di P. Giovanni Cavalcoli, OP
Un umile frate cappuccino e un sommo pastore della Chiesa: quale diversità di vocazioni, di carismi, di ministeri! Eppure, Santi tutti e due! E’ questa, una delle meraviglie della santità: l’essenziale concordia ed unità tra due persone circa i valori fondamentali della fede, vissuti nelle modalità più diverse e a volte apparentemente contrastanti. Ed anche nei Santi ogni tanto qualche conflitto non manca, come per esempio il famoso contrasto tra S.Agostino e S.Girolamo, o tra S.Filippo Neri e S.Camillo de’ Lellis, o tra S.Pio X e il Card.Ferrari e il Servo di Dio Joseph Lagrange, OP.
Molti sono gli aspetti di questi due Santi, che evidentemente non possono essere trattati nello spazio di questo breve articolo. Vorrei fermarmi solo su di uno, ma estremamente ricco ed importante, che costituisce purtroppo un pomo di discordia all’interno della Chiesa di oggi: la concezione del sacerdozio secondo il Concilio Vaticano II, con particolare riferimento alla missione dottrinale del sacerdote.
Padre Pio morì nel 1968, proprio l’anno in cui esplose la “contestazione” nella Chiesa – pensiamo solo al dramma che fece seguito alla pubblicazione dell’enciclica “Humanae vitae” – contestazione provocata da una falsa interpretazione del Concilio, visto come epocale moto di rottura con tutto il cristianesimo precedente.
Padre Pio non pare che abbia preso posizioni particolarmente significative nei confronti del Concilio. Supponiamo che egli lo abbia accolto da vero figlio obbediente della Chiesa, come egli è sempre stato anche in grado eroico. Ma non risulta che egli ne abbia ripreso i temi innovativi, per condurli ad ulteriore sviluppi. Non era questa la sua missione. Padre Pio, vissuto sempre nella piena ortodossia, non fu un teologo, ma un perfetto e puro ministro di Cristo, “ministro del Sangue”, come avrebbe detto S.Caterina, tutto concentrato sui tre elementi essenziali del sacerdozio: la Messa, che consacra il Corpo reale del Signore, la Confessione e la carità verso i poveri e i sofferenti, che costituiscono la cura del Corpo mistico di Cristo.
Quanto alla Messa riformata, che già subito dopo il Concilio si stava profilando, egli chiese ed ottenne dai Superiori il permesso di continuare con quella del preconcilio, senza alcun disprezzo peraltro verso quella che sarebbe stata chiamata la “Messa di Paolo VI”.
Entrambi furono innamorati della Santa Messa: Padre Pio nell’accentuare il valore tradizionale del sacrificio e dell’adorazione; Papa Giovanni, senz’affatto escludere questi elementi essenziali e perenni, nella ricerca di una forma nuova di liturgia o di cerimoniale che fosse più accessibile e comprensibile all’uomo d’oggi assetato sì di Dio, ma anche di comunione fraterna e di speranza in un futuro di pace e di giustizia.
Padre Pio e Giovanni XXIII: due figure, come ho detto, assai diverse di pastori, di sacerdoti e di maestri della fede. Entrambi furono profeti, ma in modo molto diverso: Padre Pio nel senso prettamente carismatico e miracoloso, come predizione di atti liberi delle singole persone; Papa Giovanni come annunciatore di una “nuova Pentecoste”, che avrebbe dovuto essere, ma che è stata realizzata solo in parte.
Entrambi furono pastori energici, zelanti e dal respiro universale: Padre Pio, che attirava anime da tutto il mondo, senza sdegnare, quando occorreva, una giusta e salutare severità; Papa Giovanni, aperto a tutto il mondo, più attento al dialogo con l’uomo d’oggi, cattolico o non cattolico, credente o non credente, purchè di buona volontà e aperto alla verità. Padre Pio leggeva nei cuori; Papa Giovanni, nei segni dei tempi, alla luce di una teologia della storia ispirata al Vangelo.
Entrambi furono taumaturghi: Padre Pio nel senso letterale del compimento di miracoli fisici; Papa Giovanni, nell’aver promosso quel miracolo ecclesiale di sapienza e rinnovamento spirituale che è stato il Concilio Vaticano II, la cui forza innovativa il Maritain paragonò al “fuoco dello Spirito Santo” nel suo famoso libro, proprio del 1966, Le paysan de la Garonne, anche se purtroppo, dopo quasi cinquant’anni di vita ecclesiale, bisogna dire con dolore e quasi sgomento che le proposte conciliari sono state in gran parte mistificate o non attuate.
Entrambi furono servi dei poveri: Padre Pio, nel liberare le anime dal demonio ed arricchirle con i doni della divina misericordia soprattutto nel sacramento della Penitenza, senza escludere l’attenzione ai poveri in senso materiale (vedi la Casa Sollievo della Sofferenza); Papa Giovanni nell’aver promosso, mediante il Concilio, un nuovo e più efficace modo di annunciare il Vangelo ai poveri di tutto il mondo, secondo le necessità del nostro tempo.
Entrambi furono uomini della speranza e dell’avvento del Regno di Dio: Padre Pio, nel farlo gustare nell’intimo dell’anima liberata dal peccato e invasa dallo Spirito Santo; Papa Giovanni, nel promuovere quel Concilio che ha voluto far pregustare all’uomo sin da quaggiù, sia pur sempre grazie alla Croce di Cristo, la pienezza escatologica della finale risurrezione e della “pacem in terris”, effetto di “cieli nuovi” e della “terra nuova”.
Entrambi preoccupati della Tradizione dottrinale da conservare intatta e da trasmettere intatta alle future generazioni; Padre Pio nell’esercizio quotidiano del sacro ministero alle singole anime; Papa Giovanni con l’intento di presentare al mondo moderno l’immutabile deposito della divina Rivelazione con un linguaggio moderno, comprensibile e adatto all’uomo d’oggi. Un linguaggio pastorale, quello del Concilio, di tipo più biblico, omiletico e patristico, non solo per gli insegnamenti prettamente pastorali, ma anche per quelli dogmatici, rinunciando ad una certa terminologia tradizionale di tipo tecnico, scolastico o dogmatico. Del resto lo stesso linguaggio pastorale, anche se più improntato alla tradizione, era pure quello di Padre Pio.
Con Paolo VI però i Padri del Concilio, sempre sotto l’assistenza dello Spirito Santo, non si accontentarono della prospettiva o dei compiti indicati da Giovanni XXIII, ma elaborano nuove dottrine, non certo in rottura con quelle del passato, ma anzi, come loro, omogenei sviluppi ed esplicitazioni, che facevano avanzare la stessa conoscenza del Vangelo e della divina Rivelazione.
Padre Pio, come è noto, non pubblicò mai nulla, ma il suo messaggio evangelico è nel cuore di milioni di coscienze che gli sono per sempre riconoscenti. Padre Pio semmai infastidiva ed irritava quei falsi interpreti del Concilio che volevano ridurre il sacerdote ad un semplice faccendiere o “presidente dell’assemblea”, togliendogli la sacralità redentiva soprannaturale della sua missione e il suo essere un alter Christus.
Padre Pio per costoro era un insopportabile richiamo alla loro coscienza e doveva quindi essere fatto tacere, calunniato e messo da parte. E ciò che sorprende, ma poi non più di tanto, a questo riguardo, è che questa ostilità al Santo Cappuccino non nasce col Concilio, ma era giesistita da tempo sin dall’epoca di un Benedetto XV o Pio XII che pur gli erano favorevoli. E dovera sorta tale ostilità? Incredibilmente nel Sant’Offizio, l’organo principale dell’attività magisteriale del Papa, organo che peraltro in questa circostanza mostrava di uscire dalle sue competenze, che erano propriamente quelle di custodire la purezza della fede e non di intervenire e punire singoli fedeli per motivi disciplinari o comportamentali.
Infatti a Padre Pio nessuno mai ebbe l’audacia di contestare errori nella dottrina della fede, capo d’accusa, questo, che solo avrebbe giustificato un ricorso appropriato al Sant’Offizio. Chi dunque ha deferito Padre Pio al Sant’Offizio, ha mostrato nei confronti del povero frate una scandalosa slealtà ed un ingiustificato abuso di potere ingigantendo in modo spropositato accuse di tipo semplicemente comportamentale già peraltro false di per se stesse.
Questo passo si sarebbe dovuto fare nei confronti del competente ufficio romano, che giudicava le cause disciplinari dei religiosi o allo stesso vescovo del luogo, la cui autorità sarebbe bastata a mio giudizio a prendere provvedimenti di quel tipo. Invece si è voluto farla in grande come se si trattasse di una questione che coinvolgeva il bene della Chiesa intera, ma tale passo falso è poi stato pagato caro dai responsabili di simili indegne azioni, grazie alla successiva canonizzazione del Cappuccino. Il Sant’Offizio avrebbe fatto meglio ad interessarsi di tipi come Rahner, il quale intanto, da molti ingenuamente riverito, nascostamente lavorava per la rovina della fede.
Infatti, con tali suoi interventi, il Sant’Offizio, dovendo successivamente ritrattare i giudizi negativi su Padre Pio in occasione del processo di canonizzazione, ha gettato un’ombra sul suo prestigio facendo pensare ad alcuni che tale supremo Ufficio possa rimangiarsi anche delle condanne di tipo dottrinale, cosa assolutamente impensabile, perché comporterebbe il fatto che la Chiesa erri in materia di fede. Di fatto la Chiesa in tutto il corso della sua storia non si è mai rimangiata delle condanne per eresia o di tipo dottrinale.
Ciò che quindi bisogna urgentemente fare è di avvicinare tra di loro queste due grandi figure di Santi e mostrare, al di là di qualche eventuale irrilevante reciproca discrepanza, la profonda reciprocità spirituale, dottrinale, ecclesiale e sacerdotale che li unisce “in un cuor solo e un’anima sola”. Padre Pio, certo, più custode della Tradizione; Papa Giovanni, lanciato verso il futuro, ma un futuro che è precisamente sviluppo coerente della Tradizione, fondato sulla verità immutabile del deposito rivelato (“le mie parole non passeranno”), per non essere un salto nel buio o rovinosa decadenza o abbietto tradimento.
Trovare questa profonda convergenza tra i due Santi, al di là delle loro legittime differenze, è una delle strade che conducono la cattolicità di oggi a ritrovare quell’unità di fede e di condotta, che indubbiamente esisteva prima del Concilio, seppure tra tanti difetti, e che si è drammaticamente rotta dopo il Concilio non certo per colpa del Concilio, ma per una ben orchestrata manovra – la cosa sta venendo sempre meglio alla luce nei più recenti studi storici (vedi De Mattei) -, proveniente soprattutto dal centro-Europa protestante, relativista e massonico, operazione che per la sua raffinata organizzazione, seducente fascinosità e potente efficacia (grossi mezzi finanziari), non esiterei a chiamare satanica.
Del resto, che c’è da stupirsi? Non dice forse l’Apocalisse che la “Donna”, ossia la Chiesa combatte contro il “Drago Rosso”, ossia il demonio? Nulla di nuovo sotto il sole e ciò andrà avanti fino alla fine del mondo, sino alla vittoria finale della Chiesa che poi è la vittoria dei Cristo. Si tratta solo di scegliere con chi stare.
Bologna, 20 agosto 2011