Riflessioni sull’odio – di Carla D’Agostino Ungaretti

di Carla D’Agostino Ungaretti

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Paolo ci insegna che la terza Virtù Teologale del Cristiano, la Carità, è la più importante perché è quella che durerà in eterno mentre la prima e la seconda, la Fede e la Speranza, non saranno più necessarie quando vedremo Dio “faccia a faccia” (1Cor 13, 13). Ma dalla vita quotidiana impariamo anche quanto sia difficile mettere costantemente in pratica questa terza Virtù, nonostante Gesù ci abbia avvertiti che saremo giudicati in base a quanto avremo saputo amare non solo chi ci ama, ma anche chi ci odia, o ci avversa, o prova semplicemente antipatia per noi. Perciò è evidente che il genere umano deve fare ancora molta strada per attuare la Parola di Dio nella storia (ammesso che ci riesca)  perché i 2500 anni di filosofia occidentale – quando questa ha creduto di poter prescindere da quella Parola – hanno favorito il progresso tecnologico e scientifico, ma non sono certo riusciti a migliorare il cuore dell’uomo sempre indotto dal demonio, e con successo, ad agire spinto dall’odio.

Tutto il mondo moderno è impastato di odio e quest’odio viene costantemente messo in risalto nella vita ordinaria e domestica, nello sport, nella vita sociale e politica[1], con il pessimo esempio di maleducazione e di inciviltà che offrono i nostri parlamentari quando non esitano a sfogare l’odio di parte sui loro avversari politici insultandoli, ed anche con il nefasto contributo di Twitter che tutti conosciamo. Sul Corriere della Sera Aldo Grasso li ha chiamati “odiatori da social” riferendosi agli insulti rivolti “cinguettando” da un’attrice a un’esponente politica, seguiti da scuse che suonano più come tentativo di prevenire presso il pubblico una possibile cattiva reputazione che come riconoscimento di un errore commesso[2].

A ben guardare, l’odio non è un sentimento buono o cattivo in se stesso, ma lo diviene in base alle sue motivazioni e al suo oggetto. Nell’Antico Testamento l’odio contro Dio, contro la Sua Parola e contro la giustizia è un sentimento malvagio; al contrario, l’odio consapevole, ovvero il rifiuto deciso nei confronti degli empi[3] e di coloro che “servono idoli falsi” (Sal 31, 7) è un sentimento buono e necessario anche con riferimento alla propria vita. L’ “odio” per il peccato è il tratto caratteristico di tutti i grandi Santi i quali, per manifestarlo, non hanno mai esitato a usare quelle forti espressioni che lo scristianizzato e buonista mondo moderno rifiuta e che la stessa Chiesa passa sotto silenzio perché, volendo strizzare l’occhio al “mondo”, teme di offenderlo. Nella sua meravigliosa “Preghiera per conservare la vera fede” (che io faccio mia rileggendola spesso) S. Pietro Canisio, primo gesuita della provincia tedesca e Dottore della Chiesa, dichiara testualmente: “Ho in abominio Lutero, detesto Calvino, maledico tutti gli eretici”: egli non si riferisce naturalmente alle persone fisiche dei riformatori, ma all’eresia da loro concepita che nel XVI secolo stava dilagando in Europa, e fu profetico perché dalla riforma luterana è scaturita la scristianizzazione che ora è palese e sotto gli occhi degli smarriti e disorientati cattolici moderni. Marco d’Aviano – il frate cappuccino che, armato del solo Crocifisso, riuscì a formare la Lega Santa che sconfisse i turchi all’assedio di Vienna del 1683 – alla vigilia dello scontro invocò la protezione del “Dio degli eserciti[4], “esecrando il peccato perché Tu lo aborrisci e afflitti perché spesso abbiamo eccitato all’ira la Tua somma bontà”. Infatti il cristiano deve odiare il peccato e il Male in tutte le sue forme perché sa che sono “aborriti” da Dio.

Come l’amore, l’odio può conoscere gradi diversi: può concretizzarsi in sentimenti di antipatia, contrarietà, avversione, fino a esplodere nella sua potenziale distruttività e condurre al delitto[5]; infatti nei secoli l’odio ha coinvolto gruppi, famiglie e clan uniti dall’avversione per  qualcosa o qualcuno o per motivi culturali, razziali, religiosi, storici[6]. Ma in che consiste questo sentimento così tragico e distruttivo, del quale tanto spesso possiamo vedere gli effetti devastanti? Dalla mia esperienza di vita, lo definirei come un sentimento di irrefrenabile avversione che spinge a gioire delle disgrazie altrui e a desiderarne il male, fino ad agire in modo di arrecargli volontariamente danno.

Vediamo ogni giorno, dalle cronache, che cosa sono capaci di fare gli stalker e i terroristi il cui odio, freddo e programmato nella sua attuazione, li induce a pianificare meticolosamente a tavolino, anche a distanza di anni, la vendetta per il torto che essi credono di aver subito come individui o come nazioni. L’odio può essere unito all’ira, che può nascere anch’essa dalla frustrazione per aver subito un’ingiustizia o per aver perso ingiustamente un bene ritenuto importante, e fa emergere la volontà di ripristinare la giustizia ritenuta offesa. Però l’ira si differenzia dall’odio perché in genere è legata a una persona o a un avvenimento preciso, come nel caso degli stalker, mentre l’odio maggiormente diffuso nel nostro tempo è quello rivolto a un’intera classe sociale o gruppo di persone. Inoltre, l’ira esprime un dolore occasionale che col tempo tende a scomparire, mentre l’odio non si lascia influenzare dalla ragione; chi odia è unilaterale e incapace di differenziare, mentre l’ira (osserva S. Tommaso d’Aquino) “si rivolge sempre al singolare concreto”. Anche l’invidia fa desiderare il male del prossimo, però mentre chi odia desidera il male di una persona direttamente in quanto male e l’invidioso lo desidera per la propria gloria, l’adirato vuole il male altrui sotto l’aspetto di giustizia. Perciò è evidente, osserva S. Tommaso ispirato da Aristotele, che l’odio è più grave dell’invidia e l’invidia è più grave dell’ira perché “desiderare il male sotto l’aspetto di male è peggio che desiderarlo sotto l’aspetto di bene; e desiderare il male in quanto bene esterno, ossia come l’onore e la gloria, è peggio che desiderarlo sotto l’aspetto della rettitudine e della giustizia”.

Tommaso, nella Summa Theologiae, spiega che la superiorità “ontologica” del Bene sul Male può far sì che l’odio nasca anche da un amore disatteso; perciò l’indifferenza è il vero contrario dell’odio che, a causa del dolore che lo pervade, ha una grande portata distruttiva e lo vediamo nei frequenti casi di stalk. Per questo motivo il Male fa più notizia del Bene che, essendo invece discreto, nascosto, silenzioso, non attira l’attenzione come il suo opposto: infatti un terribile effetto collaterale prodotto dall’odio è rappresentato dalla collaborazione passiva. In molti fatti di cronaca gli spettatori hanno assistito in silenzio allo sfogo violento su uno sventurato di qualche energumeno, che così ha finito per ritenere quel comportamento passivo, sordo alle invocazioni aiuto da parte della vittima, una forma di approvazione per il suo gesto di odio.

Gli effetti  dell’odio sono maggiormente distruttivi non tanto a livello di pulsione (che può essere breve, anche se intenso) quanto a livello culturale, quando viene costantemente instillato e coltivato fino a rimanere impresso nell’immaginario collettivo. Tutti conosciamo l’influenza nefasta che tanti cattivi maestri hanno esercitato sui loro giovani allievi negli anni ’70 del secolo scorso dando vita al terrorismo dei nostri anni di piombo.  Quella che è stata chiamata “la dimensione idealistica dell’odio” è alla base degli stermini compiuti nella storia: la distruzione di coloro che si ritengono nemici è ritenuta necessaria per realizzare la società perfetta, come il “regno della virtù”, durante la Rivoluzione francese, o “la società senza classi” di marxiana memoria, o “il perfetto mondo ariano”, secondo il nazismo. “La virtù, senza la quale il terrore è funesto; il terrore, senza il quale la virtù è impotente”: così Robespierre, giunto all’apice del suo potere, giustificava la necessità di inasprire il Terrore, non ritenendo sufficiente il “lavoro” svolto fino a quel momento da “Madame la Guillotine”. Ma poi sperimentò personalmente come il Signore è capace di rovesciare i potenti dal loro trono.

Questo tipo di odio può generare una deriva violenta e incontrollata che può scaricare la tensione accumulata sacrificando un “capro espiatorio”. Alessandro Manzoni, nel Cap. XXXI de “I Promessi Sposi”, ha scritto pagine celebri su questo tema, descrivendo la figura dell’ “untore” accusato di aver deliberatamente introdotto la peste a Milano. Era solo una diceria, altrettanto falsa quanto facile a diffondersi, specie se, come nel caso dell’epidemia, la situazione era difficile da risolvere. Ma era il frutto, precisa il Manzoni, dell’incapacità di esercitare il pensiero critico. Infatti, quanto più la credenza viene espressa da un gruppo consistente, tanto meno il singolo riesce a percepire la gravità della violenza commessa perché si affievolisce la capacità di esercitare lo spirito critico. E’ quanto ha caratterizzato la maggior parte dei tragici eventi degli ultimi due secoli.

Purtroppo l’odio può allignare anche nel cuore di chi si professa cristiano, impadronendosi della mente e dell’anima  di chi arriva a odiare facendogli dimenticare che questo tremendo sentimento è esattamente il contrario del comandamento dell’Amore, che invece è il criterio centrale dell’agire del seguace di Cristo, e spesso, quando riesce a invadere l’animo di chi ne è vittima, rende quest’ultimo sordo a qualunque richiamo evangelico. Ogni giorno vediamo che il Male imperversa nel mondo e fa sempre più notizia del Bene perché asseconda gli istinti peggiori dell’uomo e, quando prevale – assecondato da quella parte dell’animo umano maggiormente influenzabile e facile a cadere preda del demonio – dà la sensazione terribilmente affascinante, di aver trionfato sul proprio nemico.

Gesù, nel Discorso della montagna, usa spesso l’espressione “odio”; per esempio, come termine di paragone avversativo del precetto che sta per impartire: “Avete inteso che fu detto “Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”, ma poi aggiunge un comandamento sconvolgente: “Ma io vi dico: “Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori …” (Mt 5, 43 – 44). Presso le antiche popolazioni semitiche dominava la legge della vendetta e dell’odio verso i nemici che dava luogo a interminabili spirali di dissidi e di crimini. Nei primi secoli della nazione israelitica la legge del taglione aveva rappresentato per il popolo eletto un indubbio progresso  etico, sociale e giuridico perché metteva un freno alle vendette private commisurando la reazione al male ricevuto. Con la morale del Nuovo Testamento Gesù fissa il traguardo definitivo della vittoria dell’Amore e del Perdono sull’odio e sulla vendetta.

La prima parte del versetto (“amerai il tuo prossimo”) già si trovava nel Levitico (19, 18), mentre la seconda parte (“odierai il tuo nemico”) non si rinviene nella Legge mosaica. Gesù usa un’espressione generalmente diffusa tra i rabbini del suo tempo, i quali per “prossimo” intendevano solo gli appartenenti al popolo di Israele, e su questo argomento arriva addirittura a impartire una lezione di profonda umanità prima ancora che di Fede cristiana – perché valida in ogni tempo, in ogni luogo e per ogni popolo – a un dottore della legge che credeva di tendergli un tranello. Perciò Egli dà un nuovo significato al termine “prossimo” con la commovente parabola del Buon Samaritano (Lc 10, 25 ss).

Infatti in una lingua priva di sfumature come l’aramaico, l’uso del termine  “odio” significava che popoli estranei l’uno all’altro, come Israele e i Samaritani, non erano affatto tenuti a nutrire sentimenti benevoli gli uni verso gli altri. Quel personaggio – di cui ignoriamo il nome, ma che sappiamo appartenente a un popolo nemico di Israele[7] – era pienamente legittimato a “odiare”, cioè  a provare indifferenza per lo sventurato israelita che aveva incontrato sul suo cammino; invece egli riesce a superare quell’indifferenza (contrariamente a come avevano fatto gli altri passanti) e, mettendo inconsapevolmente in pratica le successive parole di Gesù (“ … perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti”), arriva a vedere nel poveretto, anziché un “nemico”, un essere umano come lui, al cui posto anche lui avrebbe potuto trovarsi. Gesù è un vero segno di contraddizione, come aveva profetato il vecchio Simeone (Lc 2, 34): Egli “non è venuto a portare pace , ma una spadaa separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre …” (Mt 10, 34). Non solo: per metterci di fronte alle esigenze di scelta che Egli richiede – mettere al centro della propria vita soltanto Dio, respingendo in secondo piano tutto il resto, affetti familiari, lavoro, successo, ricchezza – Gesù dice anche che “chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna” (Gv 12, 25).

Ma gli effetti del Male sono difficili da contrastare e uno degli effetti peggiori è che l’odio per il male ricevuto può diventare una vera ragione di vita. Una mia vecchia amica d’infanzia dopo pochi anni di matrimonio fu abbandonata, in difficoltà economiche e con due bambini, dal marito che si era innamorato della migliore amica di sua moglie, situazione che nell’ultimo mezzo secolo si è verificata molte volte come conseguenza  dell’affievolita  percezione del vincolo coniugale provocata dalla rivoluzione sessantottina. Dopo molti anni e dopo la morte dei due adulteri, avvenuta per entrambi in età ancora relativamente giovane, la moglie abbandonata non è riuscita ancora a superare il sentimento di odio che concepì per chi distrusse la sua famiglia e attribuisce quelle due morti alla punizione di Dio per il male che le fu fatto. Io non so se Dio intendesse veramente punire quei due peccatori e non mi pronuncio in proposito, ma questa triste vicenda purtroppo abbastanza frequente oggigiorno e vissuta da me molto da vicino data l’antica amicizia, mi ha fatto capire che la forza dell’odio si basa sempre su una menzogna, sull’obnubilamento della realtà,  sulla percezione dell’odiato come il Male assoluto che impedisce completamente all’ “odiatore”  di tenere conto della complessità dell’animo umano che solo Dio conosce nei suoi più intimi recessi. Se la mia amica riuscisse a far tacere dentro di sé quella voce distruttiva (come io cerco sempre di farle capire) riuscirebbe ad aprirsi al perdono e ritroverebbe la pace. Gesù ci ha insegnato come distruggere questa fallace costruzione: con la preghiera e mettendo in pratica, anche se difficile, il Suo Comandamento Nuovo (Gv 13, 34).

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[1] L’esempio più rappresentativo dell’odio politico che alligna pure negli USA, che si sono sempre presentati al mondo come esportatori di democrazia, è l’antidemocratica protesta contro il Presidente Trump – a mio giudizio  un vecchio fanciullone ingordo che si tinge i capelli di giallo, ma meritevole di rispetto perché regolarmente  e democraticamente eletto – che contraddice il famoso slogan americano: “Wrong or right, he is my President”   

[2] Cfr Corriere della Sera, 12.2.2017, pag. 1. Sono d’accordo con Aldo Grasso il quale ricorda che la più straordinaria richiesta di scuse è quella narrata da Alessandro Manzoni ne “I Promessi Sposi”,  quando l’Innominato va dal Cardinale Federigo combattuto tra il desiderio e la stizza di dover chiedere le scuse. Il grande Federigo risolve cristianamente il problema chiedendo lui per primo scusa. ”Ma questa è letteratura” osserva acutamente Grasso,” a volte scusarsi sul web è come porre le premesse per future offese”. 

[3] E’ famosa la citazione del Salmo 45, 8 pronunciata dal Papa Gregorio VII in punto di morte, a Salerno nel 1085: “Ho amato la giustizia e odiato l’empietà, per questo muoio in esilio”.

[4]  Appellativo oggi aborrito dall’imbelle Chiesa moderna che lo ha sostituito con l’espressione “dell’universo” di significato diverso.

[5] Pochi giorni fa, a Vasto,il marito di una giovane donna – vittima di un incidente stradale provocato da un giovane automobilista che non aveva rispettato il semaforo rosso –  ha ucciso a colpi di pistola il responsabile della disgrazia, non drogato né ubriaco, ma distratto, per farsi giustizia da sé. Dopo la tragica fatalità di un delitto di strada, perseguibile a norma di legge, ecco altre due giovani vite distrutte dall’odio.

[6] Mi viene in mente l’odio tra guelfi “bianchi” e “neri” di cui fu vittima Dante nel XIV secolo e quello tra le famiglie Capuleti e Montecchi, descritto da Shakespeare in “Romeo e Giulietta”, che provocò la morte dei loro figli.

[7] Anche Gesù viene definito spregiativamente dai Giudei “samaritano” (Gv 8, 48).

2 commenti su “Riflessioni sull’odio – di Carla D’Agostino Ungaretti”

  1. Brava, Signora Carla! Sono colpita leggendo “Dio degli eserciti”, un’espressione che ormai non si sente più. Che immagine maestosa quella di Dio che conduce gli eserciti! Egli, loro capo supremo e condottiero invincibile. Non necessariamente eserciti armati, ma anche eserciti di angeli e di santi in cielo che combattono per il bene sulla terra, ed eserciti di tutti coloro che sulla terra lottano per il trionfo della Verità, di tutti coloro che pregano, che sperano, che della Croce fanno il loro vessillo e per essa sacrificano la loro stessa vita, tolta sempre più spesso proprio in odio alla fede: un odio luciferino, il peggiore di tutti.

  2. Gesù ci insegna di NON odiare i nostri nemici, ma di pregare per essi.
    Ammetto che la cosa mi riesce alquanto difficile ,anzi molto difficile, riconosco che ho molta strada da fare nel cammino di santità, al quale siamo tutti chiamati da Cristo.
    Purtroppo negli umani eventi, siccome non sono una “tiepida” (quelli che Gesù vomiterà perchè non sono nè carne nè pesce), mi faccio coinvolgere dalle cose terrene, ma ecco che Gesù viene in mio aiuto, e “sento” che mi custodisce ne Suo Amore e nella Sua pace.

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