P4, ECCO PERCHE’ WOODCOCK FARA’ RISCRIVERE LA GIUSTIZIA – di Piero Laporta

L’indagine del pm su Bisignani ha solo spunti per pettegolezzi

di Piero Laporta

 

da ItaliaOggi – Gruppo Class

woodcock

Luigi Bisignani parla. Lo stesso pm Henry John Woodcock, che con Bisignani ha una certa consuetudine, dev’essere stupito che l’indagato sia così facondo, visti i suoi precedenti in un, diciamo così, interrogatorio davanti a un celebre pm: «Lei è Luigi Bisignani, nato a Milano il 18 ottobre 1953 e residente in?». La risposta del manager ricordò quella d’un altro più celebre, di fronte al Sinedrio: «Voi lo dite». Bisignani racconta l’episodio ai suoi amici più stretti, sorridente e cortesissimo com’è suo solito, per illustrare quale condotta tenere coi pm.

Bisignani oggi non adisce il tribunale del Riesame, si dice fiducioso nella Giustizia e costringe Woodcock a ricorrere lui al Riesame, fatto insolito per un pm, per asseverare l’inchiesta. Tutto è molto strano. Strana è la facondia di Bisignani al telefono che incoraggia la conversazione dei suoi interlocutori e riempie migliaia di pagine di intercettazioni tanto costose quanto inutili, vuote di reati e ricche di pettegolezzi, buoni solo per attizzare una campagna di stampa da banana republic. Uno dei filoni di indagine, che lambisce Gianni Letta, è nella consapevolezza delle intercettazioni da parte di Bisignani che, a sua volta, avrebbe avvertito i suoi referenti. Bisignani è uno dei rari frequentatori del Palazzo con un quoziente di intelligenza superiore a 130. È rincitrullito improvvisamente per lasciarsi andare così? Oltre tutto in una conversazione telefonica. Qualche congettura è quindi d’obbligo. Bisignani sin da quando iniziò la sua carriera, aveva solo 23 anni, reggendo l’ufficio stampa del ministro Gaetano Stammati, è rimasto fedelissimo alla Chiesa cattolica, all’Italia e agli Usa in quanto alleati dell’Italia e supporter del Vaticano. A lume di naso in questa faccenda il Vaticano non c’entra nulla; l’Italia, intendendo le sue istituzioni più alte, è più oggetto che soggetto.

Non rimane quindi che il terzo interlocutore, col suo circolo di virginiani, nelle stanze che contano a Washington. Questa inchiesta apparentemente mirata sulle figure contigue a Silvio Berlusconi, mano a mano che procede, oltre al polverone privo del tutto di elementi penali rilevanti, mette in luce le peggiori perversioni del sistema giudiziario italiano che consente di violare impunemente gli articoli dei codici penale e di procedura penale sulla riservatezza dei fascicoli di indagine sino alla loro conclusione. «È vietata la pubblicazione, anche parziale, degli atti non più coperti dal segreto fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare» (art. 114 c.2, c.p.p). È, questo, solo uno degli articoli calpestati da questa inchiesta.

Tali guasti, sebbene sembrino distanti dagli interessi della sinistra, li toccano invece sensibilmente come dimostrarono le parole di Massimo D’Alema all’ambasciatore statunitense e da costui riportate a Washington: «La magistratura è la più grande minaccia allo Stato». D’Alema poi smentì e possiamo credergli sia quando afferma che quando smentisce. A sinistra c’è una consapevolezza, più silenziosa che a destra ma altrettanto preoccupata, che l’Italia è impossibile da governarsi senza una riforma della giustizia. Posatosi questo vortice polveroso, l’ennesima inchiesta di Woodcock sarà additata ad esempio dell’urgenza di riscrivere regole condivise per la Giustizia. E se Berlusconi non sarà stato in grado di farlo dovrà passare il testimone.

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