Patriottismo da spot. Va in onda una nuova retorica, anzi vecchissima

Torna il sentimento patriottico? A vedere certi spot televisivi si direbbe di sì. Vince il Tricolore che fa da sfondo alla pubblicità, innalzando il prodotto da mero oggetto di consumo a simbolo di coesione nazionale. Il carrello della spesa è patriottico. Perfino quello delle Coop, che ora dicono di vendere e invitano a consumare rigorosamente italiano. E con loro le Ferrovie impegnate a “collegare le passioni e i legami, pronte più che mai a sostenere il Paese”. È caparbia, innovativa e solidale l’Italia immaginata per propagandare il BTP Futura (che però ha chiuso la sottoscrizione poco sopra i sei miliardi di Euro contro una domanda stimata in circa dieci miliardi). Vincono la spesa patriottica, la filiera breve e il “made in Italy”. Fanno tendenza le bellezze artistiche e paesaggistiche del Paese: “È il momento di ripartire verso regioni da scoprire e città da visitare; verso persone da incontrare e culture da conoscere; uniti in un unico grande viaggio #InsiemeRipartiremo” – dice lo slogan. Anche i “Mastri Pastai” si mobilitano: “Ciò che conta è la forza di guardare avanti”. E tanto basta. “Riusciremo a rialzarci insieme” – afferma la pubblicità dello shampoo. Mentre l’Assicurazione garantisce: “Saremo al vostro fianco, in ogni tappa, sempre”.

In questi casi – come ci dicono i manuali – la pubblicità “asseconda” più che “orientare”. Dilaga nel Paese una domanda patriottica, che trova negli spot una rappresentazione compiuta, solenne, retorica. La Nazione entra prepotentemente nell’immaginario collettivo. Per questo viene celebrata e declinata su più piani. Ne siamo lieti e anche incuriositi. Con un dubbio di fondo però: fino a quando gli spot patriottici riusciranno nel loro intento rassicurante? E che cosa accadrà quando la realtà, la dura realtà post pandemica, soffocherà le aspettative?

Il patriottismo è una cosa seria. È Storia e passioni. Sentimenti e sfida futura. Non può essere solo uno sventolare di bandiere. È solidarietà autentica, mobilitazione e coesione sociale. È capacità di intervento attraverso politiche pubbliche finalizzate a garantire pari opportunità e a prevenire fenomeni di esclusione sociale. Intesa in questo modo, la coesione nazionale si sostanzia nei diritti che lo Stato riconosce e aiuta a realizzare, quali il diritto al lavoro e a un reddito per la propria famiglia, il diritto a votare e a partecipare alle scelte che riguardano la comunità, il diritto a dare un’istruzione ai propri figli, il diritto alla sicurezza e alla salute.

Fuor di retorica a quante di queste aspettative riesce a rispondere in modo adeguato l’attuale Sistema? E – di fronte alle carenze dell’odierno momento politico – fino quando il mantra dell’Era Covid19, “Andrà tutto bene”, riuscirà a lenire le ferite aperte dalla crisi economica e sociale? Perfino la ministro Lamorgese ha paventato un “autunno caldo”, segno – sono sue parole – della difficoltà dei cittadini a provvedere ai propri bisogni. A serpeggiare – come ha notato il Censis in un recente studio – sono la paura e il pessimismo: ben il 67,8% degli italiani ha paura per la situazione economica familiare, paura radicata nei territori e trasversale ai diversi gruppi sociali. La percentuale sale al 72% tra i millennials e le donne, sfiora il 75% nel Sud, supera il 76% tra gli imprenditori e arriva all’82,6% tra le persone con i redditi più bassi.

A battere all’uscio degli italiani sono la povertà, l’emergenza abitativa, la disoccupazione, la precarietà giovanile. La lista delle emergenze è lunga, segno di quanto gravi siano le quotidiane esigenze degli italiani, messi ai margini del contesto sociale, spesso costretti a livelli esistenziali di mera sopravvivenza, sviliti nella loro umanità.

È un “sistema” (economico e non solo, fatto com’è di relazioni sociali e di tutele) che va ripensato, riportando al centro – ben al di là degli slogan a effetto – il valore nazionale insieme a quello dell’etica collettiva e quindi di un’autentica socialità, rispetto a cui riordinare priorità, risorse, interventi.

Dopo la stagione degli annunci e delle promesse, c’è bisogno di mirati piani d’azione (piano giovani, piano casa, piano povertà, piano famiglia), che fissino scadenze, che, preso atto delle diverse emergenze, indirizzino le risorse in modo chiaro, che fissino priorità. C’è bisogno di una mobilitazione generale dell’intero Paese, consapevoli che in gioco ci sono i più vasti destini nazionali, oltre che quelli economici e sociali di una parte.

E qui il cerchio si chiude. Nella misura in cui la Nazione, oggi finalmente “ritrovata” nell’immaginario collettivo, è quella che al di sopra delle contingenze esprime una solidarietà, solo una rinnovata coesione sociale potrà dare sostanza all’idea di Nazione. Non basta insomma qualche spot a confortare quanti pagano la crisi, sanitaria e non solo, sulla propria pelle. Né sono sufficienti gli annunci per passare dalle aspettative alle risposte concrete. Ci vuole ben altro. A cominciare da un patriottismo che solo se declinato a livello sociale potrà rispondere alle domande del Paese reale, imboccando la strada della rinascita.

4 commenti su “Patriottismo da spot. Va in onda una nuova retorica, anzi vecchissima”

  1. Non bastano, certamente, spot e slogan; né le bandiere tricolori ai balconi. Per ritrovare un vero patriottismo l’Italia deve prima ritrovare un’anima e un senso morale.

  2. Del patriottismo fece lenocinio la massoneria, con i nazionalismi suscitati per rivoluzioni e conflitti. Ora il tricolore sui prodotti alimentari e diversi mi pare rappresenti soprattutto una certa assicurazione di provenienza nostrana. Per il resto, lo sfruttamento della bandiera non credo che giovi al governo di Pd e Grillini, che aprono le porte agli stranieri invasori: la contraddizione è stridente; semmai potrebbe servire alla Destra, se non fosse così debole.
    L’attuale consenso al patriottismo – assai inconsapevole riguardo alla preservazione dell’identità nazionale – ha di certo una sostanziosa componente anti-europeista.

  3. “Il Sistema” all’inizio dell’articolo. Non il governo, non i partiti etc… non il parlamento.
    Dobbiamo per primo riportare il sistema maggioritaRIO, IL MAGGIORITARIO PURO SENZA PERCENTUALI. .
    Solo così chi va a votare può quardare in faccio che vota. Se poi diminuire un po’ il numero dei parlamentari.
    Poi c’è il guaio del bicalerameralismo (quasi perfetto). Occorre, ed è urgente, la riforma del Senato. Deve essere la camera degli esperti e non eletta dal popolo : metà dal presidennte della Repubblica e metà dai rappresentanti di categorie, purchè gli uni e gli altri siano competenti al massimo livello. Questo diminuisce il comando dei partiti e quello delle varie lobby, E l’elezione del Capo dello stato i cui poteri devono essere aumentati. Il Senato fa un cinquina, o meno o più, e la Camera vota per quelli e ne sceglie uno.

  4. Elena Albertelli

    Questo che viene propagandato non è patriottismo, è l’idea di ritrovarsi insieme come quando gioca la nazionale. Da sottolineare una volta di più quanto è stato (ed è) repellente e di pessimo gusto lo slogan ANDRÀ TUTTO BENE. Per quanto io consideri esagerato il terrore creato intorno al virus, si è trattato comunque di una malattia che per molti è risultata fatale. A loro è andata male, così male che peggio di così…si muore.

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