RASSEGNA STAMPA 19 – a cura di Rita Bettaglio

dall’Italia, dal Mondo  –  27 febbraio 2011

 

 

a cura di Rita Bettaglio

 

 

Vista l’importanza del tema e la sua rilevanza a livello mediatico e di opinione pubblica, pubblichiamo interamente il discorso del Pontefice all’assemblea generale della Pontificia Accademia per la Vita, pronunciato il 26/02/2011.

 

ABORTO: UNA FERITA NEL CUORE DELL’ESSERE UMANO

Signori Cardinali

Venerati Fratelli nell’Episcopato

e nel Sacerdozio,

Cari Fratelli e Sorelle, vi accolgo con gioia in occasione dell’Assemblea annuale della Pontificia Accademia per la Vita. Saluto in particolare il Presidente, Mons. Ignacio Carrasco de Paula, e lo ringrazio per le sue cortesi parole. A ciascuno rivolgo il mio cordiale benvenuto! Nei lavori di questi giorni avete affrontato temi di rilevante attualità, che interrogano profondamente la società contemporanea e la sfidano a trovare risposte sempre più adeguate al bene della persona umana. La tematica della sindrome post-abortiva – vale a dire il grave disagio psichico sperimentato frequentemente dalle donne che hanno fatto ricorso all’aborto volontario – rivela la voce insopprimibile della coscienza morale, e la ferita gravissima che essa subisce ogniqualvolta l’azione umana tradisce l’innata vocazione al bene dell’essere umano, che essa testimonia. In questa riflessione sarebbe utile anche porre l’attenzione sulla coscienza, talvolta offuscata, dei padri dei bambini, che spesso lasciano sole le donne incinte. La coscienza morale – insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica – è quel “giudizio della ragione, mediante il quale la persona umana riconosce la qualità morale di un atto concreto che sta per porre, sta compiendo o ha compiuto” (n. 1778). È infatti compito della coscienza morale discernere il bene dal male nelle diverse situazioni dell’esistenza, affinché, sulla base di questo giudizio, l’essere umano possa liberamente orientarsi al bene. A quanti vorrebbero negare l’esistenza della coscienza morale nell’uomo, riducendo la sua voce al risultato di condizionamenti esterni o ad un fenomeno puramente emotivo, è importante ribadire che la qualità morale dell’agire umano non è un valore estrinseco oppure opzionale e non è neppure una prerogativa dei cristiani o dei credenti, ma accomuna ogni essere umano. Nella coscienza morale Dio parla a ciascuno e invita a difendere la vita umana in ogni momento. In questo legame personale con il Creatore sta la dignità profonda della coscienza morale e la ragione della sua inviolabilità.

Nella coscienza l’uomo tutto intero – intelligenza, emotività, volontà – realizza la propria vocazione al bene, cosicché la scelta del bene o del male nelle situazioni concrete dell’esistenza finisce per segnare profondamente la persona umana in ogni espressione del suo essere. Tutto l’uomo, infatti, rimane ferito quando il suo agire si svolge contrariamente al dettame della propria coscienza. Tuttavia, anche quando l’uomo rifiuta la verità e il bene che il Creatore gli propone, Dio non lo abbandona, ma, proprio attraverso la voce della coscienza, continua a cercarlo e a parlargli, affinché riconosca l’errore e si apra alla Misericordia divina, capace di sanare qualsiasi ferita.

I medici, in particolare, non possono venire meno al grave compito di difendere dall’inganno la coscienza di molte donne che pensano di trovare nell’aborto la soluzione a difficoltà familiari, economiche, sociali, o a problemi di salute del loro bambino. Specialmente in quest’ultima situazione, la donna viene spesso convinta, a volte dagli stessi medici, che l’aborto rappresenta non solo una scelta moralmente lecita, ma persino un doveroso atto “terapeutico” per evitare sofferenze al bambino e alla sua famiglia, e un “ingiusto” peso alla società. Su uno sfondo culturale caratterizzato dall’eclissi del senso della vita, in cui si è molto attenuata la comune percezione della gravità morale dell’aborto e di altre forme di attentati contro la vita umana, si richiede ai medici una speciale fortezza per continuare ad affermare che l’aborto non risolve nulla, ma uccide il bambino, distrugge la donna e acceca la coscienza del padre del bambino, rovinando, spesso, la vita famigliare.

Tale compito, tuttavia, non riguarda solo la professione medica e gli operatori sanitari. È necessario che la società tutta si ponga a difesa del diritto alla vita del concepito e del vero bene della donna, che mai, in nessuna circostanza, potrà trovare realizzazione nella scelta dell’aborto. Parimenti sarà necessario – come indicato dai vostri lavori – non far mancare gli aiuti necessari alle donne che, avendo purtroppo già fatto ricorso all’aborto, ne stanno ora sperimentando tutto il dramma morale ed esistenziale. Molteplici sono le iniziative, a livello diocesano o da parte di singoli enti di volontariato, che offrono sostegno psicologico e spirituale, per un recupero umano pieno. La solidarietà della comunità cristiana non può rinunciare a questo tipo di corresponsabilità. Vorrei richiamare a tale proposito l’invito rivolto dal Venerabile Giovanni Paolo II alle donne che hanno fatto ricorso all’aborto: “La Chiesa sa quanti condizionamenti possono aver influito sulla vostra decisione, e non dubita che in molti casi s’è trattato d’una decisione sofferta, forse drammatica. Probabilmente la ferita nel vostro animo non s’è ancor rimarginata. In realtà, quanto è avvenuto è stato e rimane profondamente ingiusto. Non lasciatevi prendere, però, dallo scoraggiamento e non abbandonate la speranza. Sappiate comprendere, piuttosto, ciò che si è verificato e interpretatelo nella sua verità. Se ancora non l’avete fatto, apritevi con umiltà e fiducia al pentimento: il Padre di ogni misericordia vi aspetta per offrirvi il suo perdono e la sua pace nel sacramento della Riconciliazione. Allo stesso Padre e alla sua misericordia potete affidare con speranza il vostro bambino. Aiutate dal consiglio e dalla vicinanza di persone amiche e competenti, potrete essere con la vostra sofferta testimonianza tra i più eloquenti difensori del diritto di tutti alla vita” (Enc. Evangelium vitae, 99).

La coscienza morale dei ricercatori e di tutta la società civile è intimamente implicata anche nel secondo tema oggetto dei vostri lavori: l’utilizzo delle banche del cordone ombelicale, a scopo clinico e di ricerca. La ricerca medico-scientifica è un valore, e dunque un impegno, non solo per i ricercatori, ma per l’intera comunità civile. Ne scaturisce il dovere di promozione di ricerche eticamente valide da parte delle istituzioni e il valore della solidarietà dei singoli nella partecipazione a ricerche volte a promuovere il bene comune. Questo valore, e la necessità di questa solidarietà, si evidenziano molto bene nel caso dell’impiego delle cellule staminali provenienti dal cordone ombelicale. Si tratta di applicazioni cliniche importanti e di ricerche promettenti sul piano scientifico, ma che nella loro realizzazione molto dipendono dalla generosità nella donazione del sangue cordonale al momento del parto e dall’adeguamento delle strutture, per rendere attuativa la volontà di donazione da parte delle partorienti. Invito, pertanto, tutti voi a farvi promotori di una vera e consapevole solidarietà umana e cristiana. A tale proposito, molti ricercatori medici guardano giustamente con perplessità al crescente fiorire di banche private per la conservazione del sangue cordonale ad esclusivo uso autologo. Tale opzione – come dimostrano i lavori della vostra Assemblea – oltre ad essere priva di una reale superiorità scientifica rispetto alla donazione cordonale, indebolisce il genuino spirito solidaristico che deve costantemente animare la ricerca di quel bene comune a cui, in ultima analisi, la scienza e la ricerca mediche tendono.

Cari Fratelli e Sorelle, rinnovo l’espressione della mia riconoscenza al Presidente e a tutti i Membri della Pontificia Accademia per la Vita per il valore scientifico ed etico con cui realizzate il vostro impegno a servizio del bene della persona umana. Il mio augurio è che manteniate sempre vivo lo spirito di autentico servizio che rende le menti e i cuori sensibili a riconoscere i bisogni degli uomini nostri contemporanei. A ciascuno di voi e ai vostri cari imparto di cuore la Benedizione Apostolica.

COMITATO BIOETICA, SÌ OBIEZIONI DI COSCIENZA FARMACISTI

ROMA, 25 febbraio 2011- Sì alla possibilità per i farmacisti di esercitare l’obiezione di coscienza per non vendere la pillola del giorno dopo, ma va al contempo garantito il diritto della donna ad ottenere il farmaco richiesto. E’ la posizione espressa dal Comitato nazionale di bioetica (Cnb) in un parere sull’argomento votato nella seduta svoltasi oggi. Si tratta di una risposta, spiega il vicepresidente del Cnb Lorenzo D’Avack, “sollecitata dalla deputata dell’Udc Luisa Santolini, in merito all’obiezione di coscienza che può essere invocata dai farmacisti per non vendere prodotti farmaceutici per i quali non si può escludere la possibilità di un meccanismo di azione che porti all’eliminazione dell’embrione”, sia pure non ancora annidato nell’utero materno.

FEDERFARMA, GARANTIRE FARMACI E’ DOVERE

La farmacia e dunque il farmacista “hanno il dovere di dispensare, sotto prescrizione, ogni tipo di farmaco”. E’ la posizione di Annarosa Racca, presidente di Federfarma, che commenta così il parere espresso dal Comitato nazionale di bioetica (Cnb), che ha detto sì alla possibilità per i farmacisti di esercitare l’obiezione di coscienza per non vendere la pillola del giorno dopo. “Certo che se in farmacia fosse presente un obiettore di coscienza – aggiunge Racca – allora nella stessa farmacia ci dovrà essere un altro farmacista non obiettore, perché le nostre strutture non solo svolgono un servizio fondamentale sul territorio ma sono anche un terminale del Servizio Sanitario Nazionale. E in quanto tale – conclude – devono garantire un servizio, che è quello di dispensare tutti i farmaci che sono in commercio”.

(Fonte: ANSA)

AFRICA/LIBIA – NOTA DELLA NUNZIATURA APOSTOLICA SULLA SITUAZIONE DELLE COMUNITÀ RELIGIOSE IN LIBIA

Tripoli, 26/02/2011, (Agenzia Fides) – La Nunziatura Apostolica in Libia ha inviato all’Agenzia Fides la seguente nota: “In merito alla grave situazione che si è determinata negli ultimi giorni in Libia, le comunità religiose che operano nei due Vicariati Apostolici di Tripoli e Bengasi, continuano a essere pienamente al servizio della popolazione e dei fedeli. La maggioranza delle 16 comunità femminili, composte da suore provenienti da diverse nazioni, presta la propria opera nel settore sanitario e, in queste ore, ha intensificato l’assistenza alla popolazione. Le religiose hanno espresso la volontà di restare accanto a chi soffre.

Allo stesso modo, anche i due Vescovi ed i 15 sacerdoti proseguono il loro servizio ed intendono continuare la missione loro affidata. Pur nel difficile frangente che il Paese si trova a vivere, l’atteggiamento dei missionari presenti in Libia mira a infondere coraggio e ad assicurare ogni forma di assistenza possibile alla comunità cattolica – che è di circa 100.000 fedeli – e all’intera popolazione.

Occorre peraltro rilevare che anche nel contesto attuale il popolo libico, come tradizionalmente ha sempre fatto, sta manifestando apprezzamento per la presenza e il servizio delle suore e dei sacerdoti. In questi giorni tale benevolenza si dimostra con gesti concreti di solidarietà e di protezione nei confronti dei religiosi presenti nel Paese”. (L.M.) (Agenzia Fides 26/2/2011

CINA: È IN CORSO LA PEGGIOR REPRESSIONE DA ANNI

Pechino, 25/02/2011, (AsiaNews/Agenzie) – In Cina da giorni è in atto una delle peggiori repressioni degli ultimi anni, come risposta all’anonimo invito comparso giorni fa su internet a unirsi alla “Rivolta del Gelsomino”. Il gruppo China Human Rigths Defenders denuncia sistematici arresti, perquisizioni, pestaggi contro noti dissidenti e persino contro semplici cittadini.

Almeno 5 noti attivisti sono in carcere per generiche accuse di “sovversione contro il potere statale”.

Lo scrittore e autore di blog Ran Yunfei di Chengdu (Sichuan) è stato invitato presso la polizia il 20 febbraio per “prendere un tè”. Da allora è in carcere per “sovversione”. Il suo blog e il suo profilo su Twitter hanno oltre 44mila contatti.

Hua Chunhui di Wuxi (Jiangsu) è detenuto dal 21 febbraio per “minaccia alla sicurezza statale”: sul suo blog ha pubblicato messaggi riguardanti la Rivoluzione del Gelsomino.

Liang Haiyi, abitante ad Harbin, è stata sentita dalla polizia il 19 febbraio e trattenuta per sovversione: avrebbe messo su internet “informazioni prese da siti esteri riguardanti la rivoluzione del Gelsomino”.

La polizia ha prelevato Ding Mao a casa, il 19 febbraio a Mianyang (Sichuan) per “istigazione alla sovversione”. Ha già passato in carcere oltre 10 anni, quale fondatore del Partito socialdemocratico cinese.

Chen Wei, attivista di Suining (Sichuan) per i diritti, è detenuto dal 20 febbraio per “sovversione”. Anche lui ha passato anni in carcere per avere difeso i diritti umani.

Ci sono frequenti notizie di pestaggi praticati dalla polizia e di centinaia di interrogatori, minacce, sparizioni di altri dissidenti. Per essere incarcerati o condannati basta un semplice sospetto della polizia. Arresti e perquisizioni non sono limitati agli attivisti per i diritti, ma è pure colpito chiunque sia sospettato di avere caricato su internet inviti alla protesta o notizie non gradite. Yuan Feng, migrante dell’Henan stabilitosi a Shantou (Guangdong), è stato condannato alla pena amministrativa di 10 giorni di carcere ed è tuttora detenuto per avere messo su internet notizie sulle proteste del Gelsomino.

Sono tanti gli “scomparsi”, tra cui i noti difensori di diritti Tang Jitian, Jiang Tianyong, Teng Biao e Gu Chuan. La polizia rifiuta di dare notizie e si teme abbiano subito gravi condanne penali per pretesi fatti di sovversione. Il legale Liu Shihui è stato pestato a sangue a Guangzhou il 20 febbraio da ignoti.

Chrd teme che “mentre l’attenzione del mondo è rivolta alle proteste in Nord Africa e in Medio Oriente, il governo cinese creda di avere un’ottima occasione per colpire duro i democratici e attivisti per i diritti umani”. Per questo il gruppo si appella ai governi democratici e agli organi internazionali perché ribadiscano a Pechino che “l’oppressione della libertà di espressione e di protestare è inaccettabile, sia nel Medio Oriente che in Cina”.

LA DECISIONE DI OBAMA SULLA LEGGE SUL MATRIMONIO TOCCA LA LIBERTA’ RELIGIOSA E IL FUTURO DEL MATRIMONIO.

Washington D.C., 24/02/2011(CNA/EWTN News www.catholicnewsagency.com).- La decisione dell’amministrazione Obama di non difendere una fondamentale legge federale sul matrimonio solleva preoccupanti domande sulla libertà religiosa dei cattolici e di tutti coloro che credono nel matrimonio tradizionale, secondo molti esponenti cattolici.

L’Attorney General degli USA, cioè il Ministro della Giustizia del governo Obama, Eric Holder il 23 febbraio ha annunciato che l’amministrazione ritiene che il  Defense of Marriage Act del 1996– che definisce il matrimonio l’unione di un uomo e una donna e nega i benefici dei coniugi a coppie omosessuali- sia incostituzionale, perchè discrimina gli omosessuali.

Holder ha parlato di un panorama legale “mutato”, includendo un pronunciamento della Suprema Corte che definisce incostituzionale qualunque legge contro gli omosessuali. Inoltre egli ha citato la decisione del Congresso della fine dello scorso anno di rigetto della politica del “non chiedere, non dire” che impediva agli omosessuali dichiarati di servire nell’esercito.

Anthony R. Picarello, Jr., capo dell’ufficio legale dei vescovi statunitensi, definisce la decisione del governo “un grave affronto” agli Americani che rifiutano un’ingiusta discriminazione ma affermano anche “l’unico e inestimabile valore del matrimonio tra un uomo e una donna.”

“Alla base del matrimonio non c’è l’intolleranza, ma piuttosto una convinzione comune e assai ragionevole che sostiene l’istituzione fondativa della società civile,” dice Picarello.

Ogni tentativo del governo di affermare che questa convinzione sia discriminatoria è “una seria minaccia” alla libertà religiosa, aggiunge.

Robert P. George, forse il più eminente studioso cattolico statunitense del matrimonio, definisce la difesa fatta da Holder della posizione dell’amministrazione “estremamente preoccupante”.  Egli dice che la dichiarazione di Holder “grondava animosità” contro le persone che credono che il matrimonio sia “l’unione coniugale di un marito e di una moglie.”

“Egli tratta questa convinzione come se fosse un mero pregiudizio, motivato da un desiderio di causare danno alle persone,” ha detto George alla CNA il 24 febbraio. “Naturalmente nulla potrebbe essere più lontano dal vero. E’ una convinzione morale legittima che ha informato la nostra legge nel corso della storia.”

La dichiarazione suggerisce a George la possibilità che il Dipartimento di Giustizia “abusi della propria autorità per sopprimere la libertà religiosa della persone che dissentono.” “Le parole di Holder accrescono la preoccupazione che il Dipartimento di Giustizia tratta i credenti Cristiani, Ebrei, Musulmani e altri come l’equivalente di razzisti,” avverte. Come razzisti non vengono imprigionati, ma hanno grossi problemi nell’ottenere licenze e accreditamento in campi come l’insegnamento e la psicologia. Le università con politiche definite razziste, ad esempio, non possono godere dello status di esenzione fiscale.

George crede che sia “imperativo” per i credenti e chi sostiene la tradizionale definizione di matrimonio difendere la propria libertà religiosa. Essi dovrebbero mostrare chiaramente al Dipartimento di Giustizia che intendono combattere ogni tentativo di limitare la loro  libertà e i diritti di coscienza.

George è professore di giurisprudenza alla Princeton University e coautore della “Manhattan Declaration,” una dichiarazione del 2009 in difesa della santità della vita e della famiglia, che ha raggiunto quasi le 500mila firma (La Rassegna Stampa se n’è occupata quanlche tempo fa).

VOGLIONO FARE MORIRE IL FIGLIO A CASA,  IL GIUDICE RESPINGE LA RICHIESTA IL PICCOLO JOSEPH DI 13 MESI È ATTACCATO A UN RESPIRATORE. I MEDICI STACCHERANNO LA SPINA ENTRO LUNEDÌ

LONDON, Canada, 19/02/2011 – Moe Maraachli e Sana Nader sanno che al loro bambino, Joseph, non rimane più tanto tempo per vivere. Ora, questi due genitori saranno costretti a veder morire il figlio su un letto d’ospedale e non nella sua tranquilla cameretta della loro casa a Windsor come invece avevano chiesto.

«Vogliono ucciderci il bambino», ha inveito Moe in un’intervista dopo aver perso la battaglia legale per riportare il piccolo Joseph di 13 mesi a casa al quale i medici hanno deciso di staccare la spina dell’apparecchio che lo tiene in vita.

«Vogliamo solo aiutarlo a morire in modo sereno con la mamma e il papà nella sua casa», ha continuato Moe che, insieme alla moglie Sana, hanno chiesto a un tribunale che a Joseph, che soffre di una grave e rara malattia neurologica, fosse praticata una tracheotomia in modo che potesse respirare autonomamente e potesse quindi poi essere portato a casa nei suoi ultimi giorni di vita. I medici del London Health Science Centre si sono rifiutati fin da subito di effettuare l’intervento. Il giudice della Corte Superiore dell’Ontario Helen Rady ha ordinato ai genitori di rispettare la decisione dei dottori di rimuovere il bambino dalle macchine che lo tengono in vita artificialmente entro lunedì 28 alle 10 del mattino. Il legale della coppia, Geoff Snow, ha affermato che, secondo i medici, il piccolo è in stato vegetativo e che la procedura, nelle sue condizioni, è inutile. Ma la coppia teme che Joseph possa soffrire nel caso in cui gli venga rimosso il tubo. Moe e Sana hanno già passato un’esperienza simile quando la figlia, che aveva la stessa malattia, è morta nove anni prima all’età di 18 mesi. Era stata sottoposta alla tracheotomia ed aveva vissuto a casa per 16 mesi prima di morire.

(Fonte: Corriere Canadese)

CANADA: BEBE’ CONDANNATO A MORTE

Washington D.C., 25/02/11 (ACI/EWTN Noticias)

La Terri Schiavo Life and Hope Network e la Christian Defense Coalition si sono unite nella lotta di Moe e Sana Maraachli per salvare il loro figlio Joseph, che soffre di una grave malattia neurodegenerativa, dalla morte per asfissia, dopo che la corte canadese ha ordinato i medici che lo hanno in cura di rimuovere il tubo necessario per farlo respirare.

Joseph Maraachli ha 13 mesi e lunedì 28 febbraio potrebbe andare incontro a morte violenta, se i medici obbediranno alla corte. I genitori hanno chiesto ai medici di praticare una tracheotomia per poterlo portare a casa e dargli l’opportunità di lottare per la propria vita, invece di morire per asfissia. I Maraachli cercano un ospedale negli USA che accetti il piccolo Joseph per curarlo.

Per Suzanne Vitadamo, portavoce della Terri Schiavo Life and Hope Network, è inaccettabile che le autorità canadesi “decidano quando la vita di Joseph debba terminare e non tengano in considerazione il desiderio dei genitori”.

“Ogni paziente, indipendentemente dall’età, ha il diritto di ricevere attenzione medica adeguata e degna. E’ allarmante che ancora una volta il governo usurpi i diritti che Dio concede ai genitori perchè amino e curino a casa il proprio figlio, specialmente quando è agonizzante”.

Vitadamo aggiunge che “nessun ospedale ha diritto di porre termine alla vita di un bambino. E’ diritto dei genitori portarlo a casa e prendersi cura di lui come desiderano. Com’è possibile che i genitori perdano il diritto di scegliere in un tema così delicato?”

Questa rete fu creata per proteggere i diritti delle persone con incapacità cognitiva dai familiari di Terri Schiavo, la giovane donna della Florida che morì il  31 marzo 2005, dopo 14 giorni dacchè, per ordine del tribunale, i medici rimossero i tubi che l’alimentavano e la idratavano, contrariamente al desiderio dei genitori che volevano portarla a casa.

Patrick J. Mahoney, direttore della Christian Defense Coalition, è andato in Canada perappoggiare la famiglia di Joseph, ottenere assistenza legale e un ospedale negli USA disposto ad accogliere il piccolo.

Mahoney ha spiegato che “è la famiglia che dovrebbe prendere ladecisione finale sul miglior modo di procedere con questo bel bambino. Le corti e gli ospedali hanno disprezzato completamente i desideri della famiglia e stanno violando i diritti dei genitori”.

“Esortiamo tutti a proseguire nella preghiera continua per il piccolo Joseph e la famiglia e perchè questo non sia il futuro dell’assistenza sanitaria”, ha aggiunto.

(Fonte: ACI Prensa)


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