PERCHÉ LA COSTITUZIONE RISULTA INVALIDA – di Piero Nicola

di Piero Nicola


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Leggiamo alcuni articoli della nostra Costituzione.

“Art. 1. L’Italia è una Repubblica democratica… La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.

Leone XIII, nell’Enciclica Immortale Dei, sentenziò che “il potere pubblico in se stesso non può derivare che da Dio. Dio solo è il vero e supremo Signore del mondo e a Lui devono sottostare tutte quiete le creature, e servirlo, poiché chiunque è investito della sovranità non d’altronde la tiene che da Dio massimo Signore di tutti. Potestà non c’è che non sia da Dio (Rm. 13, 1)”.  Quindi ribadiva che “la sovranità popolare, che si pretende risieda essenzialmente nelle moltitudini indipendentemente da Dio, se da un canto è ottimo strumento per porgere lusinghe e incentivi a molte passioni, dall’altro non ha alcun solido fondamento, né può avere tutta la forza occorrente per mantenere tranquillo e sicuro l’ordine civile”.

E ancora Leone XIII, Enc. Diuturnum: “Da quella eresia [la “Riforma, i cui promotori e duci radicalmente oppugnarono con nuove dottrine la sacra e civile potestà”] ebbero origine nel secolo passato la falsa filosofia e quel diritto che chiamano nuovo e la sovranità popolare”.

San Pio X, Enc. Notre charge apostolique: “Egli [Leone XIII] ha bollato quella democrazia che giunge ad un grado di perversità tale da attribuire, in una società, la sovranità al popolo”.

Analoghe conferme di ciò si possono ricavare da numerose affermazioni di Pontefici; inoltre l’ingiustizia della sovranità civile indipendente da Dio si deduce da un documento che Pio IX emanò ex cathedra, l’Enc. Quanta cura: “Osano insegnare che la migliore costituzione dello Stato ed il progresso civile esigono assolutamente che la società umana sia costituita e governata senza verun riguardo alla religione come se non esistesse, od almeno senza veruna differenza tra la vera e le false religioni. E contro la dottrina delle Scritture, della Chiesa e dei Santissimi Padri non dubitano di asserire la migliore condizione della società essere quella, in cui non si riconosce nello Stato il dovere di reprimere con pene stabilite i violatori della cattolica religione, se non in quanto ciò richiede la pubblica quiete […] Pertanto tutte e singole le prave opinioni e dottrine ad una ad una in questa Lettera ricordate con la Nostra Autorità Apostolica riproviamo, proscriviamo e condanniamo; e vogliamo e comandiamo, che da tutti i figli della Chiesa s’abbiano affatto riprovate, proscritte e condannate”. Dunque chi impugnasse queste proposizioni, impugnerebbe il dogma.

Ora è evidente che la sovranità popolare incondizionata comporta anche la facoltà di volere o di mantenere lo Stato reprobo sopra descritto e riprovato.

Vediamo allora in che consistevano le condizioni poste all’esercizio della sovranità popolare: “nelle forme e nei limiti della Costituzione”.

In essa troviamo “forme” e “limiti” errati e illeciti rispetto al Concordato – ne parlerò più avanti -, ma nulla che ponga Dio sopra il sovrano popolare. La stabilita divisione dei poteri dello Stato, che condizionano la sovranità, non tolgono il principio di autonomia rispetto a Dio. Tutte le potestà costituzionali sono svincolate dalla divina investitura: “società umana” “costituita e governata senza verun riguardo alla religione”, eccetera. Anche ciò sarà presto assodato. Intanto ricordo che, precedentemente, il re d’Italia veniva definito tale per volontà di Dio e della nazione.

Sussisteva, a tale riguardo, l’appiglio a una certa osservanza religiosa: i Patti Lateranensi in qualche modo recepiti dai padri costituenti. Art. 7: “Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale”.

Già in questo articolo, la sovranità dello Stato appare indipendente. Si ignora la vasta e grave materia di comune competenza del potere civile e di quello religioso. La costituzione è dichiarata intangibile rispetto a ogni modifica dei Patti. Implicitamente, essa viene considerata non impugnabile da parte della Chiesa a motivo del mancato rispetto del Concordato nello stesso testo costituzionale. Infatti, se una modifica concordata non poteva cambiarlo, a maggior ragione una sua emendazione richiesta dal Vaticano non sarebbe stata accettata.

Questo stato di cose e la possibilità che, di fatto, lo Stato si ravvedesse tenendo fede ai patti secondo un indirizzo politico migliorato, dovettero indurre la Chiesa a praticare la tolleranza.

In effetti c’era molto da tollerare, molto che contraddiceva l’articolo principe del Concordato: l’adozione da parte dello Stato della Religione Cattolica come propria. Dal che discendeva che il Potere civile dovesse assumere come propri i precetti della dottrina cattolica.

Viceversa:

“Art. 3. Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di… religione, di opinioni politiche…”

“Art. 8. Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge.

“Art. 19. Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume”.

“Art. 21. Tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni mezzo di diffusione.

“La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”.

Ecco dato alla seduzione il diritto di sedurre, quando si capisce che la falsità recante la licenza è più cattivante della verità che obbliga alla virtù e al sacrificio.

Non v’è dubbio alcuno che tali disposizioni incorrevano nella condanna dogmatica fulminata da Pio IX nella Quanta cura, se necessario, con l’avvallo di numerosi Pontefici. Non mi dilungherò ad allegare le ripetute condanne pontificie della tesi che sosteneva la separazione dello Stato dalla Chiesa.

Qualcuno osserverà che il Regno, dopo Carlo Alberto, aveva mantenuto nello Statuto la Religione come di sua appartenenza; ma era una disposizione di ipocrita convenienza, dato che lo stato violava i diritti di Dio a cominciare da quelli di Pietro, e per questo aveva meritato il non expedit: violazioni inammissibili, che vennero rimediate soltanto con il Concordato del 1929.

“Art. 29. […] Il Matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare”.

È annullato il principio del marito capo famiglia, sancito dalla legge naturale e divina.

La vasta perversione dei costumi e della mentalità corrente potevano consigliare la tolleranza, data l’inutilità ed anche l’effetto controproducente di contrastare con risolutezza certe cattive  pieghe, cui sovrastava una cattiva e potente influenza internazionale. Ma la Costituzione è la legge delle leggi e non può senza squalificarsi sostituire l’iniquità alla tolleranza, dichiarando giusta l’ingiustizia.

Sicché la prevaricazione scritta sulla Magna carta italiana partorì la dissoluzione. I legislatori, anziché correggere la lettera, i governi, anziché raddrizzare la pratica, assecondarono e sfruttarono la popolare libidine di falsa libertà.

Questa la storia fino alla revisione del Concordato, con la quale il cosiddetto laicismo civile ebbe un’approvazione universale (a prescindere dalla cattolicità delle popolazioni) mediante un sacro rinnegamento che è superfluo indagare.

In ultimo, non sarebbe fuori luogo una meditazione sull’uguaglianza incondizionata, più volte fatta valere dal dettato costituzionale, tenendo presente il senso comune ed il seguente passo dell’Humanus genus di Leone XIII, ove appare chiaro che l’uguaglianza morale, di giudizio e di capacità non può essere un diritto, ma solo una convenzione eventualmente necessaria:

“I Naturalisti insegnano che gli uomini hanno tutti gli stessi diritti e sono di condizione perfettamente uguali; che ogni uomo è, per natura, indipendente […] che voler gli uomini sottoposti ad altra autorità, all’infuori di quella che emana da loro stessi, è tirannia. Quindi il popolo è sovrano: chi comanda non aver l’autorità di comandare se non per mandato e concessione del popolo; tantoché a talento di questo egli può, voglia o non voglia, esser deposto. L’origine di tutti i diritti e doveri è nel popolo, ovvero nello Stato, che reggasi per altro secondo i nuovi principi di libertà […] Così ancora chi guardi alla comune origine e natura, al fine ultimo assegnato a ciascuno, ai diritti e doveri che ne scaturiscono, non è da dubitare che gli uomini sono tutti uguali fra loro. Ma poiché capacità pari in tutti è impossibile, e per le forze dell’animo e del corpo l’uno differisce dall’altro, e tanta è dei costumi, delle inclinazioni, e delle qualità personali la varietà, è assurdissima cosa voler confondere e unificare tutto questo, e recare negli ordini della vita civile una rigorosa ed assoluta uguaglianza”.

Ci sarebbe ancora da entrare nel merito del funzionamento delle istituzioni statali, prescritto dalla Costituzione. Esso ha dato prova di varie inefficienze. Soprattutto la faziosità degli uomini di partito che ricoprono le più alte cariche rende la grande macchina corrotta e inadatta a produrre il bene comune. Si tratta di una materia alquanto sottostante al problema maggiore, etico-religioso, e conviene che sia partitamente esaminata.

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