OLTRE LA CRONACA. IL CASO DELLA SENTENZA DELLA CASSAZIONE CHE STABILISCE CHE UNA COPPIA OMOSESSUALE POSSA CURARE LA FORMAZIONE DI UN FIGLIO COME UNA COPPIA NORMALE – di Clemente Sparaco

di Clemente Sparaco


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Tiepolo. Il giudizio di Salomone


 

Il contenzioso familiare in Italia ha raggiunto livelli record. Ad alimentarlo c’è senz’altro un problema giuridico che attiene all’aggiornamento del diritto di famiglia e delle norme relative, a cominciare dal divorzio.

Ci sono poi i tempi legali dello scioglimento dei matrimoni e la sovrapposizione tra tribunali ordinari e minorili. Ma c’è senz’altro qualcosa di più profondo, che attiene ad una crisi più generale, etica ed antropologica coinvolgente la nostra civiltà.

Viene da ricordare re Salomone che, a fronte di due donne che pretendevano entrambe di essere madri, ordinò di tagliare in due il bambino e di darne una metà all’una e una metà all’altra. “La madre del bimbo vivo – si legge nel primo Libro dei Resi rivolse al re, poiché le sue viscere si erano commosse per il suo figlio, e disse: – Signore, date a lei il bambino vivo; non uccidetelo affatto!. L’altra disse: – Non sia né mio né tuo; dividetelo in due!”. Il re riconobbe allora la vera madre e disse “Date alla prima il bambino vivo; non uccidetelo. Quella è sua madre”.

La mamma si rende conoscibile per il sacrificio di sé che compie, per l’abnegazione totale che la guida. Essa non dice, come l’altra, “è mio, datemi la parte che mi spetta”, ma “non uccidetelo”. Il suo primo pensiero è quello che al bambino non sia fatto nulla.

Su questa base Salomone stabilisce la maternità vera e, potremmo dire, l’amore autentico.


La questione si ripropone anche oggi in un contesto più articolato e distante da quello del bimbo conteso della Bibbia. Ci sono infatti un padre ed una madre che si contendono un bambino, ma c’è la complicazione ulteriore che la madre convive con un’altra donna. Il padre muove ricorso ad una sentenza  della Corte di Appello (di Brescia) in ragione delle “ripercussioni negative sul bambino” e la sua difesa cita l’articolo 29 della Costituzione sui “diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio“.

La Prima sezione civile della corte di Cassazione (sentenza n. 601, depositata l’11gennaio) lo respinge motivando che “non sono poste certezze scientifiche o dati di esperienza, bensì il mero pregiudizio che sia dannoso per l’equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale“. In questo modo, annota ancora la Prima sezione civile, “si dà per scontato ciò che invece è da dimostrare, ossia la dannosità di quel contesto familiare per il bambino, che comunque correttamente la Corte d’appello ha preteso fosse specificamente argomentata“.

La decisione stabilisce, quindi, che la donna è libera di agire come crede e che i suoi diritti individuali sono intangibili, ma divide il bambino dal padre (che lo potrà vedere ogni 15 giorni) e lo assegna ad un contesto familiare innaturale: due donne conviventi, di cui una con figura paterna in sostituzione del padre naturale. Viene affermato il principio dell’autodeterminazione individuale, che è il corrispondente delle parole della falsa madre nel passo biblico che rivendica il suo davanti alla stessa vita del piccolo. Ciò che si fa a pezzi è il diritto naturale del bambino ad avere una madre ed un padre, incuneando una spada nella sua identità in formazione, che si trova a sperimentare sulla sua pelle qualcosa che, per stessa ammissione della sentenza, “è da dimostrare”.

Per esperienza comune di ogni essere umano – scrive Avvenire – la nascita di un bambino scaturisce dall’unione tra un uomo e una donna, comporta la cura e l’allevamento da parte dei genitori“. E aggiunge: “Il punto più sconvolgente della pronuncia, quando considera il bambino come soggetto manipolabile, attraverso sperimentazioni che sono fuori dalla realtà naturale, biologica e psichica, umana e che non si sa bene quanto dovrebbe durare“. C’è da stupirsi, quindi, del fatto che la sentenza cancelli “tutto ciò che l’esperienza umana, e con essa le scienze psicologiche, ha elaborato e accumulato in materia di formazione del bambino“.

Né la suprema Corte valuta che la Costituzione indichi la famiglia come ‘società naturale’, cosa che dovrebbe escludere di per sé ogni diversa figura di essa.

 

Dietro tutto questo c’è l’avanzare non solo di un costume, ma una precisa ideologia.

E’ essa la “teoria del genere”, in base alla quale le differenze sessuali sono solo frutto della cultura, sovrastrutture imposte all’individuo e alla sua libertà di orientamento sessuale. Il sesso è, quindi, ciò che ognuno adotta in piena autonomia, in piena autodeterminazione. Non si dà un ordine naturale che anteceda l’individuo e di cui sia parte anche la sua mascolinità o femminilità. L’individuo prevale e prevarica sulla natura.

Ora, si può minimizzare la differenza finché si vuole, ma la complementarietà sessuale resta quale sorgente di vita. La verità elementare è che ogni essere umano proviene da una coppia formata da un uomo e da una donna. L’uomo non si fa da solo. L’uomo è sempre figlio di una relazione eterosessuale, anche se questa è sfigurata fino ad essere resa impersonale, violenta, distratta, disarmonica etc..  E quella che trova il bambino al suo ingresso nel mondo non è un concetto astratto o un’ideologia, ma una comunità reale ed elementare, che dovrebbe essere sicura, stabile, ordinata.

La famiglia ha, infatti, il ruolo insostituibile di diffondere la vita, di custodirla e preservarla. Le relazioni che si intrecciano all’interno di essa risultano altamente significative nella vita di un uomo. Lo segnano per sempre, nel bene come nel male. I genitori non danno ai loro figli tanto degli insegnamenti astratti, quanto forniscono dei modelli, in misura di ciò che sono individualmente e dell’armonia di coppia che hanno saputo costruire tra di loro. L’identità personale si forma, quindi, all’interno di questo piccolo laboratorio di umanità. Nel bambino che nasce c’è fisicamente la compresenza dei genitori e di ciò che sono i genitori. Nel bambino che cresce c’è l’attuazione di un progetto educativo che un uomo ed una donna dovrebbero costruire assieme, vera scommessa sul futuro, puro atto di fede.

Nella formazione dell’identità fisica e personale la sessualità gioca un ruolo primario. Essa non è, a sua volta, qualcosa che si ha in proprio, ma è naturalmente vocata alla complementarietà. La sessualità vive all’interno di un profondo bisogno comunicativo, che è totale, coinvolgente. Per questo, non dovrebbe mai essere ridotta ad un piacere egoistico in cui l’altro diventi mero strumento di soddisfazione fisica, in cui non si esca dal circolo chiuso dell’amore di sé. Essa indica una modalità relazionale della persona. Conferisce un carattere proprio alla sensibilità, agli interessi, alle percezioni. Da essa dipende non solo la relazione con un tu particolare, ma qualsiasi tipo di relazione in cui venga messa in moto l’affettività. In tal caso, rivela una struttura dirompente nei confronti di ogni filosofia dell’identità del soggetto e della sua autosufficienza: “L’Eros – ha scritto E. Lévinas – non può essere interpretato come una sovrastruttura che ha l’individuo per base e per soggetto. Il soggetto nella voluttà scopre di essere il sé (ciò che non significa l’oggetto o il tema) di un altro e non soltanto il sé di se stesso.


Detto questo, si capisce che la vera posta in gioco è di natura morale. Tocca il nostro modo di pensare e di essere uomini. E questo in senso profondo, dirimente, che va al di là di ogni differenza di sesso o di ideologia. In gioco è, come nel caso di re Salomone, il bambino, e il bambino che abbiamo tra le mani è la persona umana in tutta la sua inerme fragilità.

Oggi noi possiamo dividerla in due e darne metà all’ideologia e metà alle esigenze di un politicamente corretto che scambia per discriminatorio il momento della scelta, il momento in cui siamo chiamati a pronunciarci in prima persona al di là di ogni possibile ambiguità. Ma se non saremo capaci di scegliere, si prospetta un mondo che non sa più riconoscere l’amore come rinuncia e assoluta dedizione al bene dell’altro, come custodia dei piccoli che non hanno voce e che si vedono divisi, loro malgrado, dai genitori che pure li hanno generati. La famiglia eterosessuale è un pilastro su cui si regge la nostra civiltà. L’amore di coppia fonda la cellula base della società. Tolto esso, c’è solo l’individualismo egoista e nichilista, chiuso nel circolo autoreferenziale di un piacere senza amore. C’è la promozione del proprio io, intesa in termini di autonomia assoluta. Ci sono le logiche contorte, che nascondono disperati egoismi ed un’inquietudine priva di direzione.

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