“Risonanze impolitiche” di Emanuele Mariani. Un invito a trasformare l’ideale in fatti reali e concreti – di Lino Di Stefano

di Lino Di Stefano

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Risonanze_impoli_4ff3c2f86f99a_220x335L’esordio letterario-filosofico di Emanuele Mariani è avvenuto col corposo ed interessantissimo volume, ‘Kierkegaard e Nietzsche’ – (Il Cristo e l’anticristo), questo il sottotitolo, (Mimesis, Milano, 2009) –;   indagine su due pensatori dissacratori, visti gli esiti dei loro sistemi, da considerarsi tra i più rivoluzionari della propria epoca. Il primo,  viene ritenuto il precursore dell’esistenzialismo, il secondo, dal suo canto,  viene additato come il profeta del vitalismo e dello ‘Uebermensch’, il Superuomo, o ‘Oltreuomo’, come traducono altri studiosi.

La menzionata opera di Mariani, oltre ad essere scritta bene, è pure ricca di riferimenti speculativi   inerenti non solo al pensiero antico, ma anche a quello contemporaneo, senza considerare l’amplissima bibliografia che rende il saggio ancora più completo.

Ora, il giovane studioso si è ripresentato all’attenzione della critica con un aureo lavoro dal significativo titolo, ‘Risonanze impolitiche’, col sottotitolo ‘Riflessioni filosofiche tra ragioni e fedi’ (Mimesis, Milano, 2012).

 Libro che, in via preliminare, si pone il seguente legittimo quesito e vale a dire se sia possibile gettare le fondamenta di una società, scevra da derive malsane, volta alla teorizzazione di una comunità incentrata sulla partecipazione ai medesimi valori di solidarietà, e di rispetto reciproco fra i  suoi componenti visto, altresì, che tale afflato si può costituire soltanto tra persone.

E qui, il pensiero va al grande Manlio Torquato Severino Boezio della ‘gens’ Anicia il quale ha formulato la classica definizione di ‘persona’: “ Persona est – scrive il filosofo romano –  substantia individua rationalis naturae”. Insomma, per Mariani, ed egli ha ragione, una società che sia tale deve essere fondata sul principio dell’ ’intersoggettività’ ; operazione, naturalmente, non facile, considerata l’epoca relativistica in cui viviamo e visto, scrive l’Autore, che l’ “abbattimento di ogni ‘potere’ rimane forse una metafora nichilistica”.

Tant’è vero, egli continua, che bisogna considerare i termini ‘potere, potenza e possibilità’ come equipollenti. Da qui, il vocabolo ‘Politico’ che Mariani scrive con la lettera maiuscola proprio per la sua compiutezza esistenziale considerato, appunto, che la parola ‘Polis’ è un luogo realmente, son sue parole, “dialogico e terapeutico in senso lato” e cioè “comunità del confronto, luogo del dialogo spontaneo, dell’emersione della verità”, valida, s’intende, nella sua parzialità contingente.

Pertanto, occorre offrire ai giovani programmi tali da farli sentire sé stessi dato che una società che sia tale, cioè libera, ha l’obbligo di favorire i rapporti reciproci e che inoltre il ‘Politico’, nel senso citato, deve comportarsi  in maniera morale, religiosa ed estetica; questo perché l’agire impolitico – inteso, appunto,  come luogo in cui etica ed estetica si fondono – favorisce l’interrelazione fra gli individui.

Infatti, prosegue l’Autore, “il discutere ascoltando” è un fatto positivo in quanto esso si risolve anche a vantaggio dell’anima e del corpo costituenti una medesima realtà; e, al riguardo, citando studiosi del calibro di Nietzsche, Kierkegaard, Weil, Foucault ed altri, Mariani asserisce che lo ‘Stato’, concepito come ‘ordine costituito’, rappresenta l’unica maniera per uscire dalla barbarie tenuto conto, altresì, che il cambiamento deve risultare fattibile al di là di ogni catastrofismo.

Da qui, il cosiddetto principio di ‘statuità aperta’ atto a fornire ordine alle proprie strutture  dato che solo in questo modo si evitano i totalitarismi e i dispotismi ove si consideri che il principio di ‘democraticità’ caratterizza una comunità solo se questa si basa sulla collaborazione e sulla libertà di espressione dei suoi aderenti.

Sicché, aggiunge l’Autore, più vige, in una comunità, lo spirito sociale e democratico, più in essa si realizza il ‘bene’. A questo punto, interviene la categoria del religioso nel senso che il rapporto di fede conduce al nesso politico, con la conseguenza che la realtà associativa si prospetta come il vero criterio che sopperisce al vuoto delle istituzioni.

Infatti, insiste Mariani, le forme associative suppliscono alle manchevolezze delle istituzioni anche se con qualche rischio relativo allo ‘status quo’; insomma, l’universo partecipativo con l’ausilio delle famiglie e delle verità di fede costituisce il laboratorio di una visione democratica della vita sebbene esso abbia pure bisogno, oltre che di un’etica individuale, anche di una morale collettiva capace, quest’ultima, di smorzare i conflitti sociali.

L’individuo, infatti, deve essere portatore, non solo di esigenze ‘particulari’ , direbbe il Guicciardini, ma soprattutto di istanze comuni poiché solamente in questo modo, l’etica del dialogo è in grado di postulare, da una parte, le relazioni interpersonali e, dall’altra, il rapporto col ‘trascendente’. L’’alterità’, in definitiva, non è da considerarsi come strumento del soggetto, bensì quale persona da affratellare in seno ad una dialettica in cui, incalza Mariani, “il singolo trova il contraltare del proprio ‘ego’  nell’’ego-altro’ identico e differentissimo dal proprio”.

Convertito, il tutto,  sul piano politico ne deriva che la ‘pars’ si contrappone o dialoga con altre ‘partes’; ma proprio, a questo punto, l’Autore ha l’accortezza di domandarsi se la propria posizione dottrinaria sia  un’’utopia’ visto e considerato che l’operazione da lui proposta è attuabile solo a patto che essa sia tutta da costruire mediante il colloquio, il progetto e l’esperienza vissuta, ‘Erlebniss’, direbbero i tedeschi.

Da qui, l’espressione mariana di ‘oltre morale’, mutuata dal suo Maestro Foucault – al quale egli esplicitamente si ispira -; ‘oltre morale’ capace, nella comunità, di trascendere il semplice dato di fatto, la solo in grado, in altri termini,  di superare gli egoismi, i dualismi e i conflitti sociali.

A questo punto, l’Autore sposta la sua indagine in direzione della dimensione cosiddetta  ‘ludico-patetica’ della vita, tenuto conto che il gioco non è semplice divertimento: esso, anzi, invita al pensiero e, pertanto, l’espressione ‘mettersi in gioco’ assume una valenza decisiva per il superamento dei dualismi, delle scissioni e delle incomprensioni.

Ma Mariani non si ferma qui, perché egli introduce, a questo punto, un’altra questione, quella relativa, cioè, al nesso ‘ragione-fede’; la prima, rispetto alla seconda inesistente come entità ‘altra’, mentre la fede richiedente il rischio – come argomentava Kierkegaard – quantunque, alla fine, esse debbano favorire l’etica dell’incontro in grado di penetrare anche il ‘mistero’.

Solo così, l’’intersoggettività’ risolve l’imprescindibile compito di aggregare, diciamo così, i ‘socii’ nell’ambito di uno spazio condiviso; preludio, quest’ultimo, di una comunità unitaria e molteplice, nello stesso tempo. Ma il nostro studioso non si sofferma soltanto sulle menzionate argomentazioni per la semplice ragione che un’altra tematica gli sta a cuore ed ovverosia quella inerente al passaggio dal principio della ‘persuasione’ al motivo del ‘consenso’.

Problematiche, queste ultime, che hanno origini lontane e che affondano le radici nel pensiero classico greco. E qui, valgano per tutti, gli esempi di Socrate e dei Sofisti colla differenza, però, che questi ultimi erano dei ciarlatani, mentre l’Ateniese ambiva a presentarsi nelle vesti di autentico medico dell’anima, sempre pronto ad abbattere la presunzione degli pseudo-sapienti.

E, al riguardo, Emanuele Mariani inserisce nel suo discorso il cosiddetto ‘Manifesto di Simone Weil’ ,volto a sostituire i partiti politici in quanto, parole della studiosa francese, essi “sono organismi pubblicamente, ufficialmente costituiti in maniera tale da uccidere nelle anime il senso della vita e della giustizia”.

I medesimi, infatti, diventano solo fini a sé stessi, ragion per cui l’alternativa, per la pensatrice, sarebbe la creazione di circoli fondati sì sull’affinità – e quindi scevri da fisionomie partitiche – ma pure carichi di sembianze reali. Insomma, secondo lo psicoanalista Erich Fromm, l’autorità irrazionale – fondata sulla forza – dovrebbe essere sostituita dall’autorità razionale basata sulla competenza.

E ciò, in contrapposizione al cosiddetto ‘pensiero debole’ affermatosi a causa del crollo dei valori di cui è priva la società contemporanea; ecco perché l’Autore, tra le valide terapie atte a superare la crisi odierna – afflitta, altresì, dal processo inarrestabile del fenomeno ‘globalizzazione’ – addita la categoria di ‘fede ragionevole’ utile ad introdurre ”meccanismi di trasformazione e risanamento interiore” capaci, cioè, di declinare, egli incalza,  per un verso, il “mondo al plurale” e, per l’altro, un “possibile mondo comune”.

Da ciò, deriva la necessità, sempre secondo Mariani, di un ‘mondo condiviso’  benché esistano due realtà: quella della tradizione la quale esige rispetto e quella delle pretese avanzate dall’attuale collettività globale Ma i problemi non finiscono qui, perché va presa in considerazione anche la centralità dei temi teologici concernenti il rapporto ragione-fede e verità razionale-verità rivelata.

Il tutto anche in riferimento al clima di ‘secolarizzazione’ e di laicizzazione del religioso che domina il mondo intero; e qui, la ‘Polis’, concepita nell’accezione chiarita, torna a giocare un ruolo di sintesi fra i bisogni materiali e gli impulsi spirituali. Il motivo è semplice. Rientrando, la teologia, nel campo politico, essa viene automaticamente a rivendicare l’importanza del fatto religioso mediante un atteggiamento dialogico incaricato di attutire le differenze.

A questo punto, subentrano la filosofia, la morale e la stessa teologia le quali hanno il dovere di cooperare – senza escludere la scienza – alla formazione di un ’homo novus’ idoneo ad instaurare una compagine fraterna in cui il simile  si apra al proprio simile quasi mediante una sorta di slancio vitale, ‘elan vital’ avrebbe detto Bergson, sebbene non manchino gli agguati.

Ma siccome – è doveroso precisare con l’Autore – il cosiddetto ‘post-moderno’ è sempre in agguato, allora fede e ragione si scoprono sempre più affini anche se più incerte per l’ovvio motivo che, appunto, il ‘post-moderno’, trova nella secolarizzazione l’alleato più insidioso e affidabile.

Verso la fine della sua fatica, Mariani introduce l’idea di ‘Kenosis’, ossia il concetto della spoliazione di Dio che si fa uomo, col logico corollario di un riavvicinamento fra cielo e terra, fra azione e parola, fra verbo e carne. Sicché, ad onta di qualche rischio, legato alla ‘Kenosis’, occorre, egli rileva, “ritrovare il senso del compito gioioso emergente dell’evento kenotico”, riappacificando, in definitiva, la terra col proprio cielo.

Il dualismo, infatti, ha condotto e conduce alla conflittualità tra realtà scientifiche e realtà religiose producendo, di conseguenza, incomprensioni e scissioni; a questo punto, Emanuele Mariani si accomiata dal lettore auspicando e rivendicando, nel contempo, la centralità della vita e del sogno quali indispensabili contrappesi idonei a recuperare la speranza in vista di una società migliore, in grado, cioè, di dare scacco a ciò che egli definisce, opportunamente e testualmente, il “volto sordido del potere”.

Partito, com’egli stesso confessa nell’Introduzione, da Michel Foucault, autore che, a suo dire, “più di ogni altro” gli “ha insegnato (…) uno sguardo ampio e libero nelle e attraverso le filosofie, le costruzioni di sapere, le virtù e i pericoli delle relazioni”, Emanuele Mariani ci ha fornito il modello di un sistema socio-politico che pur sfiorando l’utopia, invita a riflettere, son sue parole, che “il superamento del conflitto prevede infatti la reale comunicazione di modo che le asserzioni fondanti, l’uguaglianza e la fratellanza non siano intese e ridotte a mera retorica”

Una dottrina, la sua, che, in ultima istanza, ci invita a trasformare ‘il dover-essere’, ossia l’ideale, in ‘essere’, e quest’ultimo, in fatti reali e concreti.

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