di Lino Di Stefano
Civitacampomarano, in provincia di Campobasso, regione Molise, è un ridente ed antico paesetto – di mille abitanti – a 520 m. sul livello del mare, che, tra le altre cose, ha dato i natali a due personaggi illustri: Vincenzo Cuoco (1770-1823) e Gabriele Pepe (1779-1849); i menzionati intellettuali molisani erano anche cugini in primo grado chiamandosi la madre di Pepe Angiola Maria Cuoco. Sicché ci troviamo al cospetto di personalità di rilievo che hanno dato lustro non solo alla loro terra, ma anche all’Italia.
Un caso abbastanza raro che un centro abitato così piccolo – e un po’ all’interno dalla regione, ma non tagliata fuori dai circuiti culturali del tempo – abbia sfornato autori di questo valore. Si pensi, al riguardo, al celebre ‘Cenacolo della Baronessa Frangipane’ che, sullo scorcio del XVIII secolo, ebbe, in particolare, come asse cospirativo e culturale i paesi di Castelbottaccio, Civitacampomarano ed altri centri limitrofi.
Infatti, se è vero che Vincenzo Cuoco -, scrisse i capolavori ‘Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del1799’ (1801), ‘Platone in Italia’(1804) etc., è altrettanto certo che egli fu uomo d’azione anche per i numerosi e prestigiosi incarichi che ricoprì nella Repubblica Cisalpina e nel Regno di Napoli come, ad esempio, quello di Consigliere del Sacro Regio Consiglio e di Consigliere di Stato, per ricordarne qualcuno.
Ma, se il Direttore, a Milano, del ‘Giornale Italiano’ e, nella Capitale del Regno, del ‘Giornale di Napoli’ rimane una stella di prima grandezza, anche Gabriele Pepe fu un personaggio importante; e ciò, non solo per il famoso duello nel quale si misurò, vincendolo, con Alphonse de Lamartine a Firenze il 19 marzo 1826 – e a tale episodio è spesso ancora legata la fama del generale -, ma anche per i rimanenti pregi letterari di cui il Molisano si rese meritevole.
Il Pepe, infatti, redasse, non meno del grande cugino, alcune opere che sono le seguenti: ‘Ragguaglio istorico-fisico del tremuoto accaduto nel Regno di Napoli la sera del 26 luglio 1805’ (1806), ‘Proposta della R. Società economica del Molise intorno ai migliori metodi da adottarsi per la coltura dei terreni’ (1817), per limitarci ad alcune, senza dimenticare l’inedito ‘Galimatias’, una specie di diario cominciato a Bergamo nel 1807; insomma una sorta di miscellanea o, come egli osservava in una nota, datata Gaeta 20 gennaio 1812, un giornale “su cui scrivere avventure, osservazioni, varietà, pensieri”.
E, a proposito di piccoli agglomerati urbani, conosciamo un altro caso relativo a un centro abitato, sempre di un migliaio di abitanti, Bomba, in Provincia di Chieti, dove nacquero due uomini di cultura di prim’ordine: i fratelli Bertrando Spaventa (1817-1883) e Silvio Spaventa (1822-1893). Il primo, celebre esponente del neo-hegelismo napoletano e il secondo, non meno famoso studioso, uomo politico e Ministro della Destra storica. Ciò premesso, torniamo ‘in medias res’ e cioè alla probabile presenza del grande filosofo cattolico italiano, Antonio Rosmini (1797-1855), a Civitacampomarano.
In una confidenza fattami, alcuni anni fa, la prof.ssa Maria Teresa Calzona Lalli,– suo il volume ‘U reddùmele d’a Cavatèlle’ (L’eco della Cavatella, 1993), redatto in dialetto e in italiano – originaria di Civitacampomarano mi informò che, secondo una tradizione orale circolante, allora, nel paese natìo di Cuoco e di Pepe, il filosofo e teologo Antonio Rosmini avrebbe trascorso un breve soggiorno, appunto, a Civitacampomarano. Insomma, qualche contatto col piccolo paese molisano egli l’avrebbe avuto. Siamo nel 1849, ma dal 1823 il pensatore bazzica Roma e, in seguito, l’Italia meridionale.
Appunto, nel 1823 Antonio Rosmini viene ricevuto dal pontefice Pio VII e nel novembre del 1828 è di nuovo a Roma dove pubblica, prima, ‘Le massime di perfezione cristiana’ e, in seguito, il capolavoro ‘Nuovo Saggio sull’Origine delle Idee’ (voll. 4) che suscitano la giusta ammirazione di studiosi del calibro di Galluppi, Gioberti, Manzoni, e Tommaseo. Sicuramente la città eterna e centro della cristianità affascina il Roveretano il quale, dietro sollecitazione di Carlo Alberto – volta a favorire presso il Papa Pio IX un progetto di Confederazione tra i diversi Stati Italiani – nell’agosto del 1848 è di nuovo a Roma.
Il filosofo nutre simpatia per le tesi neo-guelfe, ma il precipitare degli eventi, a causa dell’assassinio del Primo Ministro del Pontefice, Pellegrino Rossi, costringe Pio IX a fuggire a Gaeta. Rosmini segue il Capo della Chiesa cattolica nella cittadina patria dell’interprete di S. Tommaso e vale a dire di Tommaso de Vio (1468-1534), detto il Gaetano. Qui, il Roveretano è costretto a subire l’ostilità degli ambienti conservatori e reazionari, facenti capo al Cardinale Antonelli, sicché si trasferisce temporaneamente a Napoli dove attende alla pubblicazione dei suoi scritti minori.
Il 9 giugno del 1849, l’autore ‘Delle cinque piaghe della Santa Chiesa’, scritte tra il 1832-1833, ma pubblicate nel 1846, è ancora a Gaeta dove incontra Pio IX il quale qualche giorno prima ufficializza la condanna di alcune tesi esposte dal filosofo ; a questo punto, il governo borbonico, senza tanti complimenti – siamo nel luglio dello stesso anno – ingiunge al Roveretano abbandonare il Regno delle Due Sicilie sebbene quegli faccia opera di sottomissione alla Santa Sede con le seguenti parole. “Io voglio appoggiarmi in tutto sull’autorità della Chiesa, e voglio che tutto il mondo sappia che a quest’ autorità io aderisco”.
A luglio, il filosofo lascia Gaeta e, da questo momento, finisce la sua avventura nel Lazio e nel Regno di Napoli; a settembre è nuovamente a Stresa, dove trascorre gli ultimi anni fino alla morte che lo coglie il I^ luglio 1855 dopo diversi malanni e tanti dispiaceri.
Ma, torniamo, adesso, alla confidenza della prof.ssa Calzona la quale suffragava la propria tesi di una breve presenza di Rosmini a Civitacampomarano con l’affermazione che, appunto, nel piccolo centro molisano molte famiglie avevano chiamato le proprie figlie ‘Rosmina’ in ricordo e per rispetto del grande filosofo italiano. Tra l’altro, Civitacampomarano, nel Contado di Molise, allora era parte integrante del Regno di Napoli né la distanza fra la Capitale del Regno, ad onta delle difficoltà logistiche, e la patria di Cuoco e Pepe era così proibitiva.
Rosmini si trattenne a Napoli per quasi sei mesi ragion per cui egli ebbe tutto il tempo, volendolo, per operare qualche escursione in alcune località del Regno considerata, altresì, la sua curiosità intellettuale nell’ambito di un territorio che aveva dato i natali a Sannazaro, Bernini, Salvator Rosa, Bruno, Vico, Cimarosa, Filangieri e numerosi altri e tenuto conto, inoltre, dei tesori artistici, antichi e moderni, in gran copia, presenti in un territorio così vasto e ricco di stimoli, Gaeta compresa la cui storia affonda le radici nel IX secolo ed anche prima.
Ora, che tale nome fosse, fino a non molti anni fa, frequente nel paesetto molisano è un fatto certo quantunque manchino le prove tangibili di un effettivo soggiorno del pensatore ‘in loco’; anche sull’elenco telefonico di Civitacampomarano, fino a non molti anni fa, compariva, e compare ancora, qualche abbonato col nome di ‘Rosmina’ e ciò potrebbe confermare l’opinione della docente e scrittrice Maria Teresa Calzona secondo la quale il filosofo una breve visita – anche se non ne conosciamo i giorni precisi, ma l’anno sì, 1849 – probabilmente la fece nella località dal passato illustre, essendosi, essa, chiamata, prima, Maronea, cittadella sannitica distrutta dai Romani (IV-I sec. a.C.), e, dopo, Campomarano, come si legge in un documento risalente al X secolo.
In due visite da me effettuate nel piccolo centro – data la mia nascita in Molise – ho potuto constatare ‘de visu’ che effettivamente alcune donne civitesi portano ancora con orgoglio tale nome; si tratta, in definitiva, del gentilizio del grande filosofo trentino trasformato in nome e, come tale, di grande efficacia evocativa. In conclusione, dai ‘Diari’ del filosofo da me consultati, tra le varie scorribande per il Regno di Napoli – perché egli si recò a Capua, Caserta, Monte Cassino etc. – è probabile che passò anche per il centro molisano visto che non sempre registrava le località da lui visitate.
Ciò, è anche confermato dal Presidente del Centro Storico Culturale ‘Gaeta’ , Prof. Erasmo Vauro, secondo il quale il Roveretano spesso raggiungeva, in incognito, i diversi luoghi del Regno di Napoli che lo interessavano; dovrebbe essere successo così anche per il grazioso paese di Civitacampomarano. Ed ecco l’affermazione della professoressa Maria Teresa Calzona – cittadina di Civitacampomarano e, pertanto, non sprovveduta, al riguardo, anzi, pure proprietaria di una parte del famoso castello del suo paese; castello risalente al XIV secolo -.
In un capitolo, infatti, del menzionato volume, ‘L’eco della cavatella’ – capitolo, significativamente, intitolato ‘Il ritratto di Rosmina’ – la scrittrice civitese nella nota n. 1 scrive: ” ‘Rosmina’, nome comparso a Civita, da quando ‘Rosmini’, giunto a Roma, si recò quindi a Napoli e restò incuriosito della fervida attività culturale, allora, famosa, di Civita tanto che volle visitare il paese. L’importanza data alla sua visita fu tale che, alcune bimbe nate successivamente si chiamarono in suo onore Rosmina; nome che diverse persone di sesso femminile hanno tutt’ora a Civitacampomarano”. D’altronde, aggiungiamo, non ci si può chiamare Rosmina – nome, tra l’altro, rarissimo, ancora oggi – senza buoni motivi; e nella fattispecie le ragioni ci sono e come.
Sintomatiche, in merito, le affermazioni contenute nella guida intitolata ‘Vita: i personaggi, i luoghi, la storia’, a cura della Pro Loco ‘V. Cuoco’ di Civitacampomarano (1999), dalle quali si desume quanto segue. ”Si spiega pertanto l’eccezionale vivacità culturale che la contraddistingue proprio in quella fase storica segnata dai fermenti rivoluzionari che mutarono la fisionomia dell’intero continente europeo: L’Illuminismo, la Rivoluzione Francese, la Rivoluzione Napoletana del 1799”.
“Notevole fu a Civita la sensibilità alla corrente filosofica vichiana diffusa da un nucleo di intellettuali di estrazione genovesiana (…) ai cui insegnamenti si formò la gioventù locale che annoverava nomi come Vincenzo Cuoco, Gabriele Pepe, Raffaele Pepe e Nicola D’Ascanio. (…) Tali personaggi, rappresentando la punta più avanzata e progressista della borghesia molisana, hanno contribuito notevolmente non solo al dibattito storico-culturale dell’epoca, ma soprattutto a creare quel preclaro filone storico-filosofico del riformismo meridionale: preludio dell’unità nazionale”.
Tali motivi furono più che sufficienti a indurre Antonio Rosmini – per la sua proverbiale grande curiosità intellettuale – a compiere un’escursione nella cittadina di Vincenzo Cuoco e di Gabriele Pepe e di altri eminenti uomini di cultura dell’epoca, visto che non mancò di risiedere a Gaeta e a Napoli e di visitare Caserta, Capua, Montecassino, Pontecorvo, Frosinone, Ferentino, Anagni, Velletri, Palestrina, Albano, Roma ed altre città che lo riportarono alla sua Stresa benché non vi fosse nato.