Perché i martiri delle foibe continuano a imbarazzare. Onoriamoli noi

Vorrei poter rendere ai martiri delle foibe tutta la pietà e tutto l’onore che questa Italia cialtrona, barbara e sanremista si rifiuta di tributare ai morti. Non dico “i suoi morti” perché non intendo imparentare anche solo sintatticamente le migliaia di martiri istriani, dalmati e giuliani con il nulla impudente steso a reti unificate sotto il sole festivaliero di Sanremo. E non dico Italia antifascista perché anche quella ormai si è dissolta e dissoluta in un libertinismo di massa che ha mantenuto il vecchio vocabolario soltanto per farsi impunemente nuovi porci comodi.

Tuttavia, anche in tale fase marcescente, gli eredi del partigianismo e le vestali dell’antifascismo anche quest’anno non si peritano di lordare con i se, i ma e i distinguo la memoria di martiri che non riconoscono. Delle vecchie lezioni alla scuola di partito hanno trattenuto l’insegnamento che i morti non sono tutti uguali, alcuni si possono vilipendere e altri no.

Cosicché, nonostante la legge e nonostante le buone intenzioni, la data del 10 febbraio non riesce ad alimentare una vera memoria del massacro di ventimila uomini, donne e bambini, infoibati, deportati e dispersi dai comunisti titini e dai loro complici italiani con la copertura delle potenze alleate e liberatrici. Per chi ancora non lo sapesse, i boia portavano i nemici da epurare sull’orlo delle foibe, li legavano tutti insieme con filo spinato, poi sparavano in testa al primo della fila che, cadendo nelle viscere della terra, si tirava dietro tutti gli altri.

Era in carica il secondo governo Berlusconi quando il 30 marzo 2004 fu approvata la legge che istituiva il ricordo di quei fatti. “La Repubblica” recita il testo “riconosce il 10 febbraio quale ‘Giorno del ricordo’ al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”.

Non so se anche a voi fa uno strano effetto quel “Giorno del ricordo” che così palesemente suona parecchie ottave sotto quello della “memoria”. La “memoria” è collettiva, comune e condivisa, invece il “ricordo”, per quanto diffuso, rimane sempre una questione privata. Non è un caso se la legge 211 del 20 luglio 2000 usa un’altra terminologia: “La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, ‘Giorno della Memoria’, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati”.

Ancora una volta, mi si dirà che è sempre meglio poco che niente. Ancora una volta risponderò che accontentarsi del poco porta inesorabilmente ad avere sempre meno, fino a tornare al niente senza alcuna possibilità di rilanciare. Giusto per buttare lì un esempio concreto: se questo sito osasse eccepire su contenuti e forme del “Giorno della memoria” verrebbe chiuso d’imperio nel consenso generale, mentre il “Giorno del ricordo” può essere infangato da chiunque senza nessuno se ne dia pena perché la storia la fanno i vincitori.

Wikipedia, l’enciclopedia online di chi non ama studiare e dunque il più potente strumento di formazione, spiega così la questione delle foibe:

La qualificazione delle concause e dei fattori che possono essere alla base dei massacri delle foibe è un’operazione senza dubbio complessa. Dall’esame dei fatti storici emergono una serie di elementi antecedenti non trascurabili, quali:
– la contrapposizione nazionale ed etnica fra sloveni e croati da una parte e italiani dall’altra, causata dall’imporsi del concetto di nazionalità e Stato nazionale nell’area;
gli opposti irredentismi per cui i territori mistilingui della Dalmazia, della Venezia Giulia e del Quarnaro dovevano appartenere, in esclusiva, all’uno o all’altro ambito nazionale, e quindi all’uno o all’altro Stato;
– le conseguenze della prima guerra mondiale con un’intensa battaglia diplomatica per la definizione dei confini tra il Regno d’Italia e il neonato Regno dei Serbi, Croati e Sloveni con conseguenti tensioni etniche, che portarono a disordini locali e compressioni delle rispettive minoranze fin dal primo dopoguerra;
– Il tentativo di assimilazione forzata delle minoranze slave dalla Venezia Giulia durante il ventennio fascita;
– L’occuopaziuone militare italiana durante la seconda guerra mondiale di diverse zone della Jugoslavia durante le quali si verificarono anche crimini di guerra contro la popolazione civile;
– La guerra nel teatro jugoslavo-balcanico, che fu uno die fronti più complessi e violenti (ad esempio l’operato degli ustascia croati);
– la convinzione dei partigiani jugoslavi per la quale sarebbero stati legittimati ad annettere al futuro stato jugoslavo quella parte della Venezia Giulia e del Friuli (Litorale sloveno e Istria), abitata prevalentemenete o quasi esclusivamente da croati e sloveni;
– la convinzione, diffusza fra i partigiani jugoslavi, che la guerra di liberazione jugoslava non avesse solo un carattere “nazionale”, ma anche “sociale”, con la popolazione italiana percepita anche come “classe dominante” contro cui lottare;
– la natura totalitaria e reprerssiva del costituendo regime comunista jugoslavo.

Citazione un po’ lunga, ma meritevole di essere letta, non fosse che per notare la fugace citazione della “natura totalitaria e repressiva” del regime di Tito posta in coda all’elenco delle possibili “concause”. Dunque, italiani in generale e fascisti in particolare se l’erano cercata. Cosa voglio oggi quei morti? Cara grazia se un governo “amico” gli abbia concesso il “Giorno del ricordo”.

Invece, quei morti continuano a porre la stessa domanda, che trascrivo io per conto loro. Non dico genericamente “un italiano”, ma arrivo all’abiezione di chiedere se “un fascista” gettato nelle foibe dai comunisti vale meno di un ebreo morto nei lager nazisti. In quanto “fascista” era, è e sarà sempre un po’ meno uomo di tutti gli altri?

Non mi interessa discutere qui il valore salvifico attribuito alla shoah persino da chi dovrebbe attribuirlo solo ed esclusivamente a Nostro Signore Gesù Cristo. Ma non mi si venga a dire che il male comunista è stato un un male minore rispetto a quello nazista assoluto per acclamazione universale. Il male assoluto non esiste, altrimenti non esisterebbe Dio e, quindi, non esiterebbe il mondo.

Ripeto la domanda: un “fascista” è un uomo che vale meno degli altri uomini e dunque non è un uomo? Il suo assassinio vale meno degli altri assassinii e dunque non è un assassinio? La sua vita vale meno delle altre vite e dunque non è vita? E per “fascista” la mia indole antagonista intende chiunque non sia gradito al sistema.

A chi si accontenta del poco voglio dire che bisogna chiedere tutto. Bisogna porre instancabilmente e continuamente le stesse domande che possono avere solo una risposta vera e legittima. Solo così si svela l’ipocrisia dei sistemi di “natura repressiva e totalitaria”. Bisogna essere portatori della radicale esigenza di “vivere senza menzogna” perché solo così, ci ha insegnato Solženicyn, si mette in crisi il potere iniquo, che è in grado di assorbire tutto tranne il fatto di essere interpellato sulla verità.

Intanto, diciamolo noi che quei martiri sono uomini come tutti gli altri. Il nostro onore e la nostra pietà non glieli può sottrarre nessuno.

15 commenti su “Perché i martiri delle foibe continuano a imbarazzare. Onoriamoli noi”

  1. Mi è piaciuto tutto l’articolo e soprattutto l’accenno alla “somarata” dell’asserzione male assoluto che da un po’ di tempo è usata dagli intellettualoni di sinistra in grave carenza di nozioni basilari di metafisica

    1. Purtroppo, signor Mario, la somarata del male assoluto è usata anche da politici e intellettuali (?) di destra che pensano di rendere più gradita la loro appartenenza. Pensiamo sempre a chi si inchinano quando arrivano i momenti cruciali.

  2. Elena Albertelli

    Il poco per noi è già tanto. Mio padre, esule da Pola dal ’47 e morto nel ’91, l’istituzione della giornata del ricordo non l’ha vissuta, però ha vissuto la negazione e l’oblio da parte della madrepatria. Non però della patria più piccola che si era scelto, la città di Trieste, dove di foibe si è SEMPRE parlato. Ne parlava in classe la mia maestra (esule) alla fine degli anni sessanta. Ne parlava mia zia quando passeggiavamo nel nostro rione e mi indicava una casetta modesta LÌ ABITA L’INFOIBADORA. Perché naturalmente se ne stava lì tranquilla dopo aver spiato e aiutato vendette personali. Ricordo la nostra frustrazione quando parlavamo con gli altri italiani che di tutto ciò non sapevano nulla. Io sono grata del fatto che se ne parli, anche se lo si fa male. Almeno le polemiche ci hanno tolto dall’abisso dell’oblio.

  3. Alessandra Canalis

    È davvero una barbarie relegare in una angolino della storia la tragedia delle foibe. Mi associo alle domande dell’articolo: un “fascista” è un uomo che vale meno degli altri uomini e dunque non è un uomo? Il suo assassinio vale meno degli altri assassinii e dunque non è un assassinio? La sua vita vale meno delle altre vite e dunque non è vita? Chi ha almeno di coraggio di mostrarsi privo di pudore ci dica di sì.

    1. Franco Locatelli

      Mi associo anch’io. se è necessario metterci un hashtag davanti mettiamolo: #un “fascista” è un uomo che vale meno degli altri uomini e dunque non è un uomo?
      e anche: #i martiri delle foibe onoriamoli noi

      1. Mi associo anch’io. Propongo un solo hashtag perché è più efficace e non per evitare il resto che condivido pienamente: #i martiri delle foibe onoriamoli noi

        1. Lo sdegno e la rabbia e l’esigenza di giustizia mi spingono a dire la mia, ma che aggiungere alle nobili parole di Alessandro Gnocchi, ai suoi dolorosi interrogativi? In questa orribile società c’è comunque e sempre un uomo che è meno uomo degli altri e qualcuno che nel mare immenso dei diritti ha sempre meno diritti di qualcun altro. È quello a cui come minimo bisogna sputare in faccia, augurare un cancro o appendere a testa in giù perché “è un fascista”, la peggiore specie di animale ancora non estinta, uno spregevole agglomerato di pensieri, parole e opere che disturba troppo il sinistro malefico pensiero dominante. Dunque, che se ne faccia carne da macello e che sia gettata in pasto alle belve.
          Ne abbiamo fin sopra i capelli di questo sangue innocente che grida vendetta mentre la terra è sorda a metà.
          Ma ad est e ad ovest del mondo se ne facciano una ragione: “ha dda passà ‘a nuttata”.

          1. Oggi lieta ricorrenza della Madonna di Lourdes e triste settimo anniversario di una oscura rinuncia. Affidiamoci alla Vergine Immacolata con la recita del Santo Rosario.

  4. Chiunque venga a patti con questa gente ne è complice. I martiri delle foibe vanno ricordati tutti i giorni e non solo 10 febbraio, per di più a comando di chi si nasconde dietro al foglia di fico della giornata del ricordo.

  5. Sottoscrivo dalla prima all’ultima riga. Scrivo dal Triangolo della morte e ne so qualcosa, anche del terrore che ancora oggi prende qualcuno da queste parti. Grazie

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