Ricordi e sentimenti, aspettando l’Adunata del Piave – di Giovanni Lugaresi

di Giovanni Lugaresi

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Ne è passato, di tempo, da quando ventenne incontrai, sulle pagine della rivista “Gente” Un nome fiammeggiante: Julia! Fu il mio primo incontro con gli Alpini. Era un corpo militare che certo conoscevo di nome, da lontano, per così dire, per via di echi raccolti fin da bambino in conversari di adulti, poi in ritagli di giornale che parlavano di Grecia, di Russia, e prima ancora, a ritroso nel tempo, di Grande Guerra. Un incontro, il mio con le Penne Nere, che si concretizzò poi a livello intellettuale con la lettura di un classico: “La ritirata di Russia” di Egisto Corradi, pubblicato da Longanesi.

Partiva da lì, da quel “classico”, la conoscenza di soldati, di un vero e proprio popolo, quale è quello che unisce alpini in armi e alpini in congedo… sempre e comunque “alpini”, perché qui il concetto di “ex” non esiste!

Una conoscenza nutrita prima dalla letteratura, che a volte fa capire gli eventi più della Storia, e quindi ecco le letture ad hoc: da Piero Jahier (“Con me e con gli alpini” pubblicato dalle edizioni della prezzoliniana Voce) al Mario Rigoni Stern del “Sergente nella neve”, da Giulio Bedeschi con le sue “Centomila gavette di ghiaccio” ad Enrico Reginato e don Giovanni Brevi coi loro libri-testimonianza sui lunghi anni di prigionia in Urss, e via elencando.

Ma poi, ecco incontrare gli alpini nella vita: le adunate nazionali, le iniziative culturali organizzate dalla sezioni dell’Ana (“Al Portello Sile” e “Parole attorno al fuoco di Treviso”, per esempio), gli interventi a favore di un prossimo dovunque bisognoso, in Italia e all’estero.

Man mano che passava il tempo, scoprivo sempre cose nuove, aspetti, risvolti, di una realtà che anche in tempo di pace, con le Penne Nere in congedo, parlava agli italiani, non soltanto a me, umanamente e professionalmente interessato ai vari aspetti di quel mondo, di quel popolo.

Un mondo e un popolo evidentemente sconosciuti o malnoti a tanti, troppi, della nostra classe dirigente, se si sarebbe arrivati alla “sospensione” (in pratica, soppressione) del servizio militare obbligatorio, e a farne le spese, per quanto riguarda quel che si tratta in questa sede, è stata soprattutto l’Ana, che raccoglie gli alpini in congedo, appunto. Non rendendosi conto, evidentemente, i nostri governanti, della forza, del valore, del significato di una presenza così incisiva sul piano sociale, di solidarietà, nonché degli ideali di Patria, parola che sulla bocca delle Penne Nere riacquista il significato più nobile e più alto, che proprio nel servizio prestato in quel Corpo militare si formava nei giovani con esiti positivi poi nel ritorno alla vita civile.

La presenza fattiva, intelligente, generosissima (e perciò gratuita) degli Alpini nella vita della nazione è costante, dall’immediato dopoguerra ad oggi, come testimonio anche nel mio libro “Alpini di pace”, sottotitolo “Mezzo secolo sul fronte della solidarietà” (Il Prato editore Padova), con la quarta edizione (2008) prefata da Carlo Sgorlon, esaurita.

Al centro di quel volumetto, come al centro della mia considerazione per le Penne Nere, di ieri e di oggi, c’è l’Operazione Sorriso, cioè la costruzione dell’omonimo asilo nido-scuola materna, ideata, progettata, finanziata, costruita dagli Alpini a Rossosch, per ricordare i morti di Nikolajewka (e tutti i Caduti della campagna di Russia) nel cinquantesimo anniversario della famosa battaglia.

C’ero anch’io (volendo riecheggiare il titolo di una collana di testimonianze curata da Giulio Bedeschi per l’editore Mursia) quel piovigginoso giorno di settembre del 1993 a Rossosch per l’inaugurazione di quella struttura bellissima dal punto di vista architettonico, perfettamente funzionale da quello pratico educativo.

Restai colpito per la struttura in se stessa, ma poi considerando le difficoltà inenarrabili che gli alpini avevano incontrato e superato per realizzare quel progetto. Infatti, l’iniziativa era partita sì all’indomani dell’implosione del comunismo in Unione Sovietica, ma l’eredità, per così dire, della macchina burocratica del regime ritardava, bloccava l’azione dell’Ana. Ma non era riuscita a fiaccare il carattere, la volontà, l’energia di quegli uomini.

Ecco, il momento cruciale, decisivo, per la mia totale adesione a quel mondo, a quel popolo. E senza nulla togliere ad altri militari, a cominciare dal mio essere stato soldato nel Genio, ma penso di non poter essere smentito nel rilevare che questa gente ha una marcia in più!

Facendo un passo a ritroso nel tempo rispetto a Rossosch, e andando al terremoto del Friuli (1976), non a caso va ricordato che il governo degli Stati Uniti, volendo aiutare i friulani, affidò proprio all’Ana la somma di 50 miliardi (in lire) per la ricostruzione!!! Conoscevano, anche là, evidentemente, il profondo sentire e il retto agire degli Alpini.

Ora, tutta questa esperienza/conoscenza personale affiora di quando in quando, e a maggior ragione in questi giorni in cui si tiene a Treviso la 90° adunata nazionale, denominata “Adunata del Piave 2017”, perché nel centenario della Grande Guerra, che vide proprio in queste terre terribili combattimenti, durissimi sacrifici, morti e distruzioni anche fra le popolazioni civili, non si poteva trascurare da parte dell’Ana, l’omaggio agli “Alpini del Grappa, del Montello, del Piave”…

Quelli delle adunate sono giorni di festa, di gioia, di allegria, in cui il ritrovarsi da tutta Italia e da tutto il mondo, significa ritrovare e/o rinsaldare amicizie, ricordare e raccontare, cantare e suonare, nella consapevolezza che essere alpini significa anche appartenenza, identità.

“Itala gente da le molte vite”, cantava il Poeta, e certamente gli Alpini possono riconoscersi in questa espressione. Itala gente seria, costruttiva, positiva, fra tanta marmaglia più o meno altolocata che infetta la vita della nazione. E che spesso fa vergogna e provoca scoramento, tristezza, amarezza.

Eppure, nei momenti di depressione, mi dico: se non ci fossero gli Alpini?! E ritrovo quell’orgoglio di essere italiano che provai per la prima volta (e soltanto) quel giorno di settembre sotto la pioggia di Rossosch all’inaugurazione dell’asilo costruito da mani italiane, mani oneste, brutte magari, callose, malformate, vecchie, ma di gente pulita, generosa. E quel tricolore che svettava sul tetto dell’Asilo Sorriso mi parve la bandiera più bella del mondo…

Ricordi, sentimento di un vecio, considerando queste giornate trevigiane di festa, di canti di suoni, di memoria, di Patria, e pure ovviamente di mangiare e di bere, sì, di bevute anche abbondanti. E se nell’immaginario collettivo di tanti, alpino è sinonimo di vino, vale la pena sottolineare quel che disse in anni lontani il presidente Erizzo a un importante uomo politico, che ad una adunata scherzava sui fiaschi, le damigiane di vino e gli alpini…

L’insistere greve sull’argomento provocò la secca risposta di Erizzo: “Sì, signor ministro, a noi piace bere, anche tanto, ma si ricordi che nella nostra storia c’è molto più sangue che vino!”. Al che, l’incauto provocatore ammutolì.

Ogni qual volta, nelle sfilate conclusive delle adunate nazionali, uno degli speaker, l’avvocato Odoardo Ascari (reduce di Russia, poi internato nei lager nazisti), raccontava l’episodio, un nodo mi chiudeva la gola e gli occhi mi si inumidivano…

Ora, nel mio piccolo, per quello che ho visto di reale (fatti, non chiacchiere) costruito per gli altri dalle Penne Nere, penso di poter aggiungere un’altra battuta, quasi a completamento delle parole di Erizzo.

“Nella storia degli alpini in congedo c’è molto più sudore che vino!”.

Amici Alpini, buona adunata del Piave 2017.

3 commenti su “Ricordi e sentimenti, aspettando l’Adunata del Piave – di Giovanni Lugaresi”

  1. Grazie per questo scritto che mi ha fatto rivivere momenti indimenticabili a fianco di un grande alpino, mio padre.

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