PAOLO PASQUALUCCI, TESI PER UNA METAFISICA DEL SOGGETTO – di Piero Vassallo

In vista della liberazione dal “moderno”

 

di Piero Vassallo

 

 

Uno studioso formato alla scuola di Michele Federico Sciacca, Tommaso Bugossi, ha osservato che nel pensiero moderno avanzante al seguito del criticismo kantiano, “è lo spirito dell’uomo che fornisce i caratteri dell’universale necessità”.

Conseguenze di tale capovolgimento della realtà, quale è identificata dal senso comune, sono la dissoluzione della metafisica, lo smarrimento della ragione e l’impianto di un pensiero indirizzato all’assurdo: “Se l’uomo fonda il conoscere, l’uomo fonda l’uomo … da qui l’impossibilità che il conoscere possa essere soggettivamente fondato: un ente non può dare ciò che non possiede” [1].

k8L’evidente debolezza del postulato criticista e dei suoi calamitosi rovesciamenti nell’idealismo e nel nichilismo, esige l’intervento qualificato di studiosi cattolici refrattari all’accordo pseudo-ecumenico con il mondo moderno.

Fin dall’insorgere della rivoluzione moderna il degrado della cristianità è stato ostacolato da studiosi intesi a liberare la filosofia e la teologia dalle camicie di forza cucite dal criticismo kantiano e irrobustite dall’idolatrata divulgazione scientifica.

Se non che l’attuazione di un tale ardua difesa è finora incompiuta, vuoi per l’indifferenza o addirittura per l’ostilità del clero modernizzante vuoi, soprattutto, per la sbandierata alleanza della filosofia al potere con la prestigiosa fisica di Albert Einstein, una concertazione il cui fracasso copre la voce dei dubbiosi e ostacola e complica enormemente l’attività dei ricercatori impegnati nella difesa dei princìpi della metafisica classica.

La difficoltà incontrata dai contestatori del moderno dipende, in ultima analisi dal potere suggestivo e fascinoso ovunque esercitato da una scienza fumigante, che include, sviluppa e protegge i vulnerabili pregiudizi kantiani [2].

Ora un esponente della più vivace e attrezzata avanguardia cattolica, il filosofo italiano Paolo Pasqualucci, ha stabilito che “Kant lasciò una traccia indelebile, non solo nella filosofia, ma anche nella fisica e nella cosmologia. Al di fuori del clima di pensiero kantiano sono difficilmente concepibili le teorie di Einstein e di Bohr; e Eddington può dirsi, sotto certi aspetti, più kantiano di Kant”.

La confutazione della filosofia moderna, per diventare convincente, deve dunque passare vittoriosamente attraverso la cruna della fisica intossicata dal pregiudizio kantiano.

Da tale inedita intuizione ha origine la svolta metodologica,  che ha indirizzato Pasqualucci a compiere, nel corso di alcuni anni, faticosi e difficili viaggi attraverso le (rilette) opere di Kant, le formule dei fisici contemporanei e la rete dei dubbi e delle aporie insorgenti da tale confronto.

L’originalità del contributo offerto da Paolo Pasqualucci dipende in via preliminare dallo scioglimento del nodo stretto dall’alleanza della fisica relativista con il criticismo, alleanza esibita dai divulgatori predicanti, nel perpetuo ed estenuante talk show, per accreditare le più avventurose e vulnerabili tesi a monte dell’ateismo.

ri1Nel terzo capitolo di un fondamentale saggio (pubblicato a puntate nella prestigiosa “Rivista internazionale di filosofia del diritto”, pubblicata in Milano dall’editore Giuffré) Pasqualucci, compie, infatti, un faticoso e difficile cammino di ricerca attraverso le aporie nascoste nel pensiero oggi dominante.

La via di ricerca tracciata da Pasqualucci è finalizzato alla confutazione delle tesi elucubrate dai continuatori di Kant e alla perfetta riabilitazione delle verità stabilite dal senso comune intorno ai concetti di tempo e di spazio.

Pasqualucci penetra nella ingens sylva della scienza moderna e sfida l’opinione degli scienziati e dei divulgatori, che negano l’esistenza reale dello spazio, ossia una convinzione infondata, “che ha avuto luogo, oltre che per la logica interiore dello sviluppo scientifico, anche grazie alla mediazione del criticismo kantiano. Kant negando anch’egli l’esistenza di uno spazio assoluto, identificava spazio ed estensione in quanto costitutivi dello spazio empirico, sostenendo tuttavia che lo spazio ed il tempo erano condizioni effettive della nostra conoscenza solo in quanto categorie a priori del nostro intelletto, forme pure della nostra sensibilità. In tal modo lo spazio ed il tempo venivano a perdere significato oggettivo per diventare di fatto un prodotto del nostro intelletto, in quanto oggetti conoscibili”.

Ora il soggettivismo kantiano è penetrato nella fisica contemporanea, che ne è diventata portavoce e propagandista rumorosa e ostinata.

L’adozione delle tesi kantiane è una tara, che deve essere ammessa dal qualunque osservatore disinteressato e perciò capace di  riconoscere “la caratteristica tendenza [dei fisici moderni] a far dipendere la realtà obiettiva esclusivamente dalla misurazione che il soggetto ne riesca a fare, riducendo così il reale ad un mero reticolo di quantità, di grandezze che hanno significato solo dal punto di vista del soggetto misurante”.

Quale emblema dell’influenza esercitata dal soggettivismo nella scienza moderna, Pasqualucci cita una risoluta/curiosa sentenza del grande matematico Henri Poincaré (1854-1915): “Le proprietà del tempo non sono che quelle degli orologi, come quelle dello spazio non sono che le proprietà degli strumenti di misura“. E la commenta ironicamente: “Ma questo non significa forse assorbire l’oggetto nel soggetto, farne arbitrariamente un prodotto dei suoi strumenti di misura? Gli strumenti con i quali misuriamo l’estensione o la durata sono per forza di cose sempre finiti. Dobbiamo allora dire che, a causa di ciò, non possiamo attribuire allo spazio la proprietà di essere infinito e al tempo quella dell’eternità? Che entrambi devono essere finiti come gli strumenti che li misurano?

Dal labile pregiudizio, su cui si è esercitata l’ironia di Pasqualucci, emana la ipotesi dello spazio curvo, proposta da Einstein e ancor oggi  predominante: “Essa vede nello spazio come tale una struttura costituita da linee di forza curve (geodetiche) che conferirebbero allo spazio una forma sferica alla quale si dovrebbero applicare la geometria non euclidea delle superfici curve”.

Pasqualucci rammenta che gli scienziati ritennero che la verifica della teoria einsteiniana si trovasse nell’analisi dell’eclissi totale di sole del 1919, osservata nell’isola africana di Principe dall’astronomo inglese Arthur Eddington (1882-1944).

In quella singolare circostanza, infatti, apparve una leggera deviazione della luce stellare intorno al sole.

Al proposito Pasqualucci osserva che, nel 1919, gli astronomi hanno percepito (se di questo si tratta) la curvatura dello spazio intorno al sole non la curvatura dello spazio tra la terra e il sole, “visto che la luce che ci portava l’immagine dell’eclissi ha viaggiato sempre in linea retta verso di noi, non deviata da alcunché, e pertanto in uno spazio vuoto o piatto, che dir si voglia, euclideo”.

Oltre tutto dal 1919 al 2013 “i ripetuti e sofisticati tentativi sperimentali di dimostrare una curvatura dello spazio attorno agli altri elementi del sistema solare sono tutti falliti. Lo deve ammettere la letteratura di divulgazione scientifica più rigorosa“.

Di conseguenza il quisque de populo, benché non specialista in astronomia,  “si riterrà autorizzato ad affermare che: o lo spazio è curvo solo attorno al sole, cosa che rende insostenibile la tesi della curvatura di tutto lo spazio, oppure che lo spazio non è affatto curvo“.

Correttamente Pasqualucci rammenta che l’idea dello spazio piatto è ultimamente condivisa dall’astrofisica contemporanea, fatto che smentisce definitivamente le equazioni di Einstein.

Pasqualucci ha pertanto ristabilito una verità conosciuta dal senso comune, adottata dalla filosofia tradizionale ma ostinatamente contestata dal pensiero moderno: lo spazio “costituisce un’estensione reale, concreta, poiché la luce non è un prodotto della nostra mente, non viaggia in spazi mentali … questo spazio non è una forma di rappresentazione delle cose come affermava Kant. .. Non è quindi una forma ma una realtà fisica che contiene tutte le forme”.

Cadono le orgogliose colonne d’Ercole, che il luterano Kant aveva elevato per segnalare ai cattolici l’impossibilità della metafisica tomista.

Dopo più di due secoli, il progetto contemplante la restaurazione della scolastica è confortato dalla rovinosa caduta degli interdetti lanciati dal “moderno” contro il senso comune.

In una fase storica segnata dalla discesa del clero lungo il toboga unto dalla stima (di conio rahneriano) per l’errore moderno e lubrificato dal gerarchico dubbio intorno alla verità teologica, un illustre esponente della tradizione scolastica lancia, dal margine, un contrario segnale: il pensiero cattolico sopravvive alla chiacchiera dei sofisti di Germania e alla timidezza dei pastori romani.




[1] Tommaso Bugossi, “Interiorità ed ermeneutica”, Japadre, L’Aquila, 1994, pag. 34.

[2] Attraverso la teologia del gesuita Karl Rahner, la filosofia di Kant è penetrata perfino nelle aule di un Concilio ecumenico, il Vaticano II, e nei suoi testi pastorali.

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