Politiche per la famiglia: il silenzio di Draghi

Il Presidente del Consiglio, Mario Draghi, è notoriamente l’uomo dei numeri. Lo è stato alla Bce ed ancora prima nei vari incarichi che ha avuto ai vertici delle istituzioni finanziarie del Paese. Lo è stato nei continui richiami, di anno in anno, al rigore dei bilanci e all’efficienza ed efficacia nella gestione delle risorse. Stupisce perciò la sua disattenzione rispetto all’evidenza delle tendenze demografiche che hanno segnato (ormai da decenni) e continuano a segnare la nostra realtà nazionale. 

In Italia, nel 2019 i nati sono stati 420.000 di cui 328.000 da entrambi i genitori italiani: 20.000 in meno rispetto a  quelli del 2018 e ben 142.000 in meno rispetto al 2010. La denatalità non riguarda solo l’Italia, ma – dati Eurostat alla mano – già nel 2016 eravamo il Paese europeo con il tasso di natalità più basso: 1,34 figli per coppia, mentre per garantire un ricambio generazionale stabile il tasso di sostituzione deve essere di almeno 2,1 figli per coppia, per non parlare del rapporto tra morti e nati, 151 morti ogni 100 nuovi nati. 

L’emergenza Covid ha completato, in negativo, il quadro generale: nel 2020 la natalità è crollata ulteriormente;  le nuove nascite sono diminuite del 22 per cento, passando a 1,27 figli per coppia, contro una media UE di 1,56 figli. Ciò porterà ad un ulteriore invecchiamento della popolazione, peraltro già in stato avanzato: nel nostro Paese, infatti, per ogni 100 bambini dai 0 ai 9 anni ci sono 122 anziani nella fascia d’età 70-79 anni.

Questo quadro demografico sta avendo ed avrà sempre di più ricadute devastanti sulla tenuta del nostro sistema economico e sociale. Sono dati evidenti a livello scientifico, ma poco diffusi tra l’opinione pubblica, sottovalutati dai mass media e – fatto ancora più grave – messi in secondo piano nel confronto politico e nell’attenzione dei governi, via via succedutisi negli ultimi decenni, compreso l’ultimo arrivato, quello di Draghi. Nella Summa, tutt’altro che teologica, degli orientamenti programmatici enunciati dall’attuale Presidente del Consiglio in sede di dibattito parlamentare, di lotta alla denatalità non c’è traccia così come delle politiche a favore della famiglia, asse portante della tenuta del Sistema Paese. 

Quello che dovrebbe essere un simbolo dell’auspicata rinascita nazionale non viene neppure sbandierato formalmente, mimetizzato com’è dietro l’anodina (ed ambigua) definizione di Ministero senza portafoglio  per le pari opportunità e la famiglia, alla cui guida è stata messa una docente di analisi matematica, la prof. Elena Bonetti. Meglio non sembra andare per le politiche giovanili e demografiche, genericamente ricomprese nel piano europeo per la ripresa, il “Next generation Eu”, una sorta di palliativo economico e sociale rispetto ad una “nuova generazione” sempre più striminzita ed inadeguata a reggere l’urto con il travolgente invecchiamento nazionale.

É il segno di una sottovalutazione sia dei numeri, il pane quotidiano di Draghi, che  dei motivi di fondo  della crisi demografica, neppure sfiorati in sede di dibattito parlamentare. 

Eppure da analizzare e da discutere ce ne sarebbe. E non solo evidentemente in ambito economico.

Per la famiglia di  precarietà diffusa bisogna parlare ben al di là del mero contesto occupazionale e del reddito. La questione è soprattutto antropologica, di orientamento delle opinioni e di valori di fondo dell’intera società. Alla base certamente la scommessa sul futuro, perfino – ci si passi il termine – l’azzardo su un avvenire tutt’altro che chiaro, su cui dobbiamo tornare a scommettere come Nazione. 

E poi certamente le questioni specifiche interne alle famiglie, alla vita di relazione tra gli individui, al rapporto tra generazioni, ai valori che dovrebbero sostanziarli, all’aspettativa spirituale di vita. É un mix complesso quello che lega crisi demografica, famiglie e tenuta del Sistema Paese. Un mix che richiede risposte articolate e la crescita di una consapevolezza nazionale, a cominciare dai vertici istituzionali e dalle forze politiche. 

Occorre parlarne, richiamare sul tema i mass media, mobilitare l’associazionismo, fare campagne d’opinione. Occorre fare scandalo, uno scandalo opposto e contrario a quello cavalcato, negli Anni Settanta,  con irresponsabile dovizia, da certo sociologismo “progressista”, impegnato ad  esaltare  la morte della famiglia, a negare  la maternità e la paternità, fino a spostare i rispettivi ruoli ad altri individui al di fuori del gruppo biologico familiare, in una generica Rivoluzione dell’Amore, priva di responsabilità. C’è da ripensare scelte  di fondo e di valore. E politiche d’intervento, in grado di riportare la famiglia e la vita al centro del sentire collettivo. 

 Tacere – come ha fatto Draghi – non aiuta ed aggrava anzi la situazione. Da qui l’invito: Presidente Draghi sulla famiglia batta un colpo! L’Italia rischia di morire d’inedia. 

1 commento su “Politiche per la famiglia: il silenzio di Draghi”

  1. Sarebbe sufficiente che Draghi ascoltasse le proposte della Meloni sulla famiglia, proposte che erano già state formulate a suo tempo, durante le consultazioni. C’è anche, sempre, la possibilità di imitare la Francia (tassazione in base al quoziente familiare), invece di continuare a limitarsi a “dare l’elemosina” alle famiglie di recente costituzione.

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