di Piero Nicola

 

 

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Anche quest’anno si è celebrata la giornata della donna. Per come si svolgono i rituali, non esito a dire che poche sono degne dell’omaggio appropriato, cavalleresco, compiacendosi esse di queste manifestazioni così lontane dall’avita sapienza e gentilezza, diciamo pure dal caro medioevo.

In verità, i celebratori, a corto di freschi argomenti, potevano risparmiarsi la fatica, invitando i giornalisti a ripescare pezzi di repertorio delle annate trascorse. Geremiadi e rivendicazioni consunte devono aver tediato pesino i femministi.

Non che fosse superfluo occuparsi della buona difesa delle donne; anzi manca la cura per la loro giusta collocazione nella società e nella cellula familiare. Ma la causa sacrosanta non passa nemmeno per l’anticamera del cervello dei presunti paladini delle madri e delle spose, delle prestatrici d’opera o delle imprenditrici. Si capisce bene: la causa sacrosanta, la sensibilità eletta, la ragione pura, sono antitetiche a diverse rivendicazioni già soddisfatte e da soddisfare.

Come è possibile? Possibilissimo! Il mondo va molto a rovescio: non dovrebbero andare a rovescio le questioni femminili?

Tagliando corto, si può osservare il principio dell’unisex, e l’unisex esteso via via alle disparate attività: la parificazione di ruoli maschili e femminili, ovvero la presunta attitudine della donna a svolgere gli uffici svolti dall’uomo, al pari dell’uomo. Evviva il criterio della massima produttività! E, con le quote rosa, evviva la ragione della libera concorrenza meritocratica!

L’assurdo, l’incredibile, il risibile, sta lì: nella soppressione delle differenze macroscopiche esistenti tra le nature e le facoltà dei due sessi. C’è un tipo maschio e uno femmina, con specifiche funzioni differenziate in ordine alla procreazione. E su questa base biologica, ci sono due mondi complementari e assai disuguali.

Sarebbe noioso elencare le caratteristiche fisiche e psicologiche differenti, funzionali a diversi compiti da assolvere: a cominciare dalla muscolatura e dalla delicatezza muliebre, per finire alla grazia e prudenza del gentil sesso, alla sua particolare capacità di sintesi, alla sua maternità e, d’altro lato, alla prerogativa della forza maschile, alla particolare razionalità e inclinazione all’analisi, al pensiero filosofico e teologico del maschio. Tranne la maternità – ma quanto importa! – Adamo ed Eva hanno in comune quasi tutto, e non molto, riguardo alle dosi, alle proporzioni: manifestate a iosa nell’aspetto e nel comportamento, che non mentono. Sono due armonie prodigiosamente distinte, che è peccato alterare.

Una ragazza che canta da baritono è un miserevole fenomeno da baraccone, come la donna barbuta o forzuta; un giovanotto che gorgheggia da soprano non è più lui. In gradazione, esiste una gamma di degenerazioni, di snaturamenti, che sono voluti, approvati, provocati dalla genia degli egualitari.

Pretendere di uniformare le diverse attitudini e attività di Adamo ed Eva (sino ad appigliarsi alla micidiale teoria per cui, essendoci in entrambi qualcosa dell’altro sesso, tutti sono suscettibili di acquisire le altre qualità, anche potendo cambiare sesso) significa andare contro natura, contro il buon senso, contro il Bene, contro la donna e contro Dio.

San Paolo parlò chiaro a proposito dei ruoli di lui e di lei, e la Chiesa fu invariabilmente contraria alle suddette storture. Allorché esse minacciarono la famiglia, i Papi non esitarono a pronunciarsi a protezione della donna: esposta alle minacce nei luoghi di lavoro, distolta dai suoi compiti in casa. Piuttosto che riferirsi alle violenze, essi costatarono le normali cause di corruzione, individuate nella promiscuità degli uffici. La maggior parte dei tradimenti e degli sfasci dei matrimoni si consuma negli uffici. E come fa la madre a svolgere lo stesso lavoro del padre? Lasciando da parte ogni diversa considerazione, la moglie o trascura la famiglia, o trascura l’incarico retribuito, o è negligente per l’una e per l’altro, essendo gravata da un impegno eccessivo.

Gli esaltati del progresso e delle tesi balzane, come i professionisti dei secondi fini, disprezzano i ragionamenti del due-più-due-fa-quattro, sono superiori alla matematica. Se la sbrigano mettendo il grembiule al marito, ricordandogli che deve cambiare i pannolini, prescrivendogli di alimentare un istinto materno, e cose del genere; in modo che si vada sempre più avanti nella storta convergenza.

Ed ecco le soldatesse, le vigilesse, le poliziotte… La gente viene uccellata da tali forme di pervertimento vestite di bontà e ragionevolezza, al contrario, utili a sorprendere l’umana fragilità (in particolare, femminile), utili ad allettare le poverine, in gran numero frustrate, con una profusione di possibilità e di promesse, che, andate in porto o no, vanno a loro scapito e disdoro. La gente, gabellata per sovrana, acconsente.

Al legittimo possessore dei pantaloni è scemata a mano a mano la virtù virile, la creatura destinata ad esserne la compagna ha accresciuto la sua mascolinità, per l’esultanza dei campioni delle sorti donnesche. Come se fosse da apprezzare maggiormente l’esemplare meno riuscito, meno bello, rispetto a quello superbo; come se quest’ultimo non fosse l’esempio a cui ispirarsi, a cui tendere, per gli esseri della sua specie.

Con tutto ciò, i sessi sono ancora distinti, e soffrono le negazioni delle loro prerogative, e la gente può sempre essere mossa a rimettere le cose in ordine, a togliersi dai piedi i profittatori.

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