OBAMA È IL MALE? PROFILO DI UN UOMO CHE PUO’ GETTARE IL MONDO IN GUERRA (prima parte) – di Roberto Dal Bosco

di Roberto Dal Bosco

prima parte. La seconda parte sarà pubblicata domani, giovedì 29 agosto

 

di Roberto Dal Bosco

 

 

 

mnkCon il gonfiarsi del caso Datagate – cioè lo scandalo per cui la National Security Agency (NSA) spiava il mondo intero, ambasciate comprese –  anche i giornali mainstreamcominciano a porsi domande su Barack Obama e le aspettative tradite. Perfino ilCorriere della Sera, testata in genere molto filo-americana e alimentatrice del culto di Obama, è arrivato a parlare di «mito infranto»[1].

La foto di commemorazione dell’attentato in Tanzania del 1998, scattata in presenza del presidente dell’epoca George W. Bush ha indotti molti a chiedersi quali siano, in fondo, le grandi differenze nella gestione della prima Superpotenza globale.

«Obama appare – scrive il Corriere, che cerca di buttare un po’ di acqua sul fuoco – adesso come l’uomo che ha avallato l’ambizione da Grande Fratello della National Security Agency; il presidente che non ha saputo o voluto chiudere la prigione di Guantanamo; il leader che ha fatto massiccio ricorso all’uso dei micidiali droni per uccidere i terroristi e i sospetti terroristi islamici in Pakistan, Yemen e Somalia. Perfino in Africa, dove l’elezione del primo presidente americano nero, “un padre dal Kenya, una madre dal Kansas”, aveva alimentato speranze e attese, Obama ha trovato folle pronte a contestarlo. “Ha fatto campagna come Jimmy Carter, ma governa come Henry Kissinger”».

La realtà è che Obama è molto peggio di Kissinger. Contrariamente a quel che può sembrare a prima vista – un bel ragazzotto di colore che guida bonariamente la migliore democrazia del pianeta – mai gli Stati Uniti hanno avuto un Presidente così pericoloso, così assetato di sangue, così falso, così connesso con realtà oscure.

Il presente articolo vuole far capire quanto Barack Hussein Obama sia seriamente considerabile come l’uomo più pericoloso del pianeta. Le rivelazioni di Wayne Madsen – considerato dai giornali mondiali come la seconda talpa del Datagate salvo poi rimangiarsi tutto dopo aver capito chi è davvero Madsen – aiutano a pensare che il Presidente Obama abbia davvero un lato oscuro del quale si è evitato di parlare. Ma, a ben guardare, non sono solo i retroscena a rendere particolarmente maligna la figura di Obama, sono anche e soprattutto le azioni che ha intrapreso alla luce del sole: guerre, follie economiche, ideali ultra-abortisti sono solo alcuni degli aspetti evidenti per cui un Cattolico deve ritenere Obama come un agente del Male.

Obama guerrafondaio

L’elezione di Obama nel 2008 produsse una aspettativa entusiastica praticamente senza precedenti. Sull’onda di questa hype – molto ben congegnata dai suoi spin doctor, che hanno segnato per sempre il nuovo modo di fare campagna elettorale su internet – ad Obama dettero persino il Nobel per la pace. Un’iniziativa folle, che rende conto di quanto l’opinione pubblica mondiale fosse accecata dall’entusiasmo per il presidente nero, visto che proprio in quei mesi Obama stava preparando il Surge, ossia l’aumento delle truppe in Afghanistan.

Il presidente fu eletto sulla scorta di una serie di promesse di cambiamento («Change», «Cambiamento», era uno dei suoi slogan elettorali): avrebbe ridato onore agli Stati Uniti, dopo gli anni di Bush in cui l’immagine dell’America è stata devastata dall’inutile violenza delle guerre asiatiche e delle loro conseguenze interne: vi era dibattito intorno alla liceità delle renditions (ossia i rapimenti di cittadini stranieri su suolo straniero perché sospettati di collusione con i terroristi) nonché della tortura, specificamente il waterboarding, cioè l’annegamento simulato usato dalle forze americane sugli avversari, come ammesso apertamente anche nel film Zero Dark Thirty.

Obama, erettosi a paladino dell’America liberale e rispettosa degli Human Rights, dichiarò quindi che avrebbe chiuso anche la base di Guantanamo, un buco nero del diritto internazionale, una base USA in terra cubana dove molti combattenti islamisti sono detenuti illegalmente in condizioni oscene, tra trattamenti bestiali e torture psicologiche (come per esempio l’ascolto ripetuto e coatto di musica rock ad un volume intollerabile) raccontati ai media americani.

Dopo 5 anni, Guantanamo è ancora là, senza però che le anime belle che vedevano nel presidente nero una luce di speranza abbiano protestato più di tanto.

Non dimentichiamoci poi che Obama è l’uomo con il dito sul grilletto dell’arma nucleare. Il Presidente non ha certo brillato per la sua dedizione al disarmo atomico, anzi è stato accusato dalla Federazione degli Scienziati Atomici di tradire i presupposti della non-proliferazione.

Va rammentato come anche in questi anni si sia giunti ad una esiziale crisi dei missili, con l’amministrazione Obama intenzionata a piazzare razzi ai confini della Russia – specialmente in Polonia, ad esempio nella località di Redzikowo –  anche qui in perfetta continuazione con le idee militari di Bush, anzi rincarando ancora di più la dose. Il Cremlino, infuriato, reagì minacciando il piazzamento di missili a Kaliningrad, l’enclave russo in zona Polacca. Alcuni analisti hanno rilevato quanto sia pericolosa questa situazione: Obama gioca con il fuoco atomico. Una schermaglia con la Russia si tradurrebbe immediatamente nel rischio di uno scontro termonucleare. Non è una prospettiva remota, se si pensa a certi messaggi televisivi – censurati o ignorati in occidente – del Presidente Medvedev, che lasciava capire quanto la provocazione americana avesse oramai passato il segno.

Ma gli scherzi atomici non si fermano alla Polonia. Sempre il Guardian ha recentemente parlato di un caso che riguarda anche l’Italia[2]: dieci miliardi di dollari investiti per riadattare ben 200 testate nucleari ai missili guida in dotazione degli aerei di nuova generazione, come il famigerato F-35. Le bombe in questione, le B-61, sono stoccate attualmente nelle basi di Ghedi (Brescia) ed Aviano (Pordenone).

L’atomo obamiano, insomma, minaccia anche l’Italia.

Obama infanticida

pomSempre in termini di diritti umani, va ricordato quale fu, nel 2008, il primo atto di Obama da Presidente: Obama revocò la  Mexico City Policy, ossia la linea di condotta iniziata dal Presidente Reagan per cui lo Stato USA dismetteva aiuti economici alle ONG che praticavano l’aborto. Come prima mossa presidenziale, non c’è che dire, davvero chiara, ma non c’è molto da stupirsi: i coniugi Obama sono appassionati sostenitori della partial birth abortion, l’aborto a nascita parziale, procedura illegale grazie al senatore cattolico Rick Santorum. Per chi non sapesse di cosa si tratta, lo spieghiamo: Si tratta di una pratica abortiva con la quale si cavillava su quanto stabilito dalla Corte Suprema degli Stati Uniti: questa  ha  deliberato che la definizione di persona, così come intesa dal 14° Emendamento della Costituzione Americana, non può applicarsi al bambino quando è ancora dentro la madre. Una volta fuori, il bambino diviene giuridicamente una persona, per cui provocarne la morte (cioè, quello che avviene normalmente durante un aborto) sarebbe omicidio. Come fare dunque a sbarazzarsi legalmente di un piccolo se è già troppo grande, o se le altre tecniche hanno fallito?

Semplice: attenti a circumnavigare la Costituzione, si estrae il bambino dalla madre ma si tiene dentro la testa, quindi si effettua una incisione alla base del cranio dell’infante e se ne aspira il cervello, così quando è del tutto fuori dalla madre, il bambino è morto. Ultimamente sono balzati agli onori delle cronache casi in cui il personale medico taglia  con una forbice, mentre questo ha ancora il capo nel grembo materno, la colonna vertebrale del bambino. Questa immagine terrificante, orribile, rivoltante, non pare turbare per nulla gli Obama, anzi. Obama espresse pubblicamente disappunto quando la Corte Suprema considerò la limitazione del partial birth abortion. La mascolina moglie Michelle, in una lettera del 2004 spedita ai finanziatori dell’elezione del marito al Senato, definiva l’aborto a nascita parziale come «un legittimo atto medico», puntualizzando che il suo bando è «chiaramente anticostituzionale e va rovesciato»[3]. La cosa è tanto più grave se si considera che la coppia presidenziale non dimostra alcuna pietà per i migliaia di bambini afroamericani vittime dell’aborto, che colpisce – grazie alla campagna di morte di Planned Parenthood e soci – tanto più duramente nei ghetti, dove le ragazze madri squattrinate abbondano. Il mondo prolife americano ha chiamato questa immane tragedia Maafa, termine di lingua swahili (idioma parlato in varie regione del continente nero) con cui si designa la catastrofe di un 25% della popolazione nera che ora, a causa dell’aborto, manca. No, verso i piccoli “fratelli”, gli Obama sembra non provino alcuna empatia, al contrario: Michelle dice che bisogna terminarli tagliandoli la spina dorsale mentre stanno nascendo, con la partial birth abortion. Nessun sentimento di solidarietà coi fratellini neri, come invece sembra avere una erede dell’uomo cui – evidentemente a parole – Obama dice di ispirarsi, il paladino dei diritti civili Martin Luther King. Alveda Celeste King, nipote del reverendo assassinato, dopo aver abortito due volte tramite Planned Parenthood, è ora una delle più infuocate oppositrici dell’abortismo in USA, e sostiene che Margaret Sanger, l’iniziatrice di Planned Parenthood, sia considerabile a tutti gli effetti come una eugenetista razzista.

Obama marionetta di  Wall Street

Lo storico e analista geopolitico Webster Tarpley ha dei rapporti tra Obama e il potere finanziario un’opinione piuttosto eloquente: «se date un’occhiata ai nomi delle persone scelte da Obama, è tutta gente di Wall Street, da Wall Street e per Wall Street, non c’è nessuno dell’industria pesante, nessuno del settore auto, nessuno della Silicon Valley, nessuno dell’Industria petrolifera, nessuno della difesa, niente lavoro, niente donne, niente pensionati, niente piccole imprese, nulla. È pura Wall Street, le persone che hanno voce in capitolo nei consigli di Obama, sono oligarchi di Wall Street, tutto qui, nessun altro conta alcunché sotto Obama, è la più estrema amministrazione pro-Wall Street mai avuta in America».

obdlDefinire Obama un puro buratto degli speculatori internazionali può sembrare ingiusto: Obama si è mosso bene nel caso dell’industria dell’auto, alimentando le speranze delle masse operaie di Detroit anche tramite i maneggi della FIAT di  Marchionne, così come i suoi rapporti con i colossi informatici di Silicon Valley si sono dimostrati – ancorché segreti, come visibile nel Datagate – piuttosto solidi.

Eppure, il favore di Obama alla maxispeculazione bancaria è visibile dalla riforma della legislazione della finanza del 2010, dove, per esempio, l’emendamento McCain-Cantwell per restaurare il Glass-Steagal Act – ossia la sacrosanta separazione tra banche commerciali (che hanno il danaro della gente comune) e banche di investimento (che giocano in Borsa), introdotta dopo il ‘29 per arginare la Grande Depressione – è stato rimosso senza esitazioni. Il senatore Dorgan voleva apporre un emendamento che mettesse fine alla teoria del Too Big To Fail, «troppo grande per fallire», ossia l’automatico aiuto statale che il governo assicura alle grandi banche sul punto di collassare: emendamento bocciato. Il senatore Kaufman voleva limitare la dimensione delle banche: emendamento cancellato. Il senatore Whitehouse voleva limitare gli interessi sulle carte di credito e i mutui: rimosso. L’emendamento Blanche-Lincoln sarebbe servito a fermare le banche commerciali che investono in derivati: bocciato. Infine la Volcker rule, che è in pratica una nuova versione del Glass-Steagal che impedisce la speculazione delle banche sui derivati, fu parimenti abbandonata. Tutto questo, mentre in conferenze stampa e comizi Obama ringhia agli speculatori di Wall Street, promettendo di essere severo con i finanzieri miliardari.

La realtà del Bill della riforma finanziaria indica tutt’altra posizione.

La mancanza di una legislazione come il Glass-Steagal che protegge dalla ultra-speculazione permette alle banche e ai fondi di investimento ulteriori giuochi speculativi che permettono sì arricchimenti esponenziali, ma al contempo aprono – come si è visto nel 2008 – alla voragine di fallimenti che portano al meltdownfinanziario globale.

Questa tetra prospettiva, per Obama, non potrebbe essere nemmeno negativa – così almeno raccontano alcuni suoi sostenitori. Henry Kissinger, in una intervista in diretta sulla televisione CNBC poco dopo l’elezione 2008, disse che il collasso economico è una grande opportunità per portare un nuovo ordine del mondo, e che Obama era la persona perfetta per vendere questa operazione su scala planetaria: «lui può dare un nuovo impeto alla politica estera americana, in parte perché la percezione della sua persona è così straordinaria, e penso che grazie a questo possa svilupparsi una strategia complessiva per l’America, un periodo dove davvero può essere creato un nuovo ordine mondiale, è una grande opportunità, non è solo una crisi».

Obama “bianco”

L’opinionista repubblicana Ann Coulter lo ha ribadito diverse volte: l’unica cosa che aveva fatto di significativo, quello sconosciuto senatore dell’Illinois, era il fatto di essere nato nero. Non è una malizia: l’interminabile pagina inglese di Wikipedia relativa al presidente in carica, si apre esattamente così: «he is the first African American to hold the office».

In verità, la cosa da molti punti di vista è opinabile. Obama non è nero. Lo è tecnicamente, per il pigmento epidermico. Ma la sua storia personale parla di ben altro. I cinesi immigrati chiamano i loro figli nati in Italia xiāngjiāo, «banane»: gialli fuori, bianchi dentro. In questo senso, Obama è definibile come un «cocco»: marrone fuori, bianco dentro.

Pur scherzandoci sopra, lo ha ben messo in evidenza, con un video esilarante per il Jimmy Kimmel Show, anche il comico americano (lui veramente black) Chris Rock. Nel video andato in onda prima delle elezioni 2012, il comico nero chiedeva agli americani di «varietà caucasica» di votare un presidente bianco, cioè Barack Obama. Mostrava una foto dei nonni materni «così bianchi da dover portare gli occhiali da sole per non urtarsi gli occhi guardandosi l’un l’altro». Poi mostrava altre foto, Obama che fa surf, Obama che fa sport, tutte cose da bianchi. Esilarante il momento in cui si mostrava la famiglia Obama – classico marito moglie due figlie – accostata a quella dello sfidante Romney, in cui – più similmente a certe famiglie afroamericane, c’erano figli e famigli da tutte le parti: il mormone Romney era più nero di Obama. Infine la battuta su Obama che va nei ghetti per far volontariato: «noi neri non andiamo nei ghetti – si schernisce Chris Rock – ci stiamo già!». Risate

Niente, nella storia  di Obama, sa di afroamericano. Nulla è inquadrabile in una cornice della dolorosa, gloriosa epopea dei neri d’America . Obama è nato nel paradiso delle Hawaii e ha vissuto lontano dai ghetti dove impera il narcotraffico; Obama ha studiato ad Harvard con l’élite mondiale e non ha sulle spalle neanche una briciola della tremenda eredità della schiavitù; Obama non ha neppure, come vorrebbe l’immaginario tradizionale afro-statunitense, una adorabile nonnina nera che lascia raffreddare la torta di mele sul davanzale della cucina: la nonna di Obama, quella che viveva con lui alle Hawaii  era bianchissima ed era, come vedremo più avanti, un personaggio piuttosto losco, con grande probabilità legato alla CIA.

La razza di Obama, in definitiva, non è la razza africana: è la razza padrona.

Obama gay?

Il giornale britannico Guardian notò una interessante intervista di tale Wayne Madsen su un sito chiamato Privatesurgeon.com. Madsen, ex agente dell’NSA divenuto giornalista investigativo specializzato in whistleblowers, ossia “gole profonde” dei servizi (un tempo, in Italia, sarebbe stato chiamato con la parola non denigratoria di «pistarolo»), nell’intervista dichiarò che il Datagate si sarebbe esteso anche ai paesi europei, anch’essi vittime dello spionaggio digitale della NSA. Il Guardian pubblica l’articolo, poi neanche qualche ora dopo, l’articolo sparisce dal web. Anche la versione cache, ossia la copia conservata nella memoria di google che in genere resta per un bel po’ consultabile, sparisce in fretta.

okCosa è successo? Il Guardian, davanti alla sorpresa delle altre testate per questo comportamento, deve ammetterlo: non possiamo ritenere attendibile – dice il quotidiano inglese – un uomo che in passato ha fatto certe dichiarazioni… I giornalisti avevano pubblicato senza capire con chi avevano esattamente a che fare. Madsen sostiene infatti teorie che, semmai arrivano ai mainstream media, sono ritenute “fantasiose”, quando però sono solitamente documentatissime: tra le altre cose, Madsen sostiene che l’incrociatore Cole, la nave colpita dai terroristi in Yemen nel 1999, fu invece colpita da una torpedine di un sottomarino israeliano; che il virus H1N1 proviene da un ceppo di influenza inventato dai laboratori di guerra batteriologica dell’esercito americano; che i mercenari americani della Blackwater conducano operazioni in Pakistan camuffati da talebani per poi far ricadere la colpa sulle autorità di Islamabad incapaci di tenere a freno gli estremisti. Questo sono solo alcuni delle tesi – certo eterodosse – portate avanti da Wayne Madsen, che in genere esibisce quantità di fonti e documenti: per scrivere del recente conflitto in Siria, per esempio, si è recato sul posto, a differenza di molti altri giornalisti investigativi che raccontano le trame di guerra standone seduti tranquilli nella sede del loro giornale.

Ebbene, tra le tante cose che hanno imbarazzato il Guardian e gli altri giornali che si sono affrettati a far uscire articoli che dipingevano Madsen come un pazzo strambo (in Italia non poteva mancare il pezzo denigratorio di Guido Olimpio sul Corriere[4]), ve n’era una in particolare. Madsen avrebbe accennato ad una possibile omosessualità di Obama.

Il Madsen avrebbe trovato prova della membership di Obama ad un gay club di Chicago, la città base della carriera politica di Obama[5].

La storia più sconvolgente proviene dalla Trinity Church di Chicago del reverendo James Wright, tempio fulcro della teologia della liberazione afro-americana frequentata per 20 anni da Obama desideroso di ottenere la patente di “fratello” nero – come è noto, Obama, tra infanzia alle Hawaii con famiglia bianchissima e studi ad Harvard, in nessun modo può essere definito afro-americano secondo la comune definizione del termine. In questa Chiesa chicaghese avrebbe avuto relazioni in particolare con tre persone: il direttore del coro – apertamente gay – Donald Young, Nate Spencer e Larry Bland. Nell’arco di un mese e mezzo, a fine 2007, tutti e tre sono morti. Bland fu trovato morto crivellato di proiettili il 17 novembre 2007.  Stessa sorte di Young, ammazzato in uno stile da esecuzione, neanche un mese dopo, alla vigilia di Natale. Due giorni dopo, il 26 dicembre, muore di setticemia e HIV Nate Spencer. Il Tabloid Globe riuscì a parlare con la settantenne madre di Young, ex impiegata del Chicago Police Department, che ha dichiarato che suo figlio, definito «close friend» di Obama, è stato trucidato per proteggere qualcuno in alto.

A riprendere la storia è anche lo scrittore gay Larry Sinclair, nel libro Cocaine Sex Lies and Murder.  Sinclair sostiene di avere avuto lui stesso due rapporti sessuali con Obama. Madsen ritiene non credibile la storia di Sinclair, ma ha rilevato come i candidati oppositori di Obama (Hillary alla primarie, McCain alle presidenziali) abbiano valutato con cautela come cooptare Sinclair e le sue rivelazioni.

Il quadro va completato dalla figura di Rahm Emanuel. Ex onnipotente capo di Gabinetto della giunta Obama, Emanuel è un personaggio davvero interessante. Uomo tutto di un pezzo, è figlio di un terrorista dell’Irgun, la brigata paramilitare ebraica che compì nel 1946 un micidiale attentato contro gli inglesi, la famosa bomba dell’Hotel King David. Emanuel ha combattuto come volontario nella prima guerra del Golfo, ma non con l’esercito del suo Paese di residenza, l’America, ma con quello del suo secondo passaporto, Israele. Conosciuto universalmente come un duro, Emanuel ha una laurea in… balletto. Le illazioni vorrebbero che Emanuel, che sarebbe membro con Obama di un noto bagno turco per omosessuali di Chicago, trarrebbe il suo potere dal fatto che tiene sotto costante ricatto Obama – ad accennarvi è stato anche l’ex agente americano esperto in guerra psicologica Steve Pieczenik, che non è esattamente l’ultimo dei pazzi complottisti, benché gli italiani lo ignorino bellamente: è l’uomo che Kissinger inviò a fiancheggiare Cossiga durante il sequestro Moro, di cui rivendica apertamente la morte, essendo stato lui, Pieczenik, ad inventare il falso ritrovamento del cadavere di Moro nel Lago per manipolare psicologicamente i brigatisti a disfarsi del Presidente DC, che con evidenza era stato mollato dal Cuore dello Stato a cui i terroristi comunisti non riuscivano ad avvicinarsi. Pieczenik, che peraltro è di origine ebraica anche lui,  come tanti altri parla dello strapotere di Emanuel, anche perché la carriera del capo di gabinetto parla da sé: Emanuel poté mollare Obama quando voleva lui, e diventare il primo sindaco di origine ebraica di Chicago, la città teatro di tutta questa storia. Emanuel ha pubblicamente dichiarato di recente che «Gays are the next Jews», «I gay sono i prossimi ebrei», intendendo che in fatto di fundraising, di raccolta di fondi gli omosessuali si stanno dimostrando generosi quanto lo sono in USA generalmente i magnati ebraici.

La cifra Obama è stata quella di essere il primo Presidente non-bianco degli USA, cosa che tutti apprezzano e rivendicano. Perché dunque, nel caso fosse omo o bisessuale, non dichiarare apertamente la sua natura? Si tratta di un calcolo elettorale, perché per il pubblico americano ora un nero va bene, ma un nero gay non ancora? Si tratta di una mascherata politica? Di un problema personale?

Si tratta di mera speculazione, certo. Ma l’evenienza di un Presidente segretamente gay spiegherebbe meglio come il matrimonio omosessuale si sia concretato sotto gli auspici della Presidenza Obama, così come si farebbe pure più prosaicamente chiarezza sui possenti e nerboruti arti superiori della moglie Michelle, una signora contro la quale molti uomini perderebbero un incontro di braccio di ferro.

Obama straniero

La faccenda del certificato di nascita di Obama ha tenuto banco per mesi. La destra USA, in ispecie i Tea Party e gruppi di frangia dei Repubblicani, hanno accarezzato l’idea di potere chiedere l’impeachment del Presidente – da loro così odiato per la sua riforma della sanità e per le tasse – in base alla sua nascita. La legge americana infatti proibisce ad una persona nata all’estero di sedere alla scrivania allo studio ovale. È una vecchia clausola introdotta nella legislazione americana – la Natural-born-citizen clause del 1854 –  per prevenire l’infiltrazione di agenti delle potenze straniere; le monarchie europee infatti non erano nuove a questo genere di programmi politici. In un periodo della storia in cui gli USA si attribuiscono il ruolo di potenza multietnica simbolo della democrazia, la clausola ha cominciato a mostrare dei limiti, ma nessuno ha mai pensato veramente di emendare la legge. Il caso dell’ex governatore della California Arnold Schwarzenegger, nato in Austria, fu uno dei banchi di prova teorici per la rimozione della legge: Schwarzenegger risultava molto popolare ed amato (certo godeva di un successo cinematografico maggiore di quello del Presidente Reagan, che era sì un attore di Hollywood ma di basso livello) e per di più era a tutti gli effetti un investimento della dinastia più potente della politica USA, i Kennedy, di cui Arnold aveva sposato una membra influente. L’idea che potesse un giorno arrivare alla Casa Bianca si spense, perché rimuovere quella legge solo per Schwarzenneger era decisamente troppo per la sensibilità legislativa degli americani; infine, Arnold sbracò con scandali adulterini, forse anche perché vedeva che la sua carriera era arrivata ad un vicolo cieco.

Questo per significare l’importanza di questa legge, che sarebbe violata apertamente da Obama…

(continua  –  per leggere la seconda e ultima parte, clicca qui)

Questo saggio è stato pubblicato anche su Libertà e Persona

 

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