La coerenza è ferrea, totale: la lotta alle discriminazioni, iniziata per questioni razziali, continuata col femminismo, oggi passata sul multiforme piano “gender”, domani sarà per i diritti transumani. Dal nero, al rosa, all’arcobaleno, al grigio lucente dell’acciaio e del silicio di cui sono composti macchine e calcolatori, per arrivare a dissolversi nell’acromatismo immateriale del codice binario.

Questa è una storia di successo; è la storia di Martine Rothblatt, signora statunitense di sessantasei anni dalla brillantissima carriera, attualmente CEO dell’azienda di biotecnologie in ambito medico United Terapeutics, sposata da quasi quarant’anni con la signora Bina Aspen. Martine, nato Martin (come dire Martina, nato Martino), oltre a mettere in pratica nella vita le proprie idee, con il suo libro del ‘95 The Apartheid of Sex, “profetizzava” il salto di qualità che avrebbe portato dalle battaglie razziali a quelle di gender, al fine di “ridefinire il carattere e la cultura d’America”. Negli anni duemila, una volta che la ridefinizione era già a buon punto, il suo testo è stato ripubblicato con gli opportuni aggiornamenti e un nuovo titolo: From Transgender to Transhuman.

Ma andiamo in ordine. Negli anni novanta la “signora” diceva:

In futuro, etichettare persone alla nascita come ‘maschi’ o ‘femmine’ sarà considerato ingiusto al pari della pratica, un tempo vigente in Sud Africa, di marchiare i cittadini come ‘bianchi’ o ‘neri’ a partire dalla carta di identità.

La parola “apartheid” (dall’afrikaans: segregazione razziale, divenuto poi termine globale) nelle intenzioni dell’autrice sta a significare una separazione legalmente forzata tra persone a causa di alcune caratteristiche ritenute irrilevanti per la personalità delle stesse, al fine di soggiogare uno o più dei gruppi separati che presentano dette caratteristiche. Fin qua nulla da eccepire, a parte il fatto che con l’intenzione lodevole di eliminare la segregazione razziale si sia finiti per negare il dato di fatto oggettivo, scientifico e antropologico che le razze esistono, per promuovere un unico polpettone di etnie, culture, religioni in cui, al contrario di quanto ci volevano vendere, nessuno si sente più realmente a casa propria.

Gradualmente, “razza immutabile” è diventata “cultura sceglibile”. L’analogia col sesso è inequivocabile. Maschilità e femminilità possono essere scelte di vita aperti a chiunque, indipendentemente dai genitali.

Iniziamo a sospettare che di inequivocabile in questa faccenda ci sia ben poco. Se uno nasce con la pelle di un determinato colore come fa a trattarsi di una cultura che si può scegliere? A parte Michael Jackson (tra l’altro con esiti esteticamente agghiaccianti), avete mai conosciuto qualcuno in grado di scegliere il proprio colore della pelle?

La lotta contro l’apartheid è un conto, la lotta contro la natura un altro. La lotta per i diritti civili ’50-’60 style (quelli veramente civili: voto, istruzione, rappresentanza, eccetera) è un conto, la lotta per i diritti incivili (’70 a seguire) un altro. La lotta per l’uguaglianza della dignità di ogni persona è un conto, la lotta contro la ragione che in questo caso diventa lotta contro sé stessi è tutt’altro. Ed in tutta evidenza è a questo secondo tipo di battaglia che ha aderito la “signora” Martine, portandola con una malsana coerenza alle sue estreme conseguenze.

Martine Rothblatt

Il problema sta nel fatto che questa gentile signora (come s’è capito un uomo privatosi dei relativi attributi), qualche anno dopo l’abolizione sudafricana della segregazione, ha iniziato ad usare il termine apartheid per descrivere “un sistema mondiale di separazione legale forzata di persone sulla base grossolana della loro anatomia sessuale”. Inconcepibile vero? Com’è possibile che un neonato venga etichettato come maschio se ha un’appendice sporgente e come femmina se ce l’ha rientrante? Chi dà il diritto a ostetriche, dottori, impiegati dell’anagrafe di compiere un sopruso di tal portata? Sono problemi.

Unire l’umanità a livello sessuale sarà la più epocale delle rivoluzioni sociali. Questo perché la divisione dell’umanità in due sessi è il più duraturo e rigidamente applicato degli stereotipi. Per interminabili millenni le persone sono state raggruppate in maschi e femmine sulla base dei genitali e hanno socializzato secondo gli stereotipi maschile e femminile.

Capirete, millenni di barbarie in cui i maschi venivano considerati tali, secoli e secoli di oscurantismo per colpa del quale le femmine erano considerate femmine. Come mai nessuno prima degli anni novanta si era mai accorto di questa imperdonabile classificazione basata su pochi insignificanti dettagli, alcuni dei quali nemmeno esponibili in pubblico? Perché determinare se uno è maschio o femmina in base ad osservazioni così arbitrarie e influenzabili come la presenza o l’assenza di alcune appendici? Perché farlo anche se ogni singola cellula di quella persona porta impressa l’impronta genetica della mascolinità e della femminilità?

Sembrano domande satiriche ma l’autore/trice della pubblicazione se le pone davvero e maledettamente sul serio.

Se non ci sono più né maschi né femmine cosa c’è allora?

Un continuum di tipi sessuali, che vanno dal molto maschio al molto femmina, con innumerevoli varianti nel mezzo.

Ora, va certamente riconosciuto che ci sono maschi più o meno gentili, accoglienti e premurosi e femmine più o meno aggressive, forti ed egocentriche, ma questo attiene alla personalità di ognuno/a all’interno del proprio essere sessuato/a, non determina di certo un “tipo sessuale” diverso rispetto a tutti gli altri. Sarà una personalità, un carattere, un’indole diversa, ma sempre all’interno del suo essere maschio o femmina.   

Ognuno, dice invece Martine, deve essere libero di scegliere la propria forma, intesa inizialmente in senso morfologico, e dopo l’aggiornamento del pensiero “trans-” anche come tipologia di supporto che contiene il nostro essere. Grazie alla tecnologia sarà possibile separare la mente dal corpo, e la cosa è data già per certa.

[Ciò”] verrà fatto scaricando un numero sufficiente di schemi e contenuti delle nostre connessioni neurali in un computer sufficientemente avanzato, integrando il risultante mindfile con un software abbastanza evoluto, che potremmo chiamare mindware. Una volta compiuto ciò, avremo scelto una nuova forma (software) pur rimanendo le stesse persone. Sarà più o meno come quando ho completato il cambiamento di gender da maschio a femmina. Ho scelto una nuova forma rimanendo sempre la stessa persona.

Proseguendo, non ci sarà nemmeno la necessità di copiare tutto il cervello, si potrà anche risparmiare un po’ di spazio d’archiviazione replicando solamente il nostro “schema di consapevolezza” [pattern of awareness], e lo si potrà fare anche più di una volta. Potremo creare diverse copie di noi stessi per avere più opportunità, provare più strade contemporaneamente, godere di più esperienze, insomma non solo vivere in modo aumentato, ma addirittura in modo multiplo: i diversi cloni della stessa persona infatti avranno la possibilità di essere sincronizzati in modo da mettere in comune le rispettive esperienze. Non da ultimo, avere copie di backup nel caso uno dei nostri cloni venga accidentalmente infettato da un virus (in questo caso informatico) e alterato, o alla peggio formattato.

Penso che il nostro stesso essere [our selves] possa essere espresso tanto fedelmente in un software quanto lo sia nei nostri cervelli.

A questi transignori non piacciono i limiti, l’abbiamo capito. Non basta più trasferirsi dalle sembianze di un uomo a quello di una donna, come hanno creduto di fare sinora, col risultato di mutilare orrendamente il proprio corpo. Trasferendosi su base di silicio ritengono di potere assumere qualsiasi forma, sperimentare qualsiasi cosa e replicarsi all’infinito, raggiungendo in ultimo, ed è abbastanza ovvio dal loro punto di vista, l’immortalità.

Per essere transumano, uno deve accettare di avere una unica e personale identità, oltre la carne o il software, e che questa unica e personale identità non possa essere felicemente espressa solo come umana o non umana. Richiede un’unica espressione transumana.

Come è possibile che il me stesso [my self], il quale è singolo per definizione, possa essere replicato rimanendo sempre me stesso, ovvero singolo? Inutile cercare una logica in chi ritiene che sia discriminatorio chiamare uomo un essere umano di sesso maschile e donna uno di sesso femminile. Inutile pretendere da chi non riesce a cogliere e accettare la differenza tra maschio e femmina che comprenda quella tra essere umano e macchina.

La moglie di Martine si chiama Bina, ed è una donna di colore. Quella sotto è Bina48, il tentativo di qualche anno fa della Rothblatt di ricreare un busto identico alla moglie, che interagisse in modo indipendente e amichevole con le altre persone. Chi ha provato a intervistarla è rimasto un po’ deluso, e comprensibilmente inquietato, nonostante Bina48 sia stato il primo robot con intelligenza artificiale ad essere riconosciuto da un’università americana accreditata come visiting student e pure co-teacher.

La vera Bina deve essere stata comunque una moglie di larghe vedute (almeno quanto il/la consorte), avendo accettato senza batter ciglio che il marito diventasse “donna”, e che in seguito producesse un clone androide della stessa. Contenta lei…

ABC contro il prefisso “trans-“

  • A. In ambito “trans-razziale”:
  • 1. Esistono le razze (bianchi, neri, gialli, eccetera).
  • 2. Esiste per ogni essere umano il diritto ad essere rispettato in quanto tale, indipendentemente dalla razza d’appartenenza. 
  • 3. Non esiste il diritto ad essere bianco se sei nero, o viceversa.
  • B. Similmente, in ambito “trans-gender”:
  • 1. Esistono i sessi (maschio, femmina e basta).
  • 2. Esiste per ogni essere umano il diritto ad essere rispettato in quanto tale, indipendentemente dal sesso di nascita. 
  • 3. Non esiste il diritto ad essere maschio se sei femmina, viceversa, comprese tutte le combinazioni che si possono pensare.
  • C. Ugualmente, in ambito “trans-umano”:
  • 1. Esistono, ed esisteranno sempre di più le macchine “intelligenti” (ovvero con stupefacente capacità di calcolo).
  • 2. Esiste per ogni essere umano il diritto ad essere rispettato in quanto tale, a differenza delle macchine intelligenti che non potranno mai essere titolari di alcun diritto in quanto non viventi (prima ancora che non umane). 
  • 3. Non esiste il diritto ad essere uomo se sei macchina o viceversa, comprese tutte le combinazioni che si possono pensare.

Note

1 The Apartheid of Sex: A Manifesto on the Freedom of Gender, Martine Rothblatt (Crown Pub, 1995; pubblicato in Italia da Il Saggiatore nel 1997).

 2 From Transgender to Transhuman: A Manifesto On the Freedom Of Form, Martine Rothblatt, (autopubblicato, 2011)

3  The Apartheid of Sex: A Manifesto on the Freedom of Gender, Martine Rothblatt (Crown Pub, 1995; pubblicato in Italia da Il Saggiatore nel 1997)

4    https://www.repubblica.it/tecnologia/2010/07/06/news/intervista_robot-5418003/ https://www.axios.com/robot-ai-teaching-college-course-at-west-point-98ce5888-873b-4b72-8de5-0f7c592d66b0.html

2 commenti su “Quando manca l’ABC”

  1. Scava scava (ma oggi, ormai, basta scavare pochissimo), è sempre lì che si arriva: al Transumanesimo. E’ questo il nome del delirio (criminale) di onnipotenza che accomuna tutte le stramberie che quotidianamente ci vengono propinate manco fossero il “sol dell’avvenire”. Altro che diritti degli omosessuali!

  2. le devianze: Io sono clettomane, mi piace dar fuoco ai boschi, mi piace fare sesso con gli animali, con i morti, con i bambini con mia madre ecc. queste devianze le curo oppure le valorizzo?

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