PIETRO GERMI AFFRONTA IL TEMA DEL BRIGANTAGGIO E DELL’UNIFICAZIONE NAZIONALE – di Piero Nicola

di Piero Nicola

 

 

fgIn questi tempi, in cui ci sta a cuore l’unità nazionale da contrapporre alle dissoluzioni del mondialismo e agli sviamenti regionalisti, è interessante vedere come, nel primo consolidarsi della Repubblica italiana, un regista già affermato come Germi mettesse a fuoco, in un film destinato al grande pubblico, il problema della pacificazione e dell’assimilazione all’Italia delle province tolte ai Borboni.

All’epoca (1952) ci furono critici che obiettarono al film Il brigante di Tacca del Lupo l’uso di toni e modi che appartenevano alle pellicole western. In effetti, la trama avventurosa e certi canti e musiche del folclore piemontese, calati nelle soste della truppa spinta alla caccia dei banditi, arieggiano le epopee della Frontiera americana. Ma questo accompagnamento in qualche modo commerciale non prevarica, viene assorbito dalla dialettica pro e contro l’aggregazione allo Stivale di popolazioni arretrate, specie nelle zone rurali e montane, soggette a una moralità in alcuni casi opinabile, e però ferma nella tradizione cattolica. Quando le popolazioni settentrionali, anche delle campagne, stavano per digerire il liberalismo mazziniano o d’altro genere.

Un villaggio dell’aspro Appennino è stato conquistato dai briganti che, col favore dei residenti, hanno giustiziato coloro che avevano aderito alla causa dei Piemontesi, e perpetrato diverse violenze, mentre il sindaco è andato incontro ai fuorilegge stendendo il tricolore sotto gli zoccoli dei loro cavalli, e i maggiorenti si sono sottomessi ai fedeli del re Ferdinando, che ne vorrebbero restaurare il potere. Da tre anni, l’esercito tenta invano di stabilire la sovranità dello Stato. Un capitano viene a riorganizzare le milizie, a riportarvi disciplina e spirito militare. Un dato di rilievo del film è appunto la rocciosa figura del comandante, interpretata da un Amedeo Nazzari al meglio delle sue capacità, valorizzato dal vigore impresso da Germi ai suoi personaggi e dal taglio incisivo delle riprese cinematografiche.

Nel villaggio riconquistato, il capitano riporta l’ordine secondo la giustizia dovuta alle circostanze: con la severità e il tributo del sacrificio indispensabili all’autorità da stabilire. Egli prende coscienza della situazione, diffida del commissario di polizia, proveniente dai ranghi del passato regime, conoscitore dei luoghi e degli uomini, propenso all’astuzia e a transigere di fronte a una forza preponderante. L’ufficiale gli ingiunge di denunciare i proprietari che si arresero alle pretese dei briganti e di arrestare il sindaco. Ma poi deve accettare che il commissario proceda per la sua strada, e sa che i cafoni sono stati gravati da tasse e leva obbligatoria, a cui prima non erano stati soggetti. E giunge a fare del sarcasmo sulla “bella idea” di Garibaldi “di venire a liberare il Meridione”: “Potrebbe venire lui adesso a fare la guerra contro i briganti”. Tuttavia, a coloro che li sostengono applica la legge marziale. L’Italia è fatta, di lì occorre ripartire. E colui cui spetta il compito drammatico di contribuire a sanarla, va incontro al sacrificio degli ostaggi in mano al nemico irregolare con cui non si patteggia, nella campagna rivolta alla sua eliminazione.

Frattanto, nel caffè si tiene uno scambio di vedute tra i notabili. In contraddittorio con un mazziniano e un fautore del progresso, il barone ribatte che molti delitti si commettono in nome della libertà, che il progresso porta allo scetticismo, che il loro popolo è troppo profondamente religioso per essere allontanato dai suoi antichi costumi e condotto non si sa dove, e che lo stato primitivo delle genti meridionali non è che un pretesto di cui si serve certa propaganda per giustificare interventi estranei, per inculcare teorie sociali affatto estranee.

Il bivacco dei soldati è sfiorato dalla fuga di una giovane sposa violentata da Raffaraffa, il capo dei ribelli. La donna oltraggiata viene afferrata e trattenuta nel campo, ma resta chiusa nel suo dolore. All’offerta di aiutarla e alla richiesta di fornire notizie sull’uomo detestato da tutti loro, ella risponde che suo marito è uomo di onore. Fugge nuovamente e dovrà riparare nella casa paterna. Ora avviene che lo stesso esasperato senso dell’onore per cui il consorte la rifiuta, farà di questi lo strumento necessario per giungere al covo dei briganti. Essi saranno sconfitti grazie alla coraggiosa perseveranza del capitano e alle informazioni raccolte inaspettatamente dal commissario: trasmesse per il tramite del marito offeso, il quale, durante lo scontro finale, potrà sfidare Raffaraffa a un duello rusticano e lavare l’onta. Alla moglie arrivata sul campo di battaglia, egli dice che avrebbe preferito riceverla morta, ed ella acconsente. Però i due se ne andranno riuniti. E l’ex tenente dell’esercito borbonico, rimasto fedele al sovrano spodestato, rimasto in forza presso i ribelli e adesso in fin di vita, ottiene dal comandate piemontese la promessa di una sepoltura separata, degna di un caduto onorevole.

Pietro Germi si era già distinto con In nome della legge, dove è bene osservare che la piaga della mafia non ebbe una trattazione sufficientemente realistica e adeguata. Sempre negli anni Cinquanta, effettuò due lavori pregevoli, Il ferroviere e L’uomo di paglia, aventi per protagonisti (coprendo entrambi i ruoli, egli dimostrò d’essere grande attore) un macchinista sopraffatto dalle ingiustizie nel suo ambiente, provato dal dispiacere per una figlia fedifraga, logorato dalla propria umana debolezza; e un meccanico di fabbrica, colpito da un amore extraconiugale per una giovane che, lasciata da lui, si suicida.

Uomo di sinistra, stretto in alcuni pregiudizi ideologici, e tuttavia animato da onesti sentimenti, tra cui ammetteva quelli religiosi, Germi si attirò le critiche dei comunisti vincolati al mito della superiorità attribuita alla classe operaia. Così, in quegli anni si chiuse un suo periodo memorabile. Quanto egli produsse successivamente ritengo possa essere tralasciato senza scrupoli eccessivi, salvo trarre dalle valutazioni negative un significato costruttivo.

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