Parliamo di sport: il rugby – di Fabio Trevisan

“Il rugby è l’unico sport in cui si può propriamente parlare di metafisica!”

Il rugby è sovente visto come uno sport irruente, violento, che sembrerebbe contraddire l’apparente boutade riportata in corsivo. In realtà il gioco del rugby rivela una filosofia di vita sorprendente e, mi azzardo dire e dimostrare, molto cristiana e tradizionale. Non a caso il richiamo che i giocatori di rugby fanno, in mezzo al campo, ai propri compagni, nella battaglia sportiva che stanno combattendo è sovente un richiamo all’ordine e alla disciplina. Un appello cioè ad un controllo emotivo che altrimenti li potrebbe penalizzare, guastando un piano di gioco precedentemente provato e analizzato, anche nei piccoli dettagli.

Sembra davvero paradossale che le frasi spesso concitate di questo sport (dove il contatto fisico è privilegiato) possano trasmettere ordine, disciplina, rivelando una sorprendente affinità con il pensiero ordinato della filosofia dell’essere! Nella sua autobiografia, Marco Bortolami, che è stato capitano della nazionale di rugby italiana, testimonia che la capacità di leggere la partita e le mosse dell’avversario sono le caratteristiche tecniche che qualificano un giocatore della palla ovale. Palla ovale che, intendiamoci, può rimbalzare alta, lateralmente o rotolare via senza sussulti: metafora della vita, imprevedibile, imponderabile.

La cornice metafisica di questo sport è sintetizzata dai pali verticali piantati sulla linea dell’area di meta, che possono proiettarsi all’infinito, ma che indicano un limite e una direzione: chi centra i pali centra, entro questi limiti, la direzione giusta, l’esatta calibratura di un calcio “trascendente” sopra l’asse orizzontale della vita terrena, un paio di metri sopra il campo.

Agli occhi di chi non conosce questo bellissimo sport e le sue numerose regole, sembrerebbe che le zuffe ed i contatti frequenti tra i giocatori nel rincorrere e contendersi una palla bizzarra siano incomprensibili, legati alla sola forza ed all’ardore agonistico. Nulla di più sbagliato! Sempre Marco Bortolami, dal bagaglio della sua esperienza di seconda linea apprezzata a livello internazionale, afferma ad esempio che “la cosiddetta mischia chiusa è al 90% tecnica e solo 10% forza muscolare”, testimoniando così l’importanza della posizione e della direzione del pacchetto di mischia al momento dell’impatto e dell’ingaggio e della legatura con i compagni di gioco.

Il rugby presenta un gustoso paradosso che lo inscrive di fatto pienamente nell’alveo della tradizione cristiana: “Passando la palla all’indietro si va avanti”, a confermare non solo la visione più ampia, meno circoscritta di chi è solo proiettato in avanti, ma anche il richiamo da ciò che sta dietro, ossia dal passato e del suo possibile collegamento nel presente per l’azione futura. La consegna, il possesso fisico dell’ovale,  avviene quindi nella tradizione, nel passaggio continuo da chi sta dietro a chi sta davanti.

Anche la presa stretta dell’ovale, spesso trattenuta al corpo, ne attesta il realismo cristiano della carne e conferisce umiltà e dignità al giocatore, confermando quanto di buono possa essere fatto con le mani che Iddio ci ha donato. Il rugby è uno sport in cui si può propriamente parlare di metafisica! La meta viene infatti raggiunta e assegnata quando si schiaccia con il proprio corpo (dal bacino in su) la palla ovale: è meta fisica!

4 commenti su “Parliamo di sport: il rugby – di Fabio Trevisan”

  1. Molto bello e interessante sapere anche che questo nobile sport abbia anche una visione “metafisica” oltre quella propriamente “fisica”…però confesso di essermi quasi sempre addormentato (o almeno semplicemente annoiato…) guardandone una partita…niente a che vedere col “povero” calcio che sarà certamente più “piatto” da un punto di vista filosofico-culturale (anche se questo è poi tutto da dimostrare…) ma molto più entusiasmante e spettacolare…! 🙂

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