozione a San Giorgio, e in quel momento non seppe far di meglio che raccomandarsi al suo santo protettore.

E allora avvenne una cosa strabiliante: il santo guerriero apparve e, davanti all’uomo esterrefatto, una terribile lotta si ingaggiò tra il demonio sotto forma di camoscio e il patrono disceso dal cielo per proteggere chi lo aveva invocato.

Dopo un gran battagliare a colpi di testa e fendenti di spada, il signore dell’inferno dovette battere in ritirata.

Il cacciatore non trovò più il camoscio morto ch’egli aveva portato fin lì, ma fu ben contento di precipitarsi a valle e andare in chiesa a ringraziare Iddio dello scampato pericolo.

E poiché nel momento critico aveva formulato un voto, ordinò ad un pittore locale di dipingere, sulla parete della chiesa parrocchiale, la scena dell’epica lotta tra San Giorgio e il diavolo: e vi si vede ancora, sullo sfondo, un cacciatore che tira ad un grosso camoscio. Quella chiesetta è a Balme.

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