PADRE RASCHI, LA STORIA DELLA LOTTA DI UN FRANCESCANO CONTRO IL DEMONIO – di Luciano Garibaldi

In occasione del 25° anniversario della «nascita al Cielo» di Padre Bonaventura Raschi, grande benefattore e fondatore del Santuario dell’Immacolata Concezione «Fonte della Misericordia» sul Monte Fasce che sovrasta Genova, domenica 3 giugno 2012 si è svolta una giornata di preghiere che ha avuto inizio con la Santa Messa celebrata da Padre Beppino Co’, parroco di Zeri (Massa Carrara) e grande devoto di Padre Raschi. Alla giornata di preghiera hanno partecipato numerosi aderenti all’Associazione «Amici di Padre Raschi» (www.padreraschi.it). Nel pomeriggio si è svolto il Convegno per ricordare le opere del Religioso. Tra gli oratori, il giornalista e storico Luciano Garibaldi. Pubblichiamo il suo intervento.

 

PADRE RASCHI, LA STORIA DELLA LOTTA DI UN FRANCESCANO CONTRO IL DEMONIO

 

di Luciano Garibaldi

 

libro p raschi

 

 

Sono trascorsi dieci anni dal giorno in cui il mio mai abbastanza rimpianto collega ed amico Alessandro Massobrio mi chiese di scrivere la prefazione ad uno dei suoi libri più belli, quello dedicato al grande uomo del Signore ed esorcista padre Bonaventura Raschi, il frate che nella sua lunga vita al servizio della fede vinse il  demonio più di settanta volte.

Alessandro aveva preso visione di una mia lontanissima intervista a padre Raschi, un’intervista realizzata e pubblicata trent’anni prima, e volle confrontare con me il suo punto di vista. Ci trovammo perfettamente d’accordo nel giudizio su padre Raschi: era un prediletto del Signore.

Ricordai a me stesso, e ricordai ad Alessandro, che quando mi ero trovato per la prima volta quassù, ai piedi del Monte Fasce, di fronte a quel frate alto, tranquillo, sereno (aveva appena compiuto i settant’anni), che mi raccontava – avendo deciso che poteva fidarsi di me – storie da far rabbrividire, finii per immedesimarmi nelle vicende ch’egli mi narrava e dovetti convenire che mi trovavo al cospetto di una personalità assolutamente superiore.

Prima di incontrare Padre Raschi avevo sempre pensato che gli ossessi, gli indemoniati, o comunque quanti così venivano definiti, non fossero che dei nevropatici affetti da qualche forma morbosa curabile dalla medicina moderna. Dopo l’incontro, mi convinsi che le cose non stavano così. Capii che l’ossessione demoniaca manifestava sintomi ben precisi, che esistevano regole scientifiche per distinguere una persona affetta da nevrastenia o isteria da una posseduta dal demonio.

Padre Raschi mi aiutò a capire con quale cautela la Chiesa si muovesse, fin da quei secoli lontani, sempre fedele alla regola fondamentale dell’antico rituale: «In primis non facile credat aliquem a demoniis obsessum esse». In questo senso egli era di una ortodossia totale. Era perfettamente consapevole dell’esistenza di squilibrati che si autosuggestionano, credendo di impersonare il demonio, così come altri squilibrati credono di essere Hitler, o Napoleone. E portava sempre con sé, nella mente e nel cuore, la regola fondamentale del rituale romano, basato sui tre indizi precisi per valutare chi sta di fronte all’esorcista: la xenoglossia, cioè l’elaborazione di una lingua sconosciuta al soggetto; l’azione a distanza (fenomeni di telecinesi e levitazione); infine l’ingigantimento, al di là dei limiti naturali, delle forze del posseduto. «Personalmente» mi raccontava padre Raschi «mi è capitato il caso di un contadino toscano indemoniato il quale parlava correntemente, sotto l’influsso demoniaco, sette lingue straniere. Altre volte la forza degli ossessi da me curati era spaventosa e ho dovuto sostenere duri scontri fisici, aiutato per fortuna dai presenti, altrimenti non sarei scampato».

Imparai tante cose, in quel lontano incontro con un vero uomo di Dio. Per esempio, potei farmi un’idea precisa dell’atteggiamento della scienza medica di fronte agli esorcisti. La psichiatria, come scienza, esclude l’ossessione demoniaca, ma vi sono psichiatri i quali, individualmente, ammettono l’esistenza del fenomeno e ricorrono all’opera degli esorcisti. Padre Raschi mi raccontò più d’un episodio che aveva visto psichiatri anche famosi ricorrere a lui per risolvere il problema di loro pazienti refrattari a tutte le terapie.

Dobbiamo tutti gratitudine ad Alessandro Massobrio, giornalista, scrittore di non comune efficacia, testimone del tempo e uomo di fede, scomparso cinque anni or sono, per avere scritto un libro su padre Bonaventura Raschi, il grande francescano che, per realizzare la sua opera, scelse Genova e che Genova ha ingiustamente dimenticato. Quante emozioni mi diede la lettura delle pagine di Massobrio! Da quelle pagine appresi dei legami spirituali tra Padre Raschi e Padre Massimiliano Kolbe, il santo polacco martirizzato dai nazisti che mi aveva sempre intrigato, fin dalla mia prima gioventù, al punto di spingermi in pellegrinaggio ad Auschwitz. Appresi inoltre che Padre Raschi aveva deciso di raccogliere l’eredità di Kolbe nella chiesa di San Francesco d’Albaro, una chiesa mitica per noi italiani in quanto proprio dal suo sagrato, nel drammatico 1796 che segnò il sacrificio sanguinoso dei difensori delle fede contro le orde rivoluzionarie, giacobine e paleocomuniste di Napoleone, si levò per la prima volta l’invocazione «Viva Maria!», il grido sacro della tradizione e della controrivoluzione.

Tornando al mio antico incontro con Padre Raschi, vorrei ricordare la motivazione che mi aveva spinto, quel lontano giorno di ormai quasi 40 anni or sono, a presentarmi a lui per convincerlo a raccontare, a un giornalista che scriveva per rotocalchi popolari a larga diffusione, la storia della sua straordinaria missione. Era la stessa che mi aveva condotto a intervistare il presidente della commissione medica di Lourdes, a frequentare i convegni del professor Giuseppe Crosa di Vergagni sulle voci dall’aldilà, a indagare a Fatima, molti anni prima che esso fosse (ma soltanto parzialmente) svelato, sul Terzo Segreto, a recarmi più volte a Salon de Provence per cercare di capire il mistero di Nostradamus.

Quel giorno, Padre Raschi mi narrò un suo incontro con il professor Crosa di Vergagni: «Aveva condotto da me un suo ammalato che si era mostrato refrattario a tutte le terapie», mi raccontò Padre Raschi. «Avevo nel mio studio un Crocifisso consegnatomi da una signora la quale sosteneva che contenesse un frammento della Santa Croce, ma senza autentica. Approfittai della visita del professor Crosa ed entrai nella stanza dei colloqui con un pacchetto dentro il quale era la Croce. Non appena mi vide, il giovane ammalato che era venuto da me con lo psichiatra, emise un grido. Mi avvicinai. Gli posi il pacchetto sul capo. Egli stramazzò a terra, letteralmente schiantato. Poco dopo cercò di rialzarsi. Intimai: “In nome di Cristo, Satana, vattene!”. Un grido disumano, la stanza tremò e il pavimento parve sollevarsi. Un istante dopo il giovane si alzò. Era tornato perfettamente normale. Il professor Crosa lo tenne in osservazione quindici giorni, poi lo dimise, clinicamente guarito».

Ricordo ancora perfettamente che, mentre Padre Raschi mi parlava, il mio sguardo era caduto su una lunga crepa che sconvolgeva il pavimento dello stanzone dove il grande frate aveva lottato con il demonio, e un brivido mi percorse la schiena.

Credo che questo basti. Il ricordo di Padre Raschi e di Alessandro Massobrio ha rinverdito in me i tempi in cui era ancora possibile, per un giornalista, fare senza condizionamenti, senza timori, senza viltà, il proprio mestiere: cercare la verità. E di questo sono grato all’Associazione “Amici di Padre Raschi”, al suo presidente Luigi De Pascalis, alla vicepresidente Elsa Repetti. E a tutti voi.

2 commenti su “PADRE RASCHI, LA STORIA DELLA LOTTA DI UN FRANCESCANO CONTRO IL DEMONIO – di Luciano Garibaldi”

  1. Padre Raschi dal cielo prega e interterci per la guarigione di mia figlia, che possa abbandonare le persone sbagliate.ho un dolce ricordo di te, ma quando ti ho conosciuto tardi,sei subito volato in cielo.

  2. Angela Lazzarotto

    Grazie queste informazioni, sono preziose per me. Continuerò cercare notizie anche sulla srmtruttura interna della costruzione del “convento” finché non troverò ” la risposta ” che serve ” a me” ma, magari, non solo a me… Angela A. Lazzarotto

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