Prezzolini: quell’uomo onesto che cercava l’Assoluto

“La vita intera è preparazione alla morte, e non c’è da fare altro sino alla fine che continuarla, attendendo con zelo e devozione a tutti i doveri che ci spettano […] Il terribile sarebbe se l’uomo non potesse morire mai, chiuso nella carcere che è la vita”.

Parole di Benedetto Croce, che una volta, in una delle visite nella sua abitazione di Lugano, citai a Giuseppe Prezzolini, uomo e intellettuale a quotidiano confronto con le cose ultime, la morte, la fede, l’al di là, la Provvidenza, o… il caso.

Tutta la vita di Prezzolini fu una ricerca. Fu un riferirsi alla religione, fin dalla passione giovanile, per esempio, per i mistici tedeschi e meister Eckart, fin dallo studio del Modernismo e alla pubblicazione di quel “Cattolicismo rosso” che avrebbe interessato moltissimo anche il giovane Giovanni Battista Montini.

Questo discorso, sulla morte, sulla fede, in riferimento al grande “impresario di cultura” ci è venuto alla mente leggendo un coinvolgente ricordo di Alessandro Gnocchi apparso sul sito “Ricognizioni”. Anni fa, il giovane giornalista cattolico intervistò Paolo Villaggio, ateo dichiarato, che però gli chiese un ricordo nella preghiera, dopo aver dibattuto di Dio e della fede.

Il discorso sull’anima, su una vita oltre la morte, sul credere e sul negare (che è poi il credere degli atei) viene da lontano ed è sempre di attualità.

Tanto è vero, come si diceva, di un (inaspettato) “Fantozzi”, non credente, che chiede a un cattolico praticante come Gnocchi di ricordarsi di lui nella preghiera…

Ecco, allora, nel vecchio giornalista che io sono, riaffiorare ricordi prezzoliniani, per così chiamarli, ricordi di un’amicizia con quell’ateo con un gran desiderio di credere.

La vita di Prezzolini fu tutta una ricerca: di un approdo sicuro, di una certezza, di Dio. Non a caso uno dei suoi libri della vecchiaia si intitola “Dio è un rischio”, e un altro “Cristo e/o Machiavelli”, sul pessimismo di sant’Agostino e quello del segretario fiorentino.

Premessa: in uno dei discorsi dalla loggia di Piazza San Pietro, Paolo VI, una volta… lo chiamò: un appello alla conversione, come già era avvenuto al suo amico Giovanni Papini – disse il Papa.

Prezzolini rispose per scritto, ringraziando che un pontefice lo tenesse così in considerazione (vado a memoria), che gli stesse tanto a cuore, ma confermò di non credere, aggiungendo di avere tuttavia la “predisposizione” ad accogliere la grazia, dono gratuito di Dio…

Passò del tempo, e alla fine del 1981, morì Jackie (Gioconda), seconda moglie, di venticinque anni più giovane. Un colpo tremendo per Prezzolini, che alla fine del gennaio 1982 avrebbe varcato la soglia del secolo. Da amico vero (“l’ultimo degli amici fatti in Italia”, aveva scritto nella dedica de “L’Italiano inutile”) non potei restare estraneo al suo dolorosissimo lutto. Gli telefonai per dirgli la partecipazione di cuore a quel tremendo dolore, per testimoniargli l’affetto che nutrivo per lui e che avevo avuto per Jackie. Da cattolico, aggiunsi, avrei pregato per lei e per lui, ancorché ateo. Era un gesto di amicizia, il massimo che, da cattolico convinto, appunto, potevo fare.

Al che, lui replicò, grato del pensiero, che non era ateo, era “un incerto”…

Lo scrittore passò l’inverno e la primavera successivi in condizioni discrete, avendo vicino alternativamente l’allieva prediletta, la “sorellina” dei tempi dell’Università di Columbia, sister Margherita Marchione dell’ordine delle Pie Maestre Filippini, autrice di una importante biografia di Clemente Rebora, “L’imagine tesa” (Edizioni di Storia e Letteratura), e il figlio Giuliano con la moglie Virginia. Ma il dolorosissimo distacco gli aveva tolto la voglia di vivere. Lo incontrati a maggio, alla vigilia della mia partenza per un pellegrinaggio a Lourdes; gli spiegai il motivo di quel viaggio. Lui comprese pienamente…

A fine giugno non mangiava già più, venne ricoverato in ospedale e alla fine si spense serenamente. Non prima del passaggio di un frate cappellano che dalla soglia della stanza gli impartì la benedizione. Ne fu consapevole? La accettò? “Un uomo lo sa Dio”, viene da osservare, rifacendoci al vecchio titolo di un dramma di Diego Fabbri…

Il 14 luglio 1982, di prima mattina, il trapasso.

Avevo pregato per lui vivo; da allora, non passa giorno in cui non lo ricordi con uno dei tanti Requiem che dico per i “miei” morti, che sono non soltanto familiari e parenti, ma pure amici, e, naturalmente, secondo i vecchi insegnamenti dei miei genitori, per le anime del Purgatorio.

Sbaglio? Non credo. I “paletti”, caso mai, li metterà Nostro Signore.

Ma c’è dell’altro, a proposito di Prezzolini e la fede. Intanto, il grande rispetto professato per la religione cattolica e la Chiesa, poi, i rapporti di amicizia con sacerdoti quali Cesare Angelini (l’innamorato di Manzoni, il grande estimatore di Renato Serra), Giuseppe De Luca, il “prete romano” col quale il Nostro ebbe una corrispondenza intensa, profonda, pubblicata dalla Edizioni di Storia e Letteratura dopo la morte del sacerdote (uno dei più alti carteggi della letteratura italiana del Novecento), don Giovanni Angelo Abbo, il prete scrittore Francesco Fuschini, elzevirista ammiratissimo.

Nel soggiorno luganese Prezzolini aveva stretto un rapporto di amicizia con don Isidoro Marcionetti, parroco di Santa Maria degli Angioli, chiesa storica ai piedi di una funicolare che portava rapidamente in via Motta, dove lo scrittore abitava. E da don Marcionetti andai, due anni dopo, per una intervista pubblicata sul Gazzettino e sulla Gazzetta di Parma a proposito del “Prezzolini ultimo”, anche perché, subito dopo la morte, si era diffusa la voce – e qualche cronista l’aveva anche scritto – che gli era stata data l’estrema unzione; si era parlato di possibile conversione (in “articulo mortis”) dello scrittore.

Don Marcionetti, classe 1916, insegnante di greco-latino al liceo cantonale, studioso di storia dell’arte, era uno dei preti colti che prima di tutto, però, erano preti, e come tale dovette piacere subito a Prezzolini che entrò in contatto con lui nel 1976.

“Sì – ricordò – fu dopo una mia predica in chiesa, nella quale parlai di Nicodemo, un intellettuale in crisi, che trovò Cristo, che tirai in ballo Prezzolini, un intellettuale che cerca – sottolineai – e non ha trovato. Qualcuno andò a riferirgli quel discorso e lui mi scrisse una bellissima lettera nella quale fra l’altro mi diceva: ‘Quando ha un pochino di tempo, venga a trovare questa sua pecorella desolata e disperata. Cominciò così il nostro rapporto di frequentazione, che doveva poi diventare vera e propria amicizia.”

Ma il pensiero di convertirlo mai sfiorò il sacerdote. “Andavo quando lui mi chiamava; si parlava di tutto e il pensiero religioso mi veniva da lui provocato. Per parte mia, avevo troppo rispetto per lui per pensare di convertirlo. Son cose, le conversioni, che opera il Signore, magari servendosi di noi, ma andare con quell’intenzione, con un progetto smile, mai! Certo, lui, di fronte a me aveva l’atteggiamento dell’uomo onesto che cerca l’Assoluto. La vita gli diceva niente. Voleva trovare una giustificazione al vivere […] Era un ammalato di dubbio.

“Nel marzo 1982 mi chiese di fargli visita più spesso e da quel mese, fino al ricovero dello scrittore in ospedale, verso la fine di giugno, gli incontri furono frequentissimi. Non gli bastava più soltanto l’amicizia; mi parli di religione, mi diceva, e voleva sapere; domandava e voleva risposte. E’ mia impressione che negli ultimi tempi della sua vita un po’ di sereno, a sprazzi, si sia fatto in lui. Che l’interno tormento fosse placato e, come Agostino, sentisse finalmente ‘riposare in Dio’ l’inquieto cuore”.

Don Marcionetti ricordò due episodi: “In una lettera, una delle ultimissime, se non l’ultima, alla sua ex allieva suor Margherita Marchione, scrisse: ‘cerco, ricerco, mi perdo’. Cercava, era teso verso la fede… Prima che entrasse in ospedale ero con lui, in casa, e al momento del commiato gli feci sulla fronte un segno di croce. Lui chinò il capo in silenzio, accettandolo… Poi non lo vidi più. Non andai in ospedale; mi sarebbe parso di andarci con uno scopo preciso, il discorso di convertirlo, di cui si diceva, appunto… No. Il mio saluto fu lì, in casa sua, con quel segno di croce che gli feci in fronte, come si fa per l’estrema unzione”.

Il giorno del funerale di Prezzolini, 16 luglio 1982, dopo che la cassa era stata calata nel sepolcro, accanto a quella di Jackie, fra la sorpresa generale, ecco don Marcionetti: “A titolo personale, su invito della famiglia, e in forza dell’amicizia che mi legava a lui, prendo la parola. Auguro a lui, benedicendolo, quella luce infinita alla quale ha sempre aspirato. Lo benedica il Signore”.

All’insegna della semplicità, della sobrietà dell’umanità, della fede, quello fu l’addio a Giuseppe Prezzolini.

(da Opinioni Nuove settembre-ottobre 2019)

2 commenti su “Prezzolini: quell’uomo onesto che cercava l’Assoluto”

  1. Articolo molto interessante e significativo: ed è chiarissimo che Prezzolini è morto con Dio, perché l’amicizia con il Sacerdote Marcionetti non fu casuale e gli fu donata da Dio.
    Perché S. PIO disse una volta: se dipendesse da noi non resteremmo in piedi neanche un secondo.
    E io, Figlia spirituale di Padre Pio, da quando conobbi la suddetta Sua espressione, non ho MAI PIU’ creduto al caso.
    Che Prezzolini sia benedetto.

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