di Rodolfo de Mattei
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Nelle ultime settimane i media di tutto il mondo e, con particolare enfasi, le principali testate gay hanno riportato la notizia della morte di Robert Spitzer, psichiatra e professore presso la “Columbia University”, divenuto famoso per essere stato il responsabile dell’eliminazione nel 1973 dell’omosessualità dalla lista delle patologie, elencate all’interno del “Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali” (DSM), redatto dall’American Psychological Association (APA). Grazie a tale decisivo contributo apportato alla causa omosessualista, Spitzer fu immediatamente eletto ad “eroe” della comunità LGBT internazionale, che gli riconobbe il determinante merito di aver, in tal modo, avviato il processo di normalizzazione dell’omosessualità. Non stupisce quindi che il sistema mass-mediatico mondiale abbia riportato la notizia in perfetto stile politically correct, ripetendo ovunque lo stesso refrain, per il quale si doveva essere infinitamente grati allo psichiatra appena scomparso per aver cancellato l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali del “DSM”.
In tale monotono copione, una delle poche voci fuori dal coro ideologico è stata quella di Linda Amed Nicolosi, moglie di Joseph Nicolosi, psicologo clinico statunitense, conosciuto e odiato dagli attivisti gay, per le sue teorie riparative, la quale, avendo avuto modo di conoscere bene Spitzer, ha pubblicato sul quotidiano online “Crisis Magazine“, un ricordo personale del proprio rapporto con il professore della “Columbia”, facendo luce su alcuni aspetti meno noti e, opportunamente taciuti dalla stampa, di Spitzer.
Nel suo articolo, intitolato “The Bob Spitzer I Knew”, la Nicolosi racconta come, circa quindici anni fa, il prestigioso psichiatra, essendo impegnato in uno studio sull’omosessualità, si rivolse a lei, a quel tempo direttrice delle pubblicazioni al “NARTH” (National Association for Research and Therapy of Homosexuality), per avere un aiuto riguardo la formulazione e l’espressione di concetti inerenti all’attrazione tra persone dello stesso sesso. Da tale contatto, si instaurò tra i due una fitta corrispondenza via e-mail, che durò per diversi mesi. Uno scambio epistolare che si rivelò per lei sorprendente in quanto emerse che Spitzer, da lei al tempo considerato uno dei massimi esperti in materia, era, in realtà, pressoché all’oscuro riguardo il tema dell’omosessualità. Scrive infatti la Nicolosi:
«Non solo Spitzer sapeva molto poco circa l’omosessualità (un argomento che sembrava avere poco interesse ad approfondire), ma aveva anche una conoscenza minima, o almeno apparente interesse, per la psicologia psicodinamica. Il che non sarebbe dovuto essere uno shock: dopo tutto, la sua specialità alla Columbia University era la biometria e il suo contributo al manuale psichiatrico è stato quello di padroneggiare il difficile lavoro di definire e categorizzare centinaia di disturbi e pseudo-disturbi in un puzzle in continua evoluzione della semantica».
Quindi, la Nicolosi, dopo aver sottolineato come Spitzer fosse, senza dubbio, un uomo buono, sinceramente orgoglioso del fatto che con la sua decisione del 1973, avesse contribuito ad aiutare le persone LGBT a liberarsi dalla presunta oppressione culturale, ricorda come, fin dal primo contatto, avesse percepito un certo senso di colpa che tormentava lo psichiatra americano. In particolare, scrive la Nicolosi, Spitzer non amava la pressione esercitata all’interno dell’establishment psichiatrico al fine di ostacolare i medici dall’aiutare i pazienti insoddisfatti con le loro attrazioni omosessuali. Una disapprovazione che lo psichiatra le aveva anche confermato in un’intervista, dichiarando:«I pazienti devono avere il diritto, di esplorare il loro potenziale eterosessuale». Tesi, in linea con il pensiero della maggior parte degli psichiatri, che Spitzer aveva ribadito anche in un’altra intervista pubblicata, sempre nel 2001, all’interno del Bollettino “NARTH”, affermando:
«Pensavo che il comportamento omosessuale non potesse essere resistito … che nessuno potesse davvero cambiare il proprio orientamento. Ora credo che ciò sia non veritiero, alcune persone possono e riescono a cambiare».
Spitzer andò avanti con la sua ricerca focalizzata su 200 individui omosessuali, intitolata Can Some Gay Men and Lesbians Change Their Sexual Orientation? 200 Participants Reporting a Change from Homosexual to Heterosexual Orientation, e la conclusione alla quale giunse fu, secondo la Nicolosi, saggia e prudente, oltre che attendibile dal punto di vista scientifico, portandolo a dichiarare nello studio in peer-review, pubblicato sulla prestigiosa rivista “Archives of Sexual Behavior” dell’ottobre 2003:
«Contrariamente al senso comune, alcuni individui altamente motivati, utilizzando una varietà di sforzi di cambiamento, possono raggiungere un cambiamento sostanziale in molteplici indicatori dell’orientamento sessuale e ottenere un buon funzionamento eterosessuale».
Tale inatteso risultato fece sobbalzare la comunità LGBT che, sentendosi tradita dal proprio beniamino, non ci pensò due volte a scatenare un’offensiva d’odio e di boicottaggio nei confronti dell’ex alleato al fine di intimidirlo e indurlo a ritrattare i propri studi.
Lo stesso Spitzer, che aveva tratto le proprie conclusioni scientifiche in maniera onesta, ignorando ingenuamente il modus operandi della lobby omosessualista, rimase totalmente spiazzato e scioccato dalla violenta reazione della comunità LGBT nei suoi confronti. A tale proposito, la Nicolosi racconta, che poco giorni prima della definitiva pubblicazione dello studio, ricevette una chiamata di aiuto in cui Spitzer le confessò la sua voglia di mollare tutto di fronte al polverone scatenatosi:«Stavo rileggendo le e-mail che ho ricevuto e devo ammettere che ho pensato di rinunciare a tutta questa faccenda ….!». La cosa allarmò non poco la Nicolosi, la quale aspettando con ansia il documento che facesse un po’ di chiarezza nell’ambito della letteratura scientifica sull’omosessualità, invitò Spitzer a non fare alcuna marcia indietro.
La replica del professore della “Columbia University” fu tristemente deludente:
«Mi dispiace scontentarti. La mia principale preoccupazione – oltre a tutto ciò che questa storia comporta alla mia reputazione all’interno della comunità scientifica – è che l’effetto di questo studio sia quello di aiutare 5.000 ex-gay o potenziali ex-gay … [mentre] Ho seriamente ferito cinque milioni di omosessuali».
Una risposta sconfortante ma estremamente significativa in quanto metteva “nero su bianco” il reale approccio “scientifico”, a dispetto della verità, con il quale il dott. Spitzer aveva, a suo tempo, affrontato la derubricazione dell’omosessualità dal “DSM”, che pose alla Nicolosi seri e legittimi interrogativi:
«Ma se lo studio aveva detto la verità, perché Spitzer avrebbe dovuto pensare a “chi avrebbe fatto male”? Era da considerare “a chi avrebbe fatto male” (o in questo caso “a chi non sarebbero piaciuti i risultati”), quello che lo aveva spinto a depennare l’omosessualità dall’elenco delle malattie? Aveva davvero così paura dell’opinione pubblica?»
Anche il noto psicologo olandese Gerard van den Aardweg ha commentato la vicenda, raccontando come gli attacchi ai quali Spitzer fu sottoposto lo avessero dissuaso del tutto a continuare ad occuparsi del tema:
«Qualche tempo dopo il suo articolo del 2003 ho avuto una conversazione con lui al telefono. Gli ho chiesto se avrebbe continuato la sua ricerca, o anche se avrebbe cercato di aiutare alcune persone con problemi di omosessualità. La sua risposta fu irremovibile: “no”. Non avrebbe mai più toccato l’argomento, aveva deciso questo dopo i terribili attacchi personali ricevuti dai gay militanti e dai loro sostenitori».
Alla fine Spitzer, sopraffatto dalla violenta bufera omosessualista, scrisse una lettera di ritrattazione del proprio studio alla rivista “Archives of Sexual Behavior”, la quale tuttavia non ne volle sapere, rifiutandosi categoricamente di ritirare il lavoro, in quanto riteneva lo studio scientificamente valido. La particolare modalità di pubblicazione adottata in peer-review stava a significare infatti che la ricerca prima della pubblicazione era dovuta passare per una valutazione eseguita da specialisti del settore al fine di verificarne l’idoneità. Ritrattare in seguito i risultati avrebbe significato delegittimare il lavoro degli specialisti che avevano approvato lo studio, minando in tal modo la credibilità della stessa rivista scientifica.
Per questa ragione, Ken Zucker, direttore di “Archives of Sexual Behavior”, si espresse molto chiaramente sulla vicenda:
«Se Spitzer vuole presentare una lettera in cui dice che non crede più alla sua interpretazione dei propri dati, va bene. Noi lo pubblicheremo. Ma una ritrattazione? Beh, il problema è che il cambiamento di cuore di Spitzer circa l’interpretazione dei dati non è normalmente il genere di cosa che spinge un editor a cancellare il risultato scientifico. In caso di dati analizzati in modo non corretto, si pubblica solitamente un “erratum”, o è possibile ritirare un articolo, se i dati sono stati falsificati. A quanto mi risulta, Spitzer sta solo dicendo che dieci anni dopo vuole ritrattare la sua interpretazione dei dati. Beh, probabilmente dovremmo allora ritirare centinaia di pubblicazioni scientifiche per re-interpretarle, e noi non lo facciamo».
Parole successivamente commentate dallo psicologo americano Christopher H. Rosik:
«Quello che Zucker sta essenzialmente dicendo è che non c’è nessuna giustificazione per una ritrattazione», ricordando come lo stesso Spitzer «ha confermato che stava ricevendo un elevato volume di lettere di odio e rabbia rivolte contro di lui (Spitzer, 2003b; Vonholdt, 2000). (…) Nessuna nuova scoperta scientifica è stata scoperta per screditare la terapia di cambiamento di orientamento sessuale (SOCE). Nessun difetto madornale metodologico è stato identificato. Gli stessi argomenti inoltrati a favore o contro lo studio di un decennio fa, sono ancora in piedi».
La storia di Robert Spitzer è emblematica in quanto egli è stato un indiscusso protagonista del processo di normalizzazione dell’omosessualità. Essa è rivelatrice dell’effettivo clima culturale nel quale sono stati condotti gli sbandierati studi “scientifici” che hanno portato alla eliminazione dell’omosessualità dal “DSM”, arrestando o mettendo il silenziatore su qualsiasi altro tipo di studio discordante. Un vero e proprio regime culturale, fondato sull’imperante diktat omosessualista, perfettamente espresso, tempo fa, dallo psichiatra van den Aardweg, che purtroppo oggi è in vigore con ancora più forza:
«le persone hanno paura di esprimere le loro opinioni sul comportamento omosessuale, i professionisti hanno paura di dissentire dalla “saggezza” ideologica sull’omosessualità, i politici hanno paura di dire qualcosa in pubblico che irriti la comunità gay. L’ideologia dei gay militanti è stata imposta all’Occidente e ciò implica che la ricerca della verità circa l’omosessualità, le sue cause e la sua mutevolezza, è quasi diventata un’attività proibita».
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2 commenti su “Robert Spitzer, lo psichiatra che cercò gli applausi del mondo invece che la verità scientifica – di Rodolfo de Mattei”
Andatevi, a leggere il preziosissimo, EPIPHANIUS, per capire, con chi ci troviamo, a lottare: Deus audiutorium meum intende.
Come stabilire se un metodo, una ricerca ecc. sono scientifici? Soprattutto chi è legittimato a stabilirlo? Come distinguere lo scientifico dal culturale e dal politicamente corretto? La “massa è interessata a queste elecubrazioni? Dove sta la verità? Gli “scienziati” sono al servizio della verità o del potere padrone dei media e del denaro? La celebrità è una malattia che nel tempo presente ha contagiato tutti, in OGNI campo.