Giovedì 15 maggio 2014 si è tenuta a Roma, presso il Sindacato Libero Scrittori Italiani, la presentazione del libro di Paolo Pasqualucci “Unam Sanctam”, edito da Solfanelli. Riportiamo l’intervento di Pietro Giubilo
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Come tutte le opere del prof. Pasqualucci anche questa dedicata allo studio delle deviazioni dottrinali nella Chiesa Cattolica del XXI secolo argomenta nel profondo i temi trattati.
Questo libro che esamina , in modo specifico, le questioni sorte dai documenti del Concilio Ecumenico Vaticano II, trova ispirazione, anzi ,come lui stesso scrive, ”ammaestramento “, dall’opera di mons. Gherardini e dal ”testo fondamentale” Iota Unum di Romano Amerio.
Debbo dire a quest’ultimo proposito che la lettura dell’opera fondamentale di Romano Amerio mi venne consigliata in un colloquio che ebbi con il Cardinale Palazzini, al quale ricorsi per qualche consiglio spirituale nei momenti più difficili e impegnativi della mia attività politica e amministrativa.
Più recentemente , e per questo sono onorato di intervenire, ebbi anche l’occasione di affiancare il prof Pasqualucci nella presentazione di un libro dell’amico Piero Vassallo , proprio in questa sede del Sindacato Scrittori.
L’opera presentata oggi , per la sua organicità e complessità, rappresenta un apporto fondamentale per ciò che riguarda il lungo dibattito che ha seguito lo svolgimento del Concilio Vaticano II e l’analisi teologica e culturale dei testi più significativi.
Non avendo il tempo e, soprattutto, la preparazione per una lettura complessiva del testo, mi sono soffermato in quello che, a mio avviso, rappresenta uno dei punti fondamentali delle questioni sollevate dall’assise vaticana, anche per le implicazioni che da esso possono derivare in campo sociale e di convivenza nelle società d’oggi.
Mi riferisco al capitolo XVI di “Unam Sanctam” dedicato alla analisi della libertà religiosa alla luce della dichiarazione “Dignitatis Humanae”, definita già nel titolo “ laico corpo estraneo nel Vaticano II “.
Il testo inizia con una lunga confutazione delle tesi del prof. Cantoni sulla “continuità” di questa dichiarazione con la dottrina tradizionale della Chiesa.
Il prof Pasqualucci si sofferma su di un punto estremamente importante quando impugna un “presunto presupposto” del Concilio nel senso che questi nell’”accettazione del principio della libertà religiosa “ avrebbe ritenuto esservi la condizione di una ”riconciliazione con lo Stato laico, in quanto capace di non essere ‘neutro’ riguardo ai valori”.
Quella possibilità, già allora, a mio avviso, appariva poco credibile in quanto erano evidenti gli indirizzi di carattere laicista che contrassegnavano alcune legislazioni statuali .
Tutto ciò era ben presente nei primi anni ’60.
Quanto, poi , è andato verificandosi successivamente, in particolare negli ultimi decenni, dimostra che tale neutralità non è mai sostanzialmente esistita ed è, comunque, venuta meno con il presentarsi, in quasi tutti gli stati occidentali con popolazioni di tradizioni prevalentemente cristiane, di una legislazione chiaramente relativista che si è posta nell’indirizzo della negazione della legge e dei valori naturali.
Merita, secondo l’autore, un approfondimento anche l’ulteriore aspetto della dichiarazione che sottolinea come la libertà religiosa si “fondi sulla stessa dignità della persona umana” e finalizzata a che “ in materia religiosa, nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza” e facendo in modo che questo diritto debba essere “riconosciuto e sancito come diritto civile dell’ordinamento giuridico”.
E’ evidente, secondo questo testo, che esso si riferisce a tutte le religioni , ma affermarlo in modo così assoluto potrebbe significare, secondo l’autore, che esso potrebbe comportare un livellamento di tutte le religioni , “come se fossero tutte uguali”.
Proseguendo l’analisi, il prof Pasqualucci approfondisce l’argomento del rapporto tra libertà di religione e libertà di coscienza con riferimento alla roncalliana Pacem in Terris nella quale il Pontefice afferma che “ognuno ha il diritto di onorare Dio secondo il dettame della retta coscienza” .
Quand’ è, dice l’autore “che la coscienza è ‘retta’, qual è il criterio per stabilirlo? “.
In soccorso a questa fondamentale domanda giungono gli stessi riferimenti ad un passo di Lattanzio e ad un testo di Leone XIII contenuti nell’enciclica, ma interpretati diversamente.
Secondo l’autore il riferimento di Giovanni XXIII ad una possibile libertà di coscienza in religione, uguale per tutti, non è riscontrabile nei testi leoniani in quanto, “la libertà dell’uomo , inerente la sua dignità di ente razionale creato da Dio , si doveva ammettere ma non si poteva intendere in modo assoluto poiché doveva esercitarsi con il limite di obbedire alla ragione, di perseguire il ‘bene morale’ e di non discostarsi mai dal ‘sommo fine’ proprio dell’uomo (la vita eterna )”. Leone XIII “ribadiva la condanna dell’opinione di chi voleva concepire come ’diritti naturali ‘ la libertà di pensiero , di espressione, di insegnamento e di ‘promiscua religione”.
Inoltre, sempre secondo Leone XIII “ se fosse stata la natura a conferire questi diritti , sarebbe allora legittimo ricusare i comandi divini e nessuna legge potrebbe temperare la libertà dell’uomo”. Cosa gravissima – prosegue perciò “questi tipi di libertà” si potevano solo “tollerare”, con la dovuta moderazione, unicamente “si justae causae sint” , cioè , in sostanza, per evitare mali peggiori , in determinate situazioni.
Il libro, continuando, compie anche una acuta analisi dei radiomessaggi di Pio XII che se pur difendeva un “diritto della persona” a professare liberamente la sua religione, tuttavia non poteva porre sullo stesso piano la “vera” religione insieme alle altre.
“ La proposta di Pio XII – sottolinea Pasqualucci – sembra limitarsi a formulare l’obbligo per lo Stato di non perseguitare nessuno per la sua religione di appartenenza, ma non quello di considerare tutte le religioni meritevoli di un’uguale tutela, in nome della libertà individuale di coscienza, come farà poi il Vaticano II “.
Prima di concludere vorrei brevemente soffermarmi su una specificazione .
Pasqualucci, dopo essersi inoltrato sul tema della libertà religiosa, come abbiamo visto, si domanda “quale ‘diritto naturale’ ci proponga la ‘Dignitatis Humanae “ .
Il “diritto [ naturale ] della persona” alla libertà religiosa che sostiene la dichiarazione Dignitatis Humanae , scrive Pasqualucci – riposa esclusivamente sulla persona stessa , sull’uomo, sull’individuo in sé e per sé considerato, sulla sua supposta “sublime dignità” . E’, in sostanza, un diritto naturale dell’uomo in quanto uomo.
Questa impostazione non considera – prosegue Pasqualucci – la plurisecolare concezione cristiana tradizionale che, invece, considera questo diritto come espressione di un’idea di giustizia il cui fondamento è nella volontà stessa di Dio.
“Esso – precisa – non riposa mai nell’essere umano in quanto tale , riposa in Dio”.
E’ dunque, secondo san Tommaso “partecipazione della legge eterna nella creatura razionale”.
Invece il diritto naturale non così fondato risente della svolta imposta dalla Rivoluzione Francese e della proposta della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 e si risolve in un diritto naturalistico , di un uomo prodotto della natura che si riferisce solo a sé stesso.
“in tal modo la libertà e l’uguaglianza – precisa Pasqualucci – intese come ‘diritti’ che ci appartengono per natura , vengono in realtà ad essere un prodotto dell’io pensante , ossia della ragione che concepisce l’uomo come quella parte della natura increata che deve ritenersi sempre uguale ed indipendente da ogni altra parte della stessa natura : quella parte che si presenta come essere umano”.
Dopo avere ulteriormente precisato la nozione soggettivistica della verità, secondo il liberalismo, e riaffermato che “tra cattolicesimo e Liberalismo c’era ( e c’è ) un contrasto insanabile nel modo di intendere la verità e per conseguenza la libertà” , Pasqualucci conclude questo importante capitolo ricordando come “i Papi del passato si attenevano al vero concetto cristiano del dritto naturale , il cui contenuto , per essere giusto , deve sempre essere conforme , alla legge di natura , della quale partecipa la legge divina”.
Concludo , a questo proposito , con un riferimento, a me, intellettualmente molto caro, ad alcune considerazioni del Padre Cornelio Fabro nel libro “Riflessioni sulla libertà”.
Fabro evidenzia come in Hegel “ è portato a compimento il processo di radicalizzazione della libertà come soggettività, come “certezza” che è propria del cogito moderno “.
Più in là precisa: “ la antropologia trascendentale è diventata … il comune denominatore , diversamente interpretato , delle filosofie dominanti della seconda metà dell’Ottocento e del novecento” .
Ed aggiunge: “Non è infondata allora l’affermazione che il crescente allontanamento dal Cristianesimo è uno dei tratti incontrovertibili nell’immagine della filosofia moderna, ovvero che se qui o là essa sembra allo storico di aver cercato un avvicinamento al Cristianesimo essa ha mostrato – come in particolare il grande tentativo dell’idealismo tedesco di Fichte, Schelling ed Hegel – cha la spaccatura era essenziale e che l’anticristianesimo di Nietzche appare alla fine come il vertice dell’aspirazione di una libertà sovrana sicura di sé stessa che ha determinato la filosofia moderna del cogito sin dall’inizio ”.
Con l’idealismo – precisa Fabro – “non ha più senso dire che l’uomo è lui a fare la scelta e le scelte dell’esistenza , ma bisogna piuttosto dire che nell’avanzare della storia egli non tanto è il soggetto che sceglie , quanto colui che ’è scelto’ nel gioco delle forze che operano nella storia”.
Di conseguenza , conclude su questo punto Fabro: “senza un preciso riferimento all’Assoluto non c’è verità che dirima fra il vero e il falso , così senza un riferimento reale nell’Assoluto non c’è per l’uomo libertà positiva e costitutiva che dirima tra il bene e il male”.
Ove naturalmente il riferimento all’Assoluto è il riferimento alla Verità rivelata e alla giusta fede.
Solo Dio rende liberi.
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Pietro Giubilo
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“Unam Sanctam”, di Paolo Pasqualucci, ed. Solfanelli – pagg. 440, euro 34,00 – per acquisti on line inviare una mail a info@riscossacristiana.it . Per le modalità di pagamento, clicca qui
6 commenti su “Presentazione del libro di Paolo Pasqualucci “Unam Sanctam” – intervento di Pietro Giubilo”
Dunque, la libertà religiosa, essendo libertà di stabilire o di scegliere la verità, ossia ciò che è bene e ciò che è male, è una libertà assurda, perché la verità può essere una soltanto ed è rivelata da Dio. Ma la libertà religiosa non è neppure lecita nell’ambito sociale, essendole conferita la facoltà di diffondere o di propugnare false dottrine. Infatti, poiché l’uomo è soggetto alle cative influenze, egli deve essere protetto dalla potestà autorevole contro le male seduzioni.
Questa preservazione dell’essere umano, sia egli pecorella del gregge cattolico, sia fuori di esso, è rivendicata dallo stesso Gesù Cristo, come attestato dal Vangelo e dall’intera Rivelazione, e la Chiesa sempre questo insegnò.
Confondere il rispetto dovuto alle coscienze con il diritto alla libertà religiosa è frutto di unn risibile sofisma. D’altronde, il dovere missionario stabilito da Cristo rende relativo il rispetto delle coscienze erranti. Infatti, la stabilita libertà religiosa ha praticamente ucciso l’opera di evangelizzazione cattolica.
Pasqualucci continua egregiamente il lavoro intepretativo iniziato da Amerio (che osservava i pericolosi cambiamenti di linguaggio del Vaticano II nell’ottica della storia delle idee) e da Gherardini (che osservava come alcune dottrine del Vaticano II fossero difficilmente compatibli con la Tradizione cattolica). Ma Pietro Giubilo, citando Fabro, punta al cuore del problema: l’assunzione di categorie filosofiche idealistiche, incompatibili con la razionalità della fede e con i criteri fondamentali di interpretazione del dogma. Ciò peraltro è quanto sto denunciando anch’io da anni, soprattutto con il trattato su “Vera e falsa teologia” (2012) dimostrando che i teologi che maggiormente hanno influito sulla redazione di alcuni testi conciliari (quelli più ambigui), a partire da Rahner, hanno svuotato di significato la dottrina cattolica sul rapporto dell’uomo con Dio (la divina rivelazione dei misteri soprannaturali, la fondazione teocentrica dell’ordine morale, il carattere salvifico della fede).
In altri termini, reverendo, credo che si possa dire che si pensa al Cristianesimo come “una delle Grandi Religioni” (partorite dall’ “Umanità”, entità illibata), invece che a Gesù Cristo come vero Dio e vero Uomo
Raffaele ha capito benissimo dove porta questa “pre-comprensione” arbitraria della nostra fede in Cristo Salvatore.
Ringrazio Pietro Giubilo e mons. Antonio Livi per i loro lusinghieri giudizi nei miei confronti e ricambio sentitamente la loro stima. Circa le responsabilita’ da attribuire all’idealismo nella decadenza della teologia cattolica contemporanea, da loro molto opportunamente richiamata, mi chiedo se ad essa non si debba aggiungere anche quella dell’ e s i s t e n z i a l i s m o , da intendersi in senso ampio, nella sua connessione con le varie “filsofie della vita” (da Schleiermacher a Dilthey, da Blondel a Heidegger, per intenderci); un filone variegato che ha sicuramente in Nietzsche l’esponente apertamente luciferino.
Pasqualucci ha ragione nell’indicare anche il vitalismo, nelle sue diverse forme, come un elemento disgregatore della teologia. Ma ciò non toglie che la radici di ogni espressione del pensiero anticristiano sia quello che chiamiamo “idealismo” in contrapposizione al “realismo”: si tratta del “cogito”, ossia dell’opzione soggettivistica e immanentistica operata da Descartes (un cattolico!) dalla quale nasce ogni arbitraria scelta del punto di partenza nella riflessione sulla realtà e nella ricerca della verità. Quando il punto di partenza, come insgna Gilson, è l’esserci delle cose (“res sunt”), da lì si arriva immediatamente alla legge naturale e all’esitenza di Dio, ossia a una visione teocentrica dell’uomo, della morale, della società, della politica, dell’arte, di tutto. Qeusta visione teocentrica è l’unica ad avere una giustificazione epistemica, una base “scientificamente” sostenibile, una funzionalità in rapporto alle premesse razionali della fede. Le altre opzioni – tutte arbitrarie, volontaristiche, pragmatiche, tutte in conflitto le une con le altre – non hanno altra giustificazone che il progetto satanico di svincolare il pensiero dalla verità, e quindi dalla legge di Dio, ultimamente da Dio stesso e dalla sua rivelazione salvifica. La “vita” dei “filosofi della vita” è solo la cifra della loro “idea” di realtà, funzionale all’emancipazione del pensiero dalla verità. Ben lo comprese Garrigou-Lagrange polemizzando con i cattolici (come Edouard Le Roy) che volevano adottare le categorie evoluzonistiche di Henri Bergson (cfr “ll senso comune, la filosofia dell’essere e le formule dogmatiche”, nuova edizione a cura di Antonio Livi e di Mario Padovano, Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2013). Quelo che dico, comuqneu, non contraddice in alcun punto il discorso di Pasqualucci, che continuo a ritenere giusto e necessario.