RASSEGNA STAMPA – 13 – a cura d Rita Bettaglio

dall’Italia, dal Mondo – 27 dicembre 2010

CRONACHE NATALIZIE

 

rassegna stampa

 

a cura di Rita Bettaglio

 

FEROCI ATTENTATI IN NIGERIA, FILIPPINE E PAKISTAN

Abuja, 27/12/2010. Nei giorni di Natale, la Nigeria è stata teatro di violenze che hanno colpito soprattutto le popolazioni di religione cristiana, funestando la festività con 41 morti, secondo le ultime notizie ufficiali. Feriti ci sono stati anche in un attacco contro una chiesa nelle Filippine. Obiettivo diverso, ma con ogni probabilità uguale matrice fondamentalista, ha avuto invece la strage provocata da un’attentatrice suicida in Pakistan, che si è fatta esplodere ieri causando almeno 46 morti e settanta feriti fra un migliaio di rifugiati che aspettavano di ricevere generi alimentari negli uffici del Programma alimentare mondiale (Pam) dell’Onu nella Bajaur Agency, una delle aree tribali al confine con l’Afghanistan.
In Nigeria, alla vigilia di Natale, esplosioni a catena a Jos, nello Stato centrale di Plateau – già teatro in passato di analoghe violenze di matrice soprattutto etnica ed economica, ma anche religiosa – hanno provocato la morte di almeno 34 persone e il ferimento di altre 74. Altre sei persone sono rimaste uccise durante la messa di Natale in attacchi compiuti da presunti estremisti di matrice fondamentalista islamica contro due chiese a Maiduguri, nel nord est del Paese. Una delle due chiese è stata data alle fiamme e tra le sei vittime c’è anche un sacerdote. Sempre a Jos, nonostante che vi sia stato dispiegato l’esercito, anche ieri ci sono stati scontri che hanno provocato un morto e diversi feriti, mentre testimoni raccontano di aver visto decine di edifici dati alle fiamme.
Sgomento per quanto accaduto è stato espresso dal Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, che in un comunicato diffuso ieri “condanna i deplorevoli atti di violenza, soprattutto in un momento in cui milioni di nigeriani celebrano feste religiose, e sostiene gli sforzi delle autorità nigeriane per assicurare i responsabili alla giustizia”.
Nelle Filippine, una bomba è esplosa sul tetto di una chiesa cattolica dell’isola di Jolo mentre vi si stava celebrando la prima messa del giorno di Natale, ferendo il sacerdote celebrante e cinque fedeli. Non si ha notizia di rivendicazioni dell’attentato, che sembra comunque opera del gruppo fondamentalista islamico di Abu Sayyaf, del quale l’isola di Jolo è considerata una roccaforte.
In Pakistan, per la prima volta, un attacco suicida è stato sferrato da una donna. La terrorista ha attivato una potente carica esplosiva che nascondeva sotto il burka, l’abito che copre l’intera persona, provocando una strage. La donna è entrata in azione ieri mattina, avvicinandosi ad un posto di blocco della polizia dove si erano radunate un migliaio di persone che dovevano recarsi presso gli uffici del Pam a Khar, il capoluogo della Bajaur Agency. Le vittime erano tutti profughi appartenenti alla tribù Salarzai, costretti ad abbandonare le loro case per sfuggire agli scontri fra talebani e forze di sicurezza pakistane. A seguito del grave episodio, il Pam ha annunciato la chiusura provvisoria dei suoi quattro centri nella Bajaur Agency.

(Fonte: Osservatore Romano)

INDONESIA: I CATTOLICI OBBLIGATI A CELEBRARE LA MESSA DI NATALE IN UN PARCHEGGIO

Jakarta, 27/12/2010,(AsiaNews) – Centinaia di fedeli della comunità cattolica della parrocchia di S. Giovanni Battista di Talan Kuning (Parung, West Java) hanno celebrato la messa di Natale all’aperto, sotto il sole, montando una tenda nel parcheggio della scuola elementare Marsudirini. Il divieto ufficiale del capo del distretto di Bogor, che impediva qualsiasi attività o celebrazione pubblica, non è stato dunque revocato, nonostante i ripetuti tentativi di negoziazione delle autorità ecclesiastiche di Talan Kuning con l’amministrazione della Reggenza di Bogor.

L’amministrazione locale ha giustificato la sua decisione con la mancanza dell’Izin Mendirikan Bangunan, l’autorizzazione necessaria per costruire un edificio religioso. Senza tale permesso il governo proibisce all’amministrazione della parrocchia di celebrare funzioni pubbliche neanche sul proprio terreno.

Secondo la Costituzione indonesiana nessuna autorità ha il diritto di proibire a una qualsiasi comunità religiosa di praticare la propria fede, e celebrare riti e funzioni. Tuttavia, con la crescente influenza negli ultimi anni di gruppi radicali musulmani, l’ Indonesia ha assistito a una violazione crescente della costituzione, con le autorità locali sempre più ostili ai cristiani perché compromesse con estremisti islamici locali.

Ci sono almeno tremila cattolici nella parrocchia di S. Giovanni Battista. Già nell’aprile di quest’anno, decine di estremisti islamici hanno minacciato i fedeli della comunità di Talang Kuning, impedendo loro di celebrare la messa di Pasqua.

INDIA: NATALE, RADICALI INDÙ BRUCIANO L’AUTO DI UN LEADER CRISTIANO A KANDHAMAL

Mumbai, 27/12/2010,(AsiaNews) – Segnali contrastanti per il Natale dei cristiani del distretto di Kandhamal. Ci sono racconti di celebrazioni compiute in un’atmosfera pacifica nella zona che è stata teatro di violenza anti-cristiana; ma l’episodio che ha avuto come vittima il rev.  Suranjan Nayak coordinatore distrettuale del Consiglio globale dei cristiani indiani dimostra che la paura e l’intimidazione sono sempre in agguato.

Il rev. Suranjan Nayak  ha detto ad AsiaNews : “Insieme con mia moglie, Indumati Nayak, abbiamo lasciato il nostro villaggio per recarci a circa 50 km di distanza per celebrare il Natale con dei parenti. Ma verso le 9.30 abbiamo ricevuto una telefonata da uno dei nostri vicini, che ci diceva che la nostra automobile era in fiamme. Ho subito avvertito la polizia, che ha mandato degli agenti a sorvegliare la casa tutta la notte di Natale, fino al 26 dicembre”.

Secondo alcune testimonianze, un gruppo di fondamentalisti indù si è recato all’ospedale di Kandhamal, dove lavora come Sovrintendente delle infermiere la moglie del rev. Nayak la sera del 25 dicembre. I radicali hanno tentato di dare fuoco alla porta dell’ufficio di Indumati Digal Nayak con del kerosene; e infine hanno incendiato la vecchia Fiat dei Nayak, e se ne sono andati urlando slogan aggressivi. Il capo della stazione di polizia ha deciso di mettere sotto protezione la casa e l’ufficio dei Nayak.

I sospetti si appuntano sui radicali indù del Kui Samaj Samanova Samiti , (Ksss), perché in un recente incontro che si è svolto a Kandhamal il rev. Suranjan si era scontrato verbalmente con Lombodhar Kanhar, leader del Ksss a Kandhamal.  Davanti a un rappresentante del governo, Suranjan Nayak aveva criticato duramente Lombodhar Kanhar, accusando il suo movimento di creare problemi e di attaccare cristiani pacifici e responsabili solo di voler praticare la propria fede. In quell’occasione il rev. Suranjan Nayak aveva chiesto alle autorità di prendere provvedimenti contro il movimento radicale indù.

P. Prabodha Kumar Pradhan, parroco di Raikai, che conosce personalmente  Suranjan ha detto ad AsiaNews: “Questa notizia è molto preoccupante, perché è avvenuta in un momento di festa e di gioia a cui partecipavano tutti i cristiani dei villaggi circostanti”. L’aggressione è stata duramente condannata da Sajan K. George, presidente del Consiglio globale dei cristiani indiani, che ha sensibilizzato le forze dell’ordine.

Un’altra fonte di tensione, in Orissa, è giunta dalla distribuzione di un ritratto blasfemo di Gesù Cristo distribuito come biglietto di auguri da Manohar Randhari, politico locale del Bharatiya Janata Party (Bjp) il giorno di Natale. Il manifestino rappresenta Gesù con una sigaretta e un boccale di birra, e ha provocato manifestazioni di protesta da parte dei cristiani del distretto di Nabrangpur in Orissa. Sajan K. George ha condannato duramente questo gesto di provocazione, tanto più perché compiuto in una zona “sensibile”. La comunità cristiana ha protestato e ha chiesto l’immediato arresto di Manohar Randhari, “perché ha ferito sentimenti religiosi”; manifestazioni hanno bloccato le strade in varie parti del distretto. Randhari ha detto di non aver controllato l’immagine stampata sul biglietto, e che “dell’errore era responsabile la stamperia di Bhubaneswar, che aveva lavorato troppo frettolosamente”. Si è anche recato a una chiesa per chiedere scusa, ma non è stato ammesso.


USA: INCENTIVI AI MEDICI CHE PROMUOVONO IL “TESTAMENTO BIOLOGICO”

27 dicembre 2010. – Nonostante l’opposizione nei mesi scorsi dei repubblicani, che avevano denunciato l’avanzare di un  “panel della morte” e l’apertura a possibili pratiche eutanasiche su larhissima scala, l’Amministrazione del presidente degli Stati Uniti Barack Obama è riuscita a mettere a punto nuove regole per finanziare una serie di politiche destinate ai medici per preparare la morte dei malati incurabili.

Come ha scritto ieri con ampio rilievo il New York Times, le regole erano state stralciate dalla riforma sanitaria per evitare troppe polemiche, ma entreranno in vigore all’inizio dell’anno prossimo.

In pratica dal 1 gennaio 2011, i medici del programma Medicare, che dovrebbe riuscire a garantire l’assicurazione medica agli americani con un’età superiore ai 65 anni, riceveranno soldi dal governo se avviseranno i pazienti sulle scelte terapeutiche di fine vita, inclusa la possibile rinuncia alle cure per rimanere in vita nei casi di gravi incidenti o malattie.

Insorge il mondo pro-life e non solo. Contando che quasi l’80% della spesa sanitaria va ogni anno per i malati cronici e gli anziani vicini al termine della  propria vita, la tentazione di voler risparmiare sulla pelle dei più deboli diventa una prospettiva inquietante ma niente affatto irrealistica.

(Fonte: Avvenire)


Privacy genetica

22 dicembre 2010

Cambiano in Italia le linee-guida per l’esecuzione degli esami genetici in gravidanza:  l’amniocentesi – un esame che analizza i cromosomi del feto prelevando liquido dall’utero materno – sarà gratuita solo nelle donne che presenteranno la positività di un esame, meno pericoloso, che mostri un rischio per il bambino di avere una sindrome Down. È un buon passo avanti, visto il pericolo non indifferente che in seguito all’amniocentesi avvenga la morte del feto.
Ma la diagnosi prenatale genetica, anche quando venga fatta sul sangue materno e senza rischio per il feto, non è eticamente neutra. Se servisse per curare sarebbe altra cosa, ma le possibilità di terapia dei malati di sindrome Down sono praticamente zero; dunque si entra nel segreto più nascosto di una persona, nel suo dna, senza il suo permesso, e verosimilmente non nel suo interesse. Non vorremmo perciò che il parere dell’Istituto Superiore di Sanità facesse sembrare moralmente neutri gli esami genetici fetali non pericolosi, che invece – per chi rispetta la vita e la privacy – solo in pochi casi hanno una giustificazione morale e che rischiano di diventare una routine, cioè uno screening.
La ricerca della sindrome Down del feto non deve essere uno screening, cioè una ricerca a tappeto, perché non è interesse dello Stato andare a individuare i bambini affetti prima della nascita; altri screening sono ottimi e desiderabili:  per esempio, quelli che si fanno per ricercare delle malattie curabili come l’ipotiroidismo. E non è neanche nell’interesse del bimbo.
Di recente, i giornali si sono infervorati per la scoperta cinese di un sistema volto a individuare nel sangue materno il dna fetale, con lo stesso livello di accuratezza dell’amniocentesi, ma senza rischi; ma questo a chi giova? Certamente non al paziente analizzato, cioè al feto, cui la diagnosi potrebbe agevolmente essere fatta dopo la nascita. Oltretutto i programmi di screening fatti per individuare a tappeto i soggetti con una certa malattia incurabile – il cui esito porta quasi sempre alla terminazione della vita dei soggetti stessi – bollano come “indesiderati” quei soggetti, e ovviamente anche quelli già nati con la stessa malattia; e questo non è certo un regalo gradito ai malati – ad esempio i talassemici – e alle loro famiglie, che si sentono come dei fuorilegge genetici.
Ma lo screening della sindrome Down fatto col sangue materno va almeno nell’interesse della donna? La ricerca scientifica sembra propendere per il no, perché l’idea stessa di screening va troppo a braccetto con l’obbligatorietà. Catherine Vassy, dell’Inserm di Parigi, spiega come fu introdotto lo screening genetico in Francia:  “L’espansione dei servizi genetici fu stimolata per iniziativa del Governo, di settori medici e dell’industria. Nelle audizioni del 1996 furono ascoltati i rappresentanti di famiglie di disabili. I loro rappresentanti approvarono limitatamente lo screening per sindrome Down. Entrambe le associazioni si espressero contro la sistematizzazione dello screening biochimico e chiesero di prevedere lo screening su base individuale, a richiesta della donna” (“Social Science and Medicine”, ottobre 2006).
Ancora, su “Fetal Diagnosis and Therapy” (marzo 2008) una ricerca conclude dicendo:  “È difficile per le donne nel primo trimestre esercitare la loro autonomia nel riguardo dello screening per sindrome Down. Molte lo credono obbligatorio”. Clare Williams, su “Social Science and Medicine” (novembre 2005), spiega che dalla richiesta individuale “si è passati all’effetto screening che a sua volta favorisce l’effetto “retata””. E una recente review mostra come “seppur molte donne ne conoscano gli aspetti tecnici, più raramente conoscono le finalità degli esami genetici. Molte (dal 29 al 65 per cento) non conoscono l’esistenza di falsi negativi e il 30-43 per cento quella di falsi positivi. Solo poche pensano alle scelte riproduttive [cioè alla possibilità di abortire], al momento di partecipare allo screening” (“Acta Obstetrica and Gynecologica” marzo 2006).
Insomma:  far diventare screening la diagnosi genetica prenatale surclassa la scelta individuale della donna; tanto che quando si spiegano bene le finalità e i limiti dei test genetici, come avvenne in Olanda, il numero di quelle che la scelgono crolla dal 90 al 46 per cento (“Prenatal Diagnosis”, gennaio 2005). Detto in altre parole, la società occidentale che non offre terapie genetiche alla sindrome Down e neanche fa molto per cercarle, si lava le mani e scarica sulle spalle delle donne la responsabilità di chiudere le porte della nascita ai bambini Down, mentre molte donne, come mostra sempre Vassy, vorrebbero mille modi per abbracciare il loro bimbo anche malato (“Trends in Biotechnology”, maggio 2005).
Ci attendiamo allora che con le nuove linee-guida si affermi che l’analisi dei cromosomi del figlio non è un obbligo, ma un’intromissione, a lui non utile, nella sua privacy genetica:  pertanto né da vietare, ma neanche da far diventare routine. E che le stesse linee-guida, dopo avere spiegato come aiutare a evitare le nascite, non omettano la spiegazione di come aiutare le donne a far nascere. Mostrando un percorso clinico virtuoso, in caso di anomalia genetica, che comprenda anche lo specialista della malattia riscontrata, in modo da prospettare in termini approfonditi il quadro clinico e sociale che aspetta il bambino. E indicando le strade per una migliore assistenza economica alle donne e alle famiglie dei bambini malati. Perché nessuna donna debba dire, di fronte a una diagnosi di malattia genetica, di essere stata lasciata sola.

Dott. Carlo Bellieni
(Fonte:L’Osservatore Romano -)

 

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