di Mauro Faverzani
fonte: Corrispondenza Romana
La prima esagerazione sta nelle date: l’Unione Europea così codificata si è costituita il 7 febbraio del 1992 col trattato di Maastricht, entrato poi in vigore il primo novembre del ’93. Ed anche l’euro, tristemente unico elemento comune agli Stati aderenti, è in vigore dal primo gennaio del 1999 ed in circolazione dalla stessa data del 2002. Dunque, assegnare il Premio Nobel per la Pace all’Unione Europea, dando quale motivazione l’aver contribuito «per oltre sei decenni all’avanzamento della pace, della riconciliazione, della democrazia e dei diritti umani in Europa» stride nettamente col calendario ed è quanto meno inesatto, quando non demagogico.
Anche perché, come sempre, occorre intendersi sul concetto di “pace”: capire cioè se si voglia far rientrare in esso anche i silenzi sui massacri in Siria oppure le varie operazioni internazionali condotte e quelle in programma ‒ ricordiamo ex-Jugoslavia e Libia per tutte ‒, l’ultima delle quali predisposta nel Mali, assolutamente doverosa qualora voglia spezzare il regime di terrore imposto da Al Qaeda, meno invece quando sia mirata principalmente a tutelare l’influenza francese ‒ soprattutto economica ‒ in quella regione. Giustamente, osservava “il Giornale” lo scorso 14 ottobre, «i soldati africani spareranno, i francesi comanderanno e i partner europei pagheranno».
I sessant’anni senza guerre non si devono dunque all’Unione Europea, che ancora non era nata, ma a ben altri fattori. E già questo la dice lunga sulla retorica “politicamente corretta” intrinseca a tale riconoscimento, che giunge ‒ va notato ‒ nel periodo anzi di peggiore crisi istituzionale, quando cioè massimo è l’attrito tra Bruxelles e l’opinione pubblica ‒ come denunciano i disordini di Atene e Madrid ‒ a fronte di un’austerity, causa della pesante recessione, che stritola i contribuenti e le loro famiglie, lasciando intatti solo i privilegi della cosiddetta “casta” di burocrati e politici. Ma acuta è anche la diffidenza tra i Paesi membri, in particolare tra Germania, Francia, Italia, Grecia, Spagna.
Non a caso il leader del britannico Independence Party, Nigel Farage, ha definito una «disgrazia totale» questo Nobel, curiosamente assegnato dal comitato norvegese ovvero di una Nazione mai entrata a far parte dell’Unione, prospettiva anzi bocciata due volte per via referendaria. Né l’Europa oggi può fregiarsi di patenti di democrazia, non essendo elettivi i suoi organi veramente decisionali, ed anzi interferendo pesantemente sulla vita democratica degli Stati membri. In una recente intervista, il filosofo Kenneth Minogue ha evidenziato come il governo italiano sia «stato scelto dall’Europa», anziché dalle urne. Anche sul fronte etico le frizioni sono palpabili: sono inconciliabili col comune sentire e con le radici cristiane dei popoli europei pressioni quali quelle esercitate dalla Commissione Europea, ancora recentemente, a favore del riconoscimento delle coppie gay, chiedendo il «mutuo riconoscimento» in tutti gli Stati membri delle nozze omosessuali celebrate nei Paesi ove già siano ammesse, infischiandosene delle singole legislazioni nazionali.
Un’assegnazione, insomma, quella del Nobel per la Pace all’Unione Europea, che lascia quanto meno sconcertati, come già fece l’analogo riconoscimento dato ad un Barack Obama da poco eletto, nonostante la sua Presidenza abbia dimostrato poi nei fatti di non esser né brillante, né esemplare. È strano come quel premio giungesse agli inizi del suo mandato e come questo all’UE giunga alla fine, rafforzandolo proprio poco prima del giudizio degli elettori statunitensi. Tali decisioni gettano in ogni caso pesanti ombre sulla credibilità del riconoscimento, come già avvenne ‒ ed in modo plateale ‒ con l’attribuzione di un altro Nobel, questa volta per la Letteratura, a Dario Fo. A meno che tutto non voglia ridursi alla messinscena di un “mistero buffo”…