PER CAPIRE IL RAPPORTO TRA CRISTIANESIMO E MALE FISICO, A PROPOSITO DEI RECENTI ATTACCHI A ROBERTO DE MATTEI – di Corrado Gnerre

di Corrado Gnerre

 

 

La grandezza di un santo come Padre Pio da Pietrelcina la capiremo sempre più con il passare del tempo. Ci convinceremo di quanto grande sia stato il dono, da parte della Provvidenza al secolo XX, di un santo di una tal specie. Un secolo che ha visto emergere una crisi terribile della Chiesa; una crisi che è stata teologica e anche sacerdotale. San Pio da Pietrelcina si è santificato facendo bene il sacerdote e operando su tre aspetti che sarebbero stati fortemente attaccati dalle eresie modernista e neomodernista: la liturgia, la valorizzazione del Sacramento della Penitenza e la devozione mariana, in particolar modo la devozione al Santo Rosario. San Pio celebrava con accuratezza straordinaria manifestando anche visibilmente quanto la Messa sia principalmente attualizzazione del Sacrificio di Cristo sulla Croce. San Pio trascorreva ore ed ore nel confessionale non trascurando la benché minima macchia del penitente. San Pio fu un grande innamorato della Madonna: pregava decine e decine (c’è chi dice addirittura: centinaia e centinaia) di Rosari al giorno e ne raccomandava fortemente la recita a tutti coloro che andavano da lui.

Ma c’è un altro aspetto che ha incarnato San Pio da Pietrelcina. Lo ha incarnato e ne ha continuamente fatto riferimento nelle sue dichiarazioni. Un aspetto –anche questo- volutamente dimenticato dalle teologie modernista e neomodernista: la sofferenza vicaria. Ovvero il fatto che il Cristianesimo è tutto nella cosiddetta teologia della croce e che, senza la croce, il Cristianesimo non c’è. Se si legge il suo Epistolario tutto è costruito sul concetto di sofferenza vicaria. Ad un suo figlio spirituale il Cappuccino stigmatizzato dice: “Benedici la mano che ti percuote, è la mano di un padre.”

padre pioHo voluto ricordare la provvidenzialità di un santo come Padre Pio da Pietrelcina perché le recenti polemiche che sono sorte in seguito ad una trasmissione radiofonica tenuta dal professor Roberto de Mattei esprimono in maniera evidente la dimenticanza di quella che è la verità essenziale del Cristianesimo. De Mattei non ha fatto altro che riaffermare ciò che la dottrina cattolica dice da sempre riguardo alla presenza del dolore nel mondo, soprattutto riguardo quel dolore che non ha come causa gli uomini ma eventi naturali. Era prevedibile che insorgessero gli ambienti laicisti (d’altronde è il loro mestiere, meglio: il loro cattivo e disonesto mestiere), ma era anche prevedibile che qualche organo di stampa cattolico (vedi l’intervento di Gianni Gennari su Avvenire) non solo non prendesse le difese di de Mattei ma addirittura gli si scagliasse contro. Era prevedibile perché –ahinoi- questo è lo stato del mondo cattolico, oggi.

E allora, dal momento che non bisogna mai arrendersi (anche perché a noi spetta la battaglia, a Dio invece la gloria) cerco di evidenziare alcuni punti importanti in merito al rapporto tra Cristianesimo e presenza del male nel mondo. Attenzione le cose che dirò dovrebbero (dovrebbero!) essere conosciute da tutti i cattolici, perché non hanno nulla di specialistico. Ma purtroppo così non è. Svilupperò sette punti:

  1. Il male fisico non va confuso con il male morale.
  2. Il male fisico è assunto da Dio stesso.
  3. Dio ha scelto la via della Croce.
  4. Il male fisico non necessariamente è un castigo personale.
  5. Dio ha introdotto la sofferenza vicaria.
  6. La teologia della croce “abbellisce” la vita.
  7. La teologia della croce attesta ulteriormente la bontà di Dio.

Il male fisico non va confuso con il male morale

Una volta la conoscevano anche i bambini che si preparavano per la Prima Comunione (quando si studiava su catechismi chiari). Mi riferisco alla classica distinzione tra male morale e male fisico. Il primo è il peccato, il secondo è la sofferenza che può toccare indipendentemente dalla propria volontà. Mentre il male morale è solo permesso ma mai può essere voluto da Dio, il male fisico non solo è permesso ma in molti casi può anche essere voluto da Dio. Per un motivo molto semplice: perché dopo la condizione successiva al peccato originale (la perdita del dono dell’integrità, per cui l’uomo tende più al male che al bene) il male fisico può servire per scongiurare il male morale. Certo, anche il male fisico è male e secondo il progetto originario di Dio non sarebbe dovuto esserci, ma esso è entrato come conseguenza del peccato originale e, pur essendo male, non ripugna totalmente Dio. Ciò che ripugna totalmente a Dio è il male morale, cioè il peccato.

Il male fisico è assunto da Dio stesso

Dal momento che il male fisico è entrato nel mondo in conseguenza del male morale (il peccato originale), il male fisico (come ho già detto) non ripugna totalmente Dio proprio perché è la conseguenza del peccato e non il peccato. Ciò è tanto vero che Dio stesso lo ha assunto. Con l’unione ipostatica del mistero dell’Incarnazione è avvenuto che Dio ha preso su di sé tutta la natura umana tranne il peccato e la possibilità di peccare. Tutta la natura umana: anche la sofferenza e il dolore. Sulla Croce il Verbo incarnato non ha finto di soffrire, ma ha sofferto così come avremmo sofferto noi se fossimo stati noi ad essere crocifissi. Ora, se il male fisico fosse il male in quanto tale (cioè il peccato), il Dio Padre avrebbe potuto scegliere questo esito per Suo Figlio? Altra cosa importante da ricordare è che mentre nelle altre religioni (ovviamente semplifico perché si dovrebbero fare tutta una serie distinguo) il divino crea il male, nel Cristianesimo non solo Dio non ha creato il male, ma addirittura viene a farne vera esperienza.

Dio ha scelto la via della Croce

Tutto ciò che ho detto finora è nell’evidenza dei fatti. Se qualcuno però volesse chiedere: ma se avesse voluto, Dio avrebbe potuto scegliere un’altra strada che non fosse la sofferenza? Dovremmo ovviamente rispondere di sì. Dio non doveva render conto a nessuno (se non alla sua natura, perché Dio è logos, per cui non può contraddirsi), ma ha voluto per esprimere estremamente il suo amore soffrire e morire per le sue creature: “Nessuno ha un amore più grande: dare la vita per i propri amici.” (Giovanni 15, 13) Questa è una scelta che si configura come un grande mistero… ma è la scelta che Dio ha fatto in maniera chiara ed inequivocabile.

Il male fisico non necessariamente è un castigo personale

Altro punto importante che va ribadito è che il male fisico può anche essere un castigo ma non necessariamente. Può essere un castigo perché se Dio –come abbiamo detto- sa che la più grande tragedia è il male morale e quindi la perdita definitiva della gioia eterna, Dio stesso farà di tutto perché questo non avvenga. Può anche castigare pur di far capire, come fa un bravo genitore per evitare che un figlio prenda una cattiva strada. In tal caso il castigo si configura come una grazia. Ero un giovanissimo studente di teologia e posi ad un mio professore di dogmatica (un grande teologo) la classica domanda: ma come mai Dio può permettere che soffra un bambino innocente, mentre un criminale può avere una vita senza problemi e caso mai morire anche ad una veneranda età? Il mio professore mi rispose: Dio castiga quando ancora c’è una speranza. Quando ormai non ci sono più speranze, Dio non castiga più. Ecco dunque che il castigo si configura come una grazia attuale: è un richiamo per capire ancora e per avere ancora una volta la possibilità di “riaggiustare” la propria vita.

Ciò quando il male fisico è un castigo. Ma il male fisico può essere anche una purificazione. Basta leggere la vita dei santi. Non c’è santo che non sia diventato tale senza percorrere la via della Croce. Il grande san Giovanni della Croce parla della  notte del senso e della notte dello spirito. Prove durissime che farebbero impallidire chiunque. Prove volute dalla Provvidenza: “Accetta quanto ti capita e sii paziente nelle vicende dolorose, perché l’oro si prova con il fuoco e gli uomini ben accetti nel crogiuolo del dolore.” (Siracide 2, 4-5)

Dio ha introdotto la sofferenza vicaria

Ma il male fisico –lo ricordo a tanti cattolici- serve anche per uniformarsi alle sofferenze redentive di Cristo. San Paolo lo dice chiaramente: “Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa” (Colossesi 1,24). Dio lo vuole, c’è poco da fare. Chiederei a molti che stanno storcendo il naso dinanzi a ciò che sto dicendo: ma a Fatima la Madonna cosa è venuta a fare? E’ venuta a chiedere la recita del Rosario e l’offerta di sacrifici e di sofferenze per la salvezza di ormai troppe anime che “vanno all’inferno”. La Madonna non è venuta a chiedere né piani pastorali né convegni teologici e interculturali, ma preghiera e penitenza! Addirittura lo chiese a dei bambini. Addirittura chiese alla piccola Giacinta se avesse voluto offrire per la salvezza dei peccatori la terribile sofferenza di morire senza la compagnia della mamma.

Ciò è appunto la sofferenza vicaria. Si leggano i trattati di Teologia Spirituale e si capirà di quante anime la Provvidenza sceglie come “vittime” per la salvezza del mondo.

La teologia della croce “abbellisce” la vita

E adesso sembra che la diciamo grossa. Forse qualcuno potrà accusarmi di masochismo, ma solo se si rifiuterà di capirmi. La teologia della croce, che è l’essenza del Cristianesimo, rende più bella la vita. Seguitemi in questo ragionamento.

L’unica felicità che è possibile per l’uomo non è alternativa alla sofferenza, bensì alla disperazione. La sofferenza è ineliminabile dalla vita, l’unica cosa che possiamo fare è conferire un senso alla sofferenza, altrimenti c’è la disperazione. Oggi, la grande insoddisfazione umana sta nel fatto che non si ha un senso per vivere e quindi non si ha nemmeno un senso per soffrire e per morire. Gesù non è venuto a toglierci la croce ma per indicarci come portarla: “Chi vuol seguirmi, rinneghi se stesso (via purgativa), prenda la sua croce (via illuminativa) e mi segua (via unitiva).” (Matteo 16, 24).

Un conto è sapere che la sofferenza ha un senso nell’economia della salvezza propria e degli altri; altro è sapere che non ha alcun senso. Un ammalato che è costretto nel suo letto, se deve convincersi che la sofferenza non ha senso, non riuscirà a cogliere più il significato del suo vivere in quel modo; ma se sa che con quella sofferenza può essere utile per sé e per gli altri, allora cambia tutto. Ciò spiega perché oggi, pur essendoci una sofisticata terapia del dolore rispetto al passato, vi è una maggiore domanda di eutanasia rispetto al passato. San Francesco diceva: “Tanto è il bene che mi aspetto, che ogni pena mi è diletto.”

La teologia della croce attesta ulteriormente la bontà di Dio

E finalmente l’ultimo punto. Dio guarda le cose sub specie aeternitatis, cioè nella prospettiva dell’eternità. Dio permette la sofferenza degli innocenti perché sa che questa non solo è un’occasione per la salvezza propria e degli altri, ma è anche un “nulla” rispetto all’immensa gioia del Paradiso. Oggi, diciamocelo francamente, siamo diventati tutti un po’ “pagani”: le preoccupazioni sembrano essere solo quelle terrene e sociali. Alziamo la voce non contro il peccato e l’empietà, ma al limite per evitare il nucleare e promuovere la raccolta differenziata dei rifiuti. Quasi a convincerci che, tutto sommato, l’unica nostra possibilità di gioia è su questa terra. E non ci rendiamo conto della contraddizione. Un annuncio cristiano che dimentichi la tensione verso l’eternità, per evitare di dare un’immagine troppo severa di Dio, finisce poi, paradossalmente, con l’ammettere davvero una possibile “cattiveria” di Dio. Se infatti il messaggio che implicitamente si trasmette è quello per cui la vera felicità è su questa terra, verrebbe allora da chiedersi: perché Dio permette che muoia un bambino e che rimanga in vita un delinquente?

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