di Don Marcello Stanzione
Discendente dalla nobile famiglia senese degli Albizzeschi, Bernardino nacque a Massa Marittima l’8 settembre 1380. Giovanissimo perse entrambi i genitori. Trasferitosi in casa delle zie a Siena, venne comunque cresciuto con grande amore ed attenzioni. L’adolescenza, anche in virtù del dramma vissuto, fu terreno fertile per perdersi in un preoccupante lassismo comportamentale. Pur proseguendo con profitto negli studi, Bernardino non disdegnava la mondanità. Del resto, aveva le possibilità economiche per concedersi ciò che più desiderava.
Fu intorno ai 22 anni che colse i frutti di un lento ma costruttivo mutamento interiore: una sorta di crisi spirituale, grazie alla quale rimise in discussione il suo stile di vita e le sue aspirazioni altruistiche. Maturato il desiderio di prodursi in un cammino di fede e umiltà, entrò in un convento francescano. Le sue forti motivazioni cristiane ne fecero da subito un umile ma tenace sostenitore della vita monastica. Non c’è da meravigliarsi se, in poco tempo, divenne uno dei più accesi fautori della riforma dei francescani osservanti. In breve tempo, le sue pubbliche predicazioni divennero leggendarie. Fortemente legato alla figura del Cristo, il frate arrivò ad inciderne il monogramma JHS su alcune tavolette di legno, che poi sottopose ai fedeli al termine delle prediche, ordinando loro di baciarle. In breve tempo, girando paesi e città, i suoi discorsi acquisirono sempre maggior incisività. Giustizia, Fede, Carità ed Uguaglianza, sono i temi sui quali si accalorò maggiormente.
In special modo, il suo bersaglio preferito erano gli uomini di potere (banchieri, usurai e padroni terrieri), personaggi avidi, dalla cui ricchezza dipendevano le vite di molta povera gente. Questi uomini “senza ali, incapaci di volare via dai loro beni” – diceva – rappresentavano un pessimo esempio di cattolicità: pensando soltanto ai loro interessi, questi presunti cristiani trascuravano in primis il Signore e, di conseguenza, venivano meno ai Comandamenti del Signore. Spese fino al giorno della sua morte tutte le sue energie per l’Uguaglianza, la Carità e la Pace in nome di Dio. E non è evidentemente un caso, se la sua vita volò via mentre si trovava a l’Aquila per uno dei suoi seguitissimi (e temuti dai signori) discorsi pubblici. In quei mesi, nel capoluogo abruzzese (siamo nel 1444) infuriavano durissimi scontri tra i cittadini. Poveri contro ricchi, uomini di potere contrapposti gli uni agli altri per l’accaparramento di beni e di ricchezze. Insomma, l’Aquila era in balia di sangue e violenza. Bernardino, venuto a saperlo, nonostante le precarie condizioni di salute, intendeva prodigarsi per cercare di ristabilire la serenità e decise così di partire alla volta della città abruzzese. Come abbiamo detto, la morte avvenuta il 20 maggio 1444, gli impedì di esaudire questo suo grande desiderio.
Fu allora che avvenne qualcosa di incredibile. Posto a riposare nella bara, il suo corpo prese inspiegabilmente a sanguinare. Tale fu l’eco di tale misterioso evento che, tacitamente, gli aquilani cessarono le loro dispute. Solo quando in città tornò a regnare la pace, il sangue di Bernardino cessò di versare. Anche da morto, l’ostinata fermezza del frate si produsse in una benevola partecipazione, in nome del Signore, alla vita del popolo. La città dell’Aquila, a riconoscenza di questo miracoloso intervento, gli dedicò un bellissimo monumento sepolcrale. Nemmeno sei anni dopo, nel 1450, Bernardino fu canonizzato.
Nelle sue Prediche Volgari sul Campo di Siena il santo francescano parla spesso degli spiriti celesti. Con il suo stile vivace e plastico espone le proprie convinzioni intorno agli angeli, i quali sono continuamente presenti nella sua predicazione in cui espone al popolo le verità centrali della dottrina e della vita cristiana. L’originalità del suo pensiero può essere colta in alcuni aspetti particolari, come quando pone la Natura umana sopra i nove cori angelici, poiché essa forma il decimo coro, al di sopra del quale si trova l’undicesimo coro formato da Maria. Il numero degli angeli è sterminato, sono mille milioni in questa vita e nell’aldilà “decies milia milies centena milia adsistebant ei”(Pred. XLIII, 163). Egli riprende, l’idea origeniana che gli uomini sostituiscono gli angeli caduti, precisando che il sacramento del matrimonio è stato ordinato da Dio propriamente a questo scopo (Pred. XIX, 45-46), per cui gli sposi cristiani “usano il matrimonio, con intenzione d’avere figliuoli che faccino la volontà di Dio, acciò che siene ripiene le sedie della gloria […] luoghi donde cascaro quelli che li furo disubbidienti” ( Pred. XXI, 6-7). Parlando della creazione degli angeli, si dilunga in una piacevole descrizione con pennellate assai colorite, come egli stesso indica suscitando l’ascolto della folla: “Doh, stà attento ch’io ti dirò stamane cose da leccartene il dito” (Pred. XLIII, 8). Distingue tre brevissimi periodi tra la creazione degli angeli, la loro libera scelta e la loro elevazione alla grazia o la loro condanna. La scelta è richiesta dall’incarnazione del Verbo, davanti al quale gli angeli sono stati invitati ad aderirvi o a rifiutarlo (Pred. XLIII, 19). In tal modo il mistero del Verbo incarnato diventa il motivo della glorificazione o della dannazione degli angeli, secondo la concezione proposta già da Bernardino e sviluppata poi da Suarez. Anche la battaglia angelica tra Michele e Lucifero si svolge all’insegna di Gesù Cristo, poiché Michele “avendo cominciato a fare grandissimo romore, subito cavò furore la bandiera di Iesù, e rizzolla su in alto, gridando lui con tutti i suoi compagni: “Viva Iesù Cristo, via Iesù Cristo!” come il Lucifaro udì quelle grida e vidde quella bandiera, s’aparacchiò anche lui per combattere, e cavò fuore la sua spada, e così tutti e suoi sequaci, e in questo modo si fece la battaglia in cielo, per la quale battaglia el Lucifaro fu cacciato con tutti i suoi compagni” (Pred. XLIII, 24-25).
In tale prospettiva cristocentrica si comprende anche il rapporto che unisce gli angeli ; gli angeli buoni infatti scamparono il pericolo e raggiunsero la gloria in virtù di Gesù Cristo, avendo avuto fede, speranza e carità verso di lui (Pred. XLIII, 54 -55). Ugualmente Cristo è il loro salvatore, poiché i meriti della passione di Gesù sono estesi anche agli angeli, i quali “vinsero el Lucifaro per li meriti del sangue dello Agnello, cioè di Iesù incarnato, per li meriti del suo sangue, e per le parole de’ suoi testimoni, cioè de le parole che disse in croce; non amarono l’anime loro insino alla morte, cioè che si disposero di morire per Iesù, se bisognasse” (Pred. XLIII, 87-88). Gli angeli quindi sono totalmente inseriti nell’amore verso Cristo, volendo compiere la sua volontà e riconoscendo loro re, poiché “l’affetto loro era dato tutto a Cristo e in Cristo e per Cristo” (Pred. XLIII, 64). Ne consegue che Cristo è anche il capo degli angeli, i quali costituiscono le sue membra insieme agli uomini partecipando alla sua gloria e potenza (Pred. XLIII, 70-74). In Cristo e per mezzo di Cristo tutti, angeli e uomini, sono stati salvati, poiché Cristo è morto per gli angeli e per gli uomini, volendo rendere tutti partecipi della sua divinità ( Pred. XLIII, 93-95). Egli inoltre sottolinea la superiorità di Maria rispetto agli angeli, riprendendo la prospettiva della teologia orientale. Infatti Maria è posta nell’undicesimo coro, due gradini sopra gli angeli, subito dopo suo Figlio e la Trinità. Per questa ragione tutti i nove cori angelici stanno intorno a Maria, giubilando, cantando, danzando, facendole cerchio (Pred. I,69). Maria è anche la loro signora, poiché partecipa della signoria di Dio, in quanto è madre di colui che è Signore di tutte le cose create. E’ signora di ciò che è sopra e sotto la terra, degli angeli e dei demoni, e in un certo senso, anche Dio le è soggetto quale Figlio (Pred. XXIV, 22-24). Esiste pertanto una enorme differenza tra la gloria di Maria e quella degli angeli, tra la sua conoscenza e la loro conoscenza (Pred. XXIV, 35). Ugualmente si deve dire dell’intercessione di Maria rispetto a quella degli angeli, in quanto Dio “più l’ha cara e più è esaudita, che tutte l’orazioni che ma’ feceno o fanno o faranno tutti gli apostoli, tutti li martiri e tutti li confessori e tutti i vergini e tutti i Serafini e tutti i Cherubini e Troni e Dominazioni e Podestà e Virtù e Arcangioli e tutte le l’anime giuste” (Pred. XXV, 15).
Per quanto riguarda la missione degli angeli, parla di diversi modi o tipi: una prima missione si attua quando gli angioli c’inducano e spingono e c’illuminano in tutte quelle cose che noi doviamo fare” (Pred. II, 17). Tuttavia essi non tolgono all’uomo il libero arbitrio. Infatti l’anima umana è al di sopra di tutte le realtà corporee, anche al di sopra delle costellazioni , possedendo la libertà dello spirito (Pred. II, 22-40.41). La seconda missione è quella della “refrenazione angelica”, nel senso che l’angelo viene mandato in aiuto all’uomo per superarte le tentazioni o per farlo rialzare dopo che è caduto (Pred. II, 50-57). La terza missione è quella della salvazione angelica”, nel senso che l’angelo porta aiuto a colui che fa il cammino spirituale, sia all’incipiente sia al proficiente sia al perfetto (Pred. II, 66-69). Infine gli angeli operano “la invocazione”, cioè pongono il loro fuoco ardente nell’uomo. Sono tre le caratteristiche del fuoco: vigore operante, calore riscaldante e splendore radiante; esse corrispondono alle azioni delle tre gerarchie angeliche, ognuna delle quali è composta di tre cori. Allora “el primo coro d’angioli ci inducono a operare bene, e a questo ci danno vigore. El sicondo coro di queati angioli ci danno la volontà buona a far bene con calore. El terzo coro, più perfetto, ci danno splendore a cognosciare il bene” (Pred. XLIII, 169). Bernardino poi descrive ogni singolo coro, elevandosi in profonde emozioni spirituali, fino alla contemplazione luminosa del mistero di Dio per effondersi nel suo amore estasiante, insieme ai cherubini e ai serafini, il, cui “operare non è altro che gridare a Dio: Amore, amore, amore, amore!”.
Ecco cosa San Bernardino afferma sulla natura angelica nella predica XLIII pronunciata il 29 settembre 1427:
“ Facis angelos tuos spiritus, et ministros tuos ignem urentem” (Psalmus David, CIII). Le parole prealegate so ‘ di Davit profeta nel salmo centesimo terzo, e volgarmente in sentenzia dicono così: “Tu Idio fai i tuoi angioli spiriti, e ministri tuoi pure gli angioli, fuoco ardente”. Io ho cercati molti detti, i quali trattano de li angioli, e non n’ho trovato niuno che parli tanto alto e bene, quanto questo; però che se tu raguardi in questo parlare, tu ci vedi: primo, in quanto in noi. In quanto in Dio vedi, prima de la criazione loro: “Facis angelos tuos spiritus”. In quanto in loro, quello che e’ fanno: vedi l’aministrazione, “et ministros tuos”. In quanto quello che e’ fanno a noi, invocazione: “ignem urentem; fuoco ardente”. In Dio creazione, a Dio ministrazione, e in noi invocazione. E non fate come voi faceste ieri, e non mi perdare e non mi lassare; che se tu mi lassi, tu mi perdarai e non mi trovarai; però che questa è una materia sottile e gentile, ed è come una scala atta a volere salire a vita etterna. Chi ha la intelligenzia gentile, cavi fuore e suoi feruzzi, e stia attento. Quanto ch’è a la prima parte, che è de la criazione loro, noi la passeremo tosto e breve, però che altra volta ne dissi. E impararai quanta quantità d’angioli so’, e fa’ la ragione, se tu puoi, e terrai da mano dritta e da sinistra co l’albaco tuo de le dita e de la mano. Prima , vediamo de la creazione loro, come furono fatti da Dio: “Facis angelos tuos spiritus”. Sai come e’ furo fatti da Dio? “Dixit, et facta sunt. Elli disse, a la natura loro, egli gli fece tanto nobili, quanto mai si potesse dire. El modo che Idio tenne, non fu se non “fiat”, e furo fatti in tanto spazio, quanto a dire lui “fiat”. Pensa ora tu quanto brevissimo spazio fu quello de la criazione loro”.