Ritrovare Sciascia per ritrovare Ettore Majorana

Sulla “Domenica del Corriere” del 17 luglio 1938, nella rubrica “Chi l’ha visto”, fu pubblicata, insieme alle note descrittive, la foto del fisico siciliano Ettore Majorana, scomparso pochi mesi prima, nel marzo di quello stesso anno1938. Quella foto mostra un uomo dallo sguardo magnetico, penetrante, consono alla storia che lo riguarda.

È una storia che tocca chi la apprende per la prima volta, forse per il dispiacere che un genio di quella statura sia andato perduto, che non abbia voluto donare al mondo i tesori di sapienza che chiaramente possedeva, che sia stato in definitiva, secondo canoni “normali” di giudizio, un incompiuto. Per quei misteriosi afflati di simpatia che ci legano alle persone senza un preciso perché, a lungo ho coltivato la speranza che Majorana fosse ancora vivo. Non poteva essere morto così, doveva essere fuggito da qualche parte, bisognava cercarlo.

Il libro di Leonardo Sciascia, La scomparsa di Majorana, uscito nel 1975, alimentava la mia speranza. Ebbi l’impressione, leggendolo, che Sciascia fosse motivato dalla stessa ammirazione che anche io provavo per il fisico siciliano. Lo rileggo oggi quel piccolo libro, 95 pagine nell’edizione Adelphi che ho sottomano, e mi pare ancora più bello, più utile a illuminare sia la figura di Majorana, sia la scrittura di Leonardo Sciascia in tutte le caratteristiche migliori dello scrittore siciliano: l’esercizio dell’indagine meticolosa, la passione del mettere insieme i fatti e dipanarne la rete sulla base di una empatia profonda nei confronti dei personaggi descritti, una capacità straordinaria di introspezione psicologica. Per certi versi un’abilità quasi da detective (Sciascia aveva una predilezione per Simenon). Soprattutto lo sguardo indipendente, non conformista, preveggente, come è degli scrittori di razza e degli uomini liberi.

Devo ora dire brevemente di Ettore Majorana perché questo uomo eccezionale non è così conosciuto da rendere superfluo il racconto della sua vicenda terrena. Prendo le notizie biografiche direttamente dal libro di Sciascia. Nato a Catania nel 1906, Ettore fu un bambino prodigio capace di “moltiplicare tra loro due numeri di tre cifre ciascuno; estrarre radici quadrate e cubiche. A tre quattro anni quando ancora i numeri non sapeva leggerli”. Si laureò in Fisica teorica all’Università di Roma nel 1929 con pieni voti e lode.

Dopo la laurea frequentò l’istituto di fisica di Roma in Via Panisperna del quale era leader indiscusso il futuro premio Nobel Enrico Fermi che ne riconobbe immediatamente le doti fuori del comune. Majorana non ne subiva l’ascendente. Famosissimo è il racconto delle gare di calcolo tra i due: “Fermi col regolo calcolatore, alla lavagna o su un foglio; Majorana a memoria, voltandogli le spalle: e quando Fermi diceva ‘sono pronto’, Majorana dava il risultato”.

Si recò in Germania per motivi di studio, conobbe i maggiori fisici del momento, ma l’unico con cui si legò di amicizia e di stima (lui, così introverso e riservato) fu il premio Nobel Werner Heisenberg dal quale fu ricambiato.

Tornato in Italia si isolò per alcuni anni, probabilmente continuando a studiare per suo conto, pubblicando un solo articolo e avendo scarsi rapporti con i suoi colleghi. Finché, senza esserne pienamente convinto, accettò nel 1937 la nomina alla cattedra di fisica teorica dell’Università di Napoli “per chiara fama”, senza cioè la necessità di partecipare a un concorso.

A questo punto la vita conosciuta di Ettore Majorana, all’età di 32 anni sta per concludersi. Dopo pochi mesi di insegnamento, la sera del 25 marzo 1938 alle 22,30 egli si imbarca sul traghetto Napoli Palermo e fa perdere le sue tracce per sempre.

Cosa può aver spinto, si chiede lo scrittore siciliano, un giovane genio all’apice delle sue possibilità di uomo e scienziato a scomparire? Sciascia non crede al suicidio. Ragionando su tutti gli avvenimenti noti della biografia di Majorana, è convinto che egli decise di sottrarsi al ruolo assegnatogli dalle circostanze, dalla famiglia, dai colleghi, dallo stesso suo genio, atterrito dalla consapevolezza che di lì a poco la scienza sarebbe arrivata a costruire la bomba atomica. Il suo talento era tale da consentirgli di prevedere questo esito prima che alle medesime conclusioni arrivassero tutti gli altri suoi colleghi. Perché no se Fermi stesso aveva riconosciuto essere Majorana un genio della grandezza di Galileo e Newton?

Non importa che il fisico Edoardo Amaldi fosse in disaccordo con Sciascia negando la possibilità di una tale premonizione al tempo in cui Majorana scomparve. Noi, che di scienza non sappiamo niente,  pensiamo che la profondità di intelligenza, insieme al suo spirito tormentato e acuto, possano aver consentito al fisico siciliano di presagire la costruzione dell’ordigno anche senza il possesso di tutte le conoscenze tecniche necessarie.

Perciò vogliamo credere all’ipotesi di Leonardo Sciascia e lo seguiamo passo passo quando, raccogliendo il racconto di Laura Fermi, ci dice come Majorana scrivesse sul pacchetto di sigarette formule geniali, le mostrasse ai suoi colleghi, i famosi ragazzi di Via Panisperna, Amaldi, Rasetti, e poi, resistendo al loro entusiasmo, le buttasse via insieme al pacchetto, terminate le sigarette: “Così finì, pensata e calcolata prima che Heisenberg la pubblicasse la teoria, che da Heisenberg prese nome, del nucleo fatto di protoni e neutroni”.

Lo seguiamo quando, a proposito dell’amicizia di Majorana con Heisenberg, l’unico che aveva saputo conquistarla, Sciascia ci dice che con lui “parlava, certamente, di fisica nucleare. Ma, altrettanto certamente, in modo diverso, con diverse implicazioni, di come avrebbe potuto (ed evidentemente non voleva) parlarne con Fermi o con Bohr, coi fisici dell’istituto di Lipsia o con quelli dell’istituto romano (…) e la ragione era, crediamo di intravederla, retrospettivamente, nel fatto che Heisenberg viveva il problema della fisica, la sua ricerca di fisico, dentro un vasto e drammatico contesto di pensiero. Era, per dirla banalmente, un filosofo”.

Ascoltiamo lo scrittore di Racalmuto quando ci riporta, riferendo i ricordi della sorella Maria, che Majorana spesso diceva essere la fisica su una strada sbagliata. E certo, dice Sciascia, “non si riferiva alla ricerca in sé, ai risultati sperimentati o in via di sperimentazione di essa ricerca. Si riferiva forse alla vita e alla morte, voleva forse dire quel che il fisico tedesco Otto Hahn si dice abbia detto quando, al principio del 1939, si cominciò a parlare della ‘liberazione dell’energia atomica’: ‘Ma Dio non può volerlo!’”.

Rimaniamo colpiti quando Sciascia, raccogliendo “sicure, concordi testimonianze” ci dice che in quegli anni, di ritorno dalla Germania e prima del suo incarico all’Università di Napoli, Majorana era e si comportava da uomo spaventato. Lo spavento di chi sapeva e sentiva che qualcosa di profondamente sbagliato stava per accadere come i fatti di lì  a poco avrebbero confermato.

Questo spavento ci pare profondamente umano, come profondamente umana ci pare la fuga, la rinuncia, quando si vede che la strada fino a un certo punto seguita ci allontana dalla nostra natura. L’uomo ha ancora la libertà di dire no quando la scienza esige da lui il tradimento della propria umanità, se essa non può fare a meno di affermarsi senza limiti e senza morale, come oggi pare evidente.   

Quando a Sciascia fu chiesto cosa lo avesse spinto a scrivere di Majorana lo scrittore siciliano rispose, citando Albert Camus, come riportato in epigrafe all’edizione adelphiana del libro: “’Vivere contro un muro è vita da cani. Ebbene, gli uomini della mia generazione e di quella che entra oggi nelle fabbriche e nelle facoltà, hanno vissuto e vivono sempre più come cani’. Grazie anche alla scienza, grazie soprattutto alla scienza”.

Pensiamo che se Sciascia fosse vivo ripeterebbe, passati quasi cinquanta anni, le stesse parole con ancor più convinzione di ieri.

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