POTRANNO MAI I CATTOLICI CONTARE UN PO’ DI PIU’ NEL NOSTRO TESSUTO SOCIALE? – di Carla D’Agostino Ungaretti

Meglio contestati che irrilevanti”.

(Camillo Ruini)


di Carla D’Agostino Ungaretti

 

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Catacombe di Sant’Antioco Martire, Patrono della Sardegna



In una precedente riflessione, mi domandavo se noi cattolici potremo mai andare d’accordo umanamente e socialmente – non dico politicamente (contando quindi un tantino di più) perché lascio il giudizio a chi è più competente di me in materia – con i laici, o meglio con i laicisti, della cui visione del mondo sembra ormai permeato tutto ciò che ci circonda, e la conclusione a cui giungevo era  pessimista.

Ora però vorrei andare un po’ avanti nella mia riflessione (molto umile, in verità) sulla posizione e sulla rilevanza di noi cattolici nello strano mondo nel quale Dio ha ritenuto giusto farci nascere, perché il problema è di scottante attualità e anche perché mi sembra che noi credenti in Cristo morto e risorto contiamo, in questo stesso mondo, sempre meno di zero e corriamo anche il serio rischio di essere perseguitati per le nostre idee tese a salvaguardare la legge naturale, come ha dimostrato recentemente l’avvenuto arresto a Parigi di un giovane che dimostrava pacificamente contro “le mariage pour tous” imposto dal Presidente Hollande. Quando toccherà anche noi qualcosa di simile? Forse quando e se saranno emanate le famigerate leggi sull’omofobia e sul matrimonio gay.

Infatti, se non dobbiamo essere pessimisti sul futuro della nostra fede, dobbiamo però anche riconoscere che la nostra speranza, per quanto riguarda la comunità umana, è messa oggi a dura prova. La Chiesa sembra scossa da un vero tzunami spirituale riconosciuto sia dai cattolici che dai laici. Non è la prima volta che si verifica un fenomeno del genere, ma oggi la situazione è molto diversa da quella del passato: la globalizzazione in atto provoca in tutto il mondo reazioni a catena un tempo inimmaginabili, perciò, da “cattolica bambina” quale sono, io penso che oggigiorno i cattolici, per conservare la propria fedeltà al messaggio cristiano, abbiano bisogno di un consistente supplemento di aiuto da parte dello Spirito Santo, perché l’essere umano purtroppo a tutto si abitua sotto la martellante influenza mass-mediatica che riesce a manipolare le coscienze, espugnandole spesso per sfinimento.

Molti di noi sono disorientati e corrono il rischio di essere travolti anch’essi dal pensiero dominante oggi di moda, finendo per condividerne gli aspetti più deteriori. Ma, come ha scritto Roberto de Mattei, la Chiesa è grande proprio perché sopravvive alla piccolezza degli uomini[1]. Non è detto che lo Spirito Santo la assista sempre in ogni suo atto, ma è certo che Dio, volgendo al bene anche il male, permette che il male avvenga per fini superiori e misteriosi, anche quando la politica e le leggi in genere rendono possibili molti comportamenti contrari alla Sua legge, facendoli sembrare normali e giusti. Di conseguenza, la coscienza individuale può rimanere fuorviata, finendo per accettare il relativismo contemporaneo che consente a tutti di fare ciò che si vuole, purché non si imponga nulla a nessuno e di nessuno si ledano i (presunti) diritti.

Questa tendenza di pensiero non può essere accettata da chi è profondamente convinto (per esempio) che l’aborto sia l’omicidio di un essere umano innocente aggravato dalla premeditazione e come tale debba essere considerato dalla coscienza collettiva; che l’eutanasia crei categorie di persone a rischio di eliminazione; che le pratiche contraccettive non debbano  essere imposte alle strutture religiose che professano princìpi diversi da quelli laici correnti; che il giusto principio di non discriminazione non debba consentire il matrimonio omosessuale con conseguente possibile adozione di bambini, negando ai piccoli innocenti il diritto di avere un padre e una madre. Invece il “mondo” non demorde dal tentativo costante e diuturno di convincere i cattolici a condividere il pensiero debole dominante, soprattutto in materia di famiglia e di bioetica, e bisogna riconoscere che purtroppo spesso ci riesce. Quante volte sentiamo i “cattolici adulti” approvare l’aborto, l’eutanasia, la selezione degli embrioni, l’adozione gay adducendo le stesse motivazioni dei laicisti? “In certi casi … in caso di stupro … se è il malato stesso a richiederlo … se si è portatori di malattie genetiche …meglio l’amore di genitori gay che l’orfanotrofio…”! Allora molti di noi, disorientati dalla massa di informazioni di segno opposto che ogni giorno ci piovono addosso, diventano vittime di una sorta di “complesso”: la paura di passare per integralisti o persone di anguste vedute. E’ il cosiddetto rispetto umano, definito un peccato dall’educazione catechistica che si impartiva una volta, ma di cui ora si è persa la cognizione; è la contraddizione in cui si dibatte oggi in Italia (ma non solo in Italia) la cultura cattolica.

Allora che cosa possono fare i cattolici più sensibili e consapevoli per contrastare questa tendenza e acquistare maggiore rilevanza nell’agone sociale e politico? Anzitutto, io credo (e a me sembra un’osservazione lapalissiana, ma evidentemente per molti non lo è) che si debbano proporre leggi coerenti con i princìpi fondamentali del diritto naturale, non avendo paura di essere contestati, come giustamente non si stanca di ripetere il Card. Ruini. Secondo l’Associazione 2000, poi, bisogna tornare al pensiero di Jacques Maritain sulla “costruzione di una città fraterna“, caratterizzata da “giustizia e amicizia”[2]. Per esempio, dimostrare che esistono sempre valide alternative all’aborto istituendo aiuti concreti alle donne in difficoltà; favorire e aiutare in tutti i modi possibili il vero matrimonio che valorizza la doppia genitorialità; tutelare la dignità della persona umana assistendo gli anziani e i malati in genere per frenare la spinta all’eutanasia e al suicidio assistito. In questo modo si ostacolerebbe anche la deriva individualistica che sembra permeare ormai tutta la nostra società.  E’ facile a dirsi, ma per realizzare questo progetto sono necessarie,in ciascuno di noi, una  ferrea motivazione interiore, una ferrea coerenza tra il pensiero cattolico e l’azione, accompagnate da un altrettanto ferreo impegno educativo verso le nuove generazioni che propongano una nuova concezione antropologica e sociale alternativa a quella ora dominante. I Vescovi italiani lo dicono da anni, ma per ora la loro è solo una “vox clamantis in deserto”.

Bisogna quindi costruire un’azione politica nella logica e nell’orizzonte dei valori antropologici ritenuti dalla coscienza meritevoli di riconoscimento e valorizzazione nella vita reale, sia individuale che collettiva[3], ma per fare ciò è necessario che i cattolici sentano che è loro dovere partecipare attivamente alla vita pubblica come, del resto, hanno esortato a fare i Vescovi italiani ribadendo l’insegnamento del Concilio Vaticano II[4]. Per questo io prego il Signore perché  dia a tutti noi la determinazione e il coraggio di opporci con tutte le nostre forze  all’abominevole legge contro l’omofobia, prodromo del matrimonio gay, attualmente pendente in Parlamento.

Il Card. Bagnasco ha illustrato il problema in termini chiarissimi ed esemplari[5]: la cultura dominante ritiene che, se un cattolico entra in politica, fa del confessionalismo in contrasto con il pluralismo culturale e la legittima laicità dello Stato e delle sue istituzioni. Effettivamente, il cattolico non può e non deve sospendere la sua fede durante l’esercizio della sua responsabilità pubblica, come sarebbe ingiusto pretendere che un laico sospendesse le sue più profonde convinzioni  solo perché si occupa di politica. Ma questo significa che nessun credente può trascurare la salvaguardia delle esigenze etiche fondamentali, cioè di quei valori che non sono di per sé confessionali, poiché “tali esigenze etiche sono radicate nell’essere umano e appartengono alla legge morale naturale. Esse non esigono in chi le difende la professione di fede cristiana, anche se la dottrina della Chiesa le conferma e le difende sempre e dovunque”.

Però, sappiamo tutti che “quot homines, tot sententiae”, e allora sorge ineluttabile la necessità della mediazione. Si può sempre “mediare“, anche se “mediando” si finisce per negare il diritto naturale? Quando si deve convivere, come si possono mettere d’accordo visioni del mondo distanti tra loro di 180°? A questo punto il pensiero cattolico afferma con forza che il diritto naturale dovrebbe essere riconosciuto e osservato da tutti, credenti e non credenti, perché siamo tutti nella stessa barca e il sole sorge e tramonta per tutti, come per tutti cadono la pioggia e la neve, ma viene accusato di fondamentalismo dogmatico.

La rivista JESUS ha chiesto a un esponente cattolico del M5S: “Da parlamentare lei agirà cattolicamente?” La risposta è stata: “A chi mi ha rimproverato perché ho firmato  una proposta di legge per i matrimoni omosessuali ho risposto che, pur non essendo personalmente d’accordo, in quanto amministratore mi devo spogliare della componente religiosa”[6]. La risposta è tipica del laicismo imperante: i cattolici possono professare la loro fede, ma solo nel segreto delle loro coscienze e senza disturbare la tendenza dominante; devono avere due facce, una segreta e una pubblica; devono separare la fede dalla loro vita. Cosa c’è di più antitetico al Vangelo?

Nel mese di giugno ricorreva la festa di S. Tommaso Moro, canonizzato da Pio XI nel 1935 e dichiarato patrono dei politici e degli statisti da Giovanni Paolo II. Io  avrei voluto regalare a quel signore un ritratto di questo grande Santo da tenere sempre bene in vista. La sua storia è nota: Sir Thomas More, gran cancelliere del Re d’Inghilterra Enrico VIII, non esitò a buttare a mare carriera, onori, riconoscimenti, ricchezze e la sua stessa vita per non tradire la propria coscienza di fervente cattolico in omaggio alla political correctness dell’epoca, rappresentata dalla volontà del Re che, per sposare Anna Bolena, stava per dare inizio allo scisma d’Inghilterra. Sir Thomas era notoriamente un uomo molto spiritoso, tratto comune a molti Santi. Di lui si ricorda una battuta pronunciata nei confronti di un suo amico il quale, per ottenere il governatorato del Galles, non aveva esitato a giurare fedeltà al Re che si era autoproclamato Capo della Chiesa d’Inghilterra in opposizione al Papa: “Perdere la propria anima è già una disgrazia, ma perderla per il Galles!…”. Parafrasando quella battuta, potremmo dire a tanti parlamentari pseudo cattolici: “Mettere a repentaglio la propria anima è già una disgrazia, ma farlo per approvare il matrimonio gay!...”. Oggi Thomas More non rischierebbe la vita nel dichiararsi contrario ai matrimoni tra omosessuali (almeno per ora...), ma sicuramente anche oggi perderebbe la carica di cancelliere, come il deputato di cui parlavo perderebbe voti e credito politico. I nostri rappresentanti al Parlamento che si professano cattolici avrebbero molto da imparare da lui, perché con il loro atteggiamento (che definirei bifronte) perpetuano l’eterno equivoco che attribuisce un carattere confessionale all’opposizione ai matrimoni gay e che i laicisti, per opportunismo, si guardano bene dal dissipare: sostenere l’assurdità del matrimonio omosessuale, e opporsi con tutte le proprie forze a che esso sia istituzionalizzato, non ha significato confessionale o religioso, ma antropologico e umano, eppure continua a essere contrabbandato come principio religioso e integralista. Gli affetti, omo o eterosessuali che siano, non possono influenzare il diritto perché sono personali, mentre i vincoli giuridici, soprattutto quelli coniugali, sono istituzionali e solo loro garantiscono  il futuro generativo sia a livello empirico che simbolico.

Oggi tutti si proclamano liberali, perché il contrario evoca i tristi ricordi delle dittature del XX secolo, ma in realtà per la maggior parte i sedicenti liberali sono “libertari” e la differenza tra le due posizioni è notevole. Tutti i liberali condannano lo Stato etico e sostengono il diritto della società civile a organizzarsi senza limiti, rispettando però i paletti posti dallo Stato a salvaguardia dell’ordine pubblico e riconoscendo come degni di tutela i valori umani fondamentali. Invece i libertari negano l’esistenza di questi valori e sostengono l’indifferenza dello Stato di fronte a qualunque stile di vita[7]. Ecco quindi la negazione della legge naturale, ecco la promozione del matrimonio tra omosessuali, dell’aborto, dell’eutanasia e di ogni altro comportamento frutto dell’edonismo e del materiale tornaconto umano, con l’unico limite di non ostacolare l’interesse altrui.

Il relativismo moderno nega l’esistenza di una norma morale radicata nella natura stessa dell’essere umano, ma viene smentito dall’esperienza universale perché  in ogni paese, in ogni epoca, in ogni cultura gli esseri umani si riconoscono uguali nei dati di fondo. Tutte le civiltà del mondo, in ogni tempo e in ogni luogo, hanno condannato e condannano l’omicidio, la menzogna, il furto, l’empietà, l’adulterio e hanno invece incoraggiato e incoraggiano l’amore per la Verità, la fedeltà coniugale, il rispetto della Divinità, della parola data, della vita umana e dei beni dei propri simili, valori che per la tradizione ebraico – cristiana si incarnano nel Decalogo, ma rivelano anche l’esistenza di una norma non scritta comune a tutto il genere umano. Eppure, tutti oggi rifiutano lo Stato etico, perché esso pretenderebbe  di orientare coercitivamente la libertà dei cittadini fino a comprimerla; ma fa notare il Card. Bagnasco : “negare l’esistenza della natura umana … affidare tutto alle procedure delle maggioranze assicura veramente il bene o garantisce solo la dialettica democratica?E negare la sorgente oggettiva dei valori fondamentali e universali non porta inevitabilmente a una politica che si sostituisce sul piano etico?

Non sono domande retoriche, queste, ma molto concrete perché tutti ricordiamo che un paio di anni fa alcuni studiosi australiani affermarono la legittimità dell’infanticidio qualora, dopo la nascita del bambino, perdurassero ancora le stesse motivazioni che avrebbero legittimato l’aborto. Quindi dall’accettazione, come legittima possibilità, della soppressione del feto, si precipiterebbe – come in un perverso piano inclinato – verso l’eutanasia del neonato.

Perciò i cattolici hanno una responsabilità precisa perché la Grazia, per operare, ha bisogno dell’adesione degli uomini.  Il Concilio Vaticano II ci ha affidato una missione importante: ” I laici risanino le istituzioni e le condizioni di vita del mondo, se ve ne sono che spingano i costumi al peccato, cosicché tutte siano rese conformi alle norme della giustizia e, anziché ostacolare, favoriscano l’esercizio della virtù. Così agendo, impregneranno di valore morale la cultura e le opere dell’uomo”[8].

La Lumen Gentium e la Gaudium et Spes riconoscono ai laici un’alta dignità come figli di Dio, ispirati dallo Spirito Santo, nella collaborazione con i Pastori per attuare il Vangelo nella realtà terrena. Questa “dignità”, però, è stata travisata perché, come osserva P. Giovanni Cavalcoli, la concezione populista e demagogica della Chiesa, dovuta a un’errata interpretazione del Concilio, vorrebbe sostituire la Gerarchia con la democrazia, creando una Chiesa “dal basso”, e non “dall’alto”, nella quale Cristo non è concepito come fondatore della Chiesa stessa, ma come semplice ispiratore di un movimento carismatico sociopolitico finalizzato alla liberazione terrena dell’uomo[9].

Ma allora saremo capaci noi cattolici (non solo italiani) di adempiere  la giusta missione affidataci? Di attuare, cioè, un’antropologia che salvi il diritto naturale, da cui scaturiscono i precetti della Chiesa senza sottrarci in vari modi e misure alla guida dottrinale, liturgica e disciplinare della Chiesa? Oggi il vero nemico è il relativismo, ancora più subdolo dell’avanzata islamica perché apparentemente meno evidente e meno violento ma, mascherato da “multiculturalismo”, diffonde la convinzione che tutte le culture e tutte le fedi religiose si equivalgano, togliendo così al Cristianesimo la connotazione di messaggio universale di salvezza.

In questa temperie, ancora una volta devo confessare il mio pessimismo, perché vedo ogni giorno la discrasia in cui si dibatte la cultura cattolica in tutto l’occidente.  Se in coscienza ritengo che noi cattolici non potremo mai condividere le nostre scelte umane e sociali con chi cattolico non è, mi accorgo però che nella vita concreta avviene esattamente il contrario. Chi – tra tutti noi che, più o meno, ci professiamo cattolici – mette in pratica ogni giorno i precetti che la Chiesa continua a ribadire? Chi ha il coraggio di adoperarsi affinché un parente divorziato rinunci a progettare un secondo matrimonio? Chi oserebbe correggere fraternamente (come ci ha insegnato Cristo) un amico omosessuale “praticante”? In questi casi, e nella migliore delle ipotesi, saremmo cortesemente invitati a occuparci dei fatti nostri e le nostre fraterne esortazioni cadrebbero nel nulla; nella peggiore, probabilmente perderemmo un amico. Ancora: chi – in questa società di figli unici – tra tutti coloro che frequentano regolarmente la Messa domenicale e si accostano alla Comunione, non ha mai usato un anticoncezionale? Chi, nel clima libertario in cui viviamo calati, oserebbe proibire ai figli adolescenti i rapporti sessuali tra coetanei, con la certezza di essere obbedito? Purtroppo a tutto ci si abitua: lo aveva ben capito, più di 2100 anni fa, Mitridate, re del Ponto e acerrimo nemico dei Romani, il quale – nel timore di morire avvelenato per mano dei suoi nemici – fin dalla fanciullezza si era abituato ad assumere ogni giorno una piccolissima dose di veleno che aveva reso il suo organismo resistente a qualsiasi tentativo in quel senso.

Dobbiamo umilmente riconoscere che oggi ci siamo tutti mitridatizzati, perché ci  adattiamo molto più facilmente al Male che al Bene. Mentre fino a 30 – 40 anni fa non si poteva neppure pronunciare la parola omosessuale (il termine gay non era ancora conosciuto in Italia), oggi non si può aprire un giornale senza imbattersi in problemi e notizie riguardanti quella categoria di persone. Non ci scandalizziamo più di fronte a certi fatti od eventi che, nondimeno, ripugnano alla nostra coscienza cristiana; nella nostra debolezza di peccatori, andiamo perfettamente d’accordo con i laicisti, perché ci comportiamo esattamente come loro: nessuno ha il coraggio di gridare al mondo la necessità di dare una sterzata al comportamento generale. Siamo divorati dal rispetto umano, dal buonismo e dalla political correctness, atteggiamenti  lontanissimi dal Vangelo, e quindi finiamo per obbedire alle mode suggerite dal “mondo“.  Soprattutto esiziale è quella political correctness di matrice sessantottina che viene usata sempre  per ostacolare chiunque osi riproporre valori e consuetudini cristiani, e in base alla quale si propone di eliminare il Crocifisso dalle aule o impedire l’allestimento del presepio natalizio nelle scuole pubbliche per non offendere gli scolari non cristiani. Quante volte queste iniziative anticristiane hanno trovato solo una flebile (se non assente) opposizione da parte dei cattolici c.d. “adulti”?

La direttiva del Concilio Vaticano II – se presa sul serio, come dovrebbe essere da parte di tutti coloro che si professano cattolici – è terribilmente seria: non ammette buonismi, né compromessi col mondo, né cedimenti alle mode o al pensiero corrente; essa è (per così dire) la disposizione attuativa dell’esortazione di S. Paolo: “Esaminate tutto, tenete ciò che è buono” che, a sua volta, ci rimanda alle parole di Cristo: “Sia il vostro parlare SI’, SI’, NO, NO; il di più viene dal maligno” (Mt  5, 37). Entrambi i detti sono particolarmente impegnativi in un’epoca come la nostra che ci sommerge di chiacchiere, di parole vuote e fuorvianti finalizzate a distogliere i cristiani da quello a che è il loro dovere primario: testimoniare Cristo, diffonderne la Parola e metterla in pratica in prima persona  perché, come disse Paolo VI,” il mondo obbedisce più ai testimoni che ai maestri”.

Noi cattolici non siamo molto diversi dai laicisti ma, a ben guardare, tra noi e loro una differenza c’è, ed è immensa e determinante: noi abbiamo una certezza e una speranza. Noi sappiamo che c’è un Padre misericordioso pronto a riaccogliere tra le sue braccia i suoi figli buonisti, ossequienti del mondo e politicamente corretti non appena essi si rendono conto che, con il loro comportamento, peccano “contro il Cielo e contro di Lui”. Loro non hanno questa speranza e non si aspettano riscatto, ma solo di finire nel nulla, dove nulla avrà più significato o valore.





[1] Cfr. CORRISPONDENZA ROMANA . 1283 del 6.3.2013.

[2] Cfr. IL NOSTRO TEMPO, 23.6.2013.

[3] Lo spiega esaurientemente C. Cardia: “Religione, politica, princìpi costituzionali“, in Iustitia, 65 (2012).

[4] Cfr. GAUDIUM ET SPES, nn. 36 e 43.

[5] Cfr. Osservatore Romano, 13.12.2011

[6] Cfr. JESUS, Giugno 2013, pag. 15..

[7] Cfr. LA CIVILTA’ CATTOLICA, Editoriale del n. 3903 del 2.2.2013.

[8] Cfr. GAUDIUM ET SPES,5, n. 36 c.

[9] Cfr. P. Giovanni Cavalcoli  La Chiesa dei Laici, Riscossa Cristiana 14.5.2013.

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