di Vincenzo Opportuno
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Il nome di Aleksandr Isaevic Solzenicyn viene normalmente associato alla tragedia dei Gulag e della persecuzione sovietica degli intellettuali dissidenti durante la guerra fredda. Ma Solzenicyn non è solamente lo scrittore che dando alle stampe Arcipelago Gulag ha per primo avuto il coraggio di rompere il silenzio sulla realtà dei campi di concentramento in Unione Sovietica, mostrando – anche a chi in Occidente preferiva non vedere – quale fosse il prezzo della libertà nella patria della rivoluzione; egli è anche un pensatore che, partendo da una interpretazione cristiana della storia, ha individuato nel materialismo ateo nato nell’epoca moderna, la matrice comune di una crisi antropologica che ha investito tanto il mondo comunista quanto quello occidentale e che risulta ancora ben presente oggi, nella nostra società dominata dal capitalismo democratico.
La vita
Solzenicyn nasce a Kislovodsk nel Caucaso l’11 dicembre 1918. Il padre era morto pochi mesi prima della sua nascita in un incidente di caccia. La madre rimasta sola si trasferisce col piccolo a Rostov sul Don dove vivranno in condizioni molto difficili a seguito degli espropri subiti da parte del regime. Nonostante le difficoltà Aleksàndr continua gli studi e si laurea in matematica e fisica nel 1941, dopo aver seguito anche corsi di filosofia e letteratura.
Durante la seconda guerra mondiale serve nell’Armata Rossa, diventando tenente di artiglieria e poi, per il valore dimostrato nella battaglie di Kursk, sul Dnepr e in Prussia orientale, capitano. Viene decorato due volte e proposto per l’Ordine della Bandiera Rossa. Eppure il riconoscimento dei suoi meriti militari al servizio del paese, precede di pochissimo il suo arresto da parte della polizia politica, avvenuto il 9 febbraio del 1945, per aver criticato Stalin in una corrispondenza privata con un amico. E’ il primo urto con il regime e l’inizio di una storia, per molti aspetti eroica, di resistenza al totalitarismo comunista.
Solzenicyn che era stato educato ai princìpi della rivoluzione comunista, princìpi cha aveva fino ad allora in qualche misura accettato e fatto propri, si trova suo malgrado nella drammatica condizione di “nemico della rivoluzione”. E’ condannato ad 8 anni di lavori forzati, terminati i quali dovrà scontare la pena del confino perpetuo. Durante i lunghi anni da recluso, segnati da fatiche e sofferenze che resteranno impresse in lui in maniera indelebile, Solzenicyn perde completamente la fiducia nel regime comunista e comincia a farsi strada in lui una nuova coscienza che lo porterà ad elaborare una critica al sistema comunista che svilupperà poi nel corso di tutta la sua vita successiva. E’ in questo periodo di prigionia che si riavvicina alla fede ortodossa della sua infanzia, alla quale era stato iniziato dalla madre.
Terminati i lavori forzati, viene confinato nella piccola cittadina di Kok Terek, nell’attuale Kazakistan, dove per un periodo si dedica al lavoro di insegnante nella scuola del paese. La sera, nel tempo libero, lavora, scrive, continuando a coltivare instancabilmente la sua vocazione per la letteratura. E’ allora che dovrà affrontare anche la prova della malattia: si ammala di cancro e ottiene dall’autorità il permesso di curarsi a Tashkent. L’esperienza della malattia e del ricovero in ospedale sono presenti nel libro Divisione Cancro, scritto tra il 1963 e il 1967, che tenterà invano di far pubblicare in patria.
Dopo la morte di Stalin, attenuatasi la morsa della repressione, torna nella Russia europea e nel 1963 riesce a far pubblicare nella rivista Novyj mir il libro Una giornata di Ivan Denisovic. L’ opera, che descrive la giornata lavorativa di un prigioniero in un campo di lavoro, ha subito un grande successo sia in Russia che in Occidente e la sua pubblicazione viene vista come un importante segnale di apertura alla libertà di espressione dopo il periodo della censura, delle purghe e delle deportazioni di massa.
Tuttavia alla morte di Kruschev, nel 1964, in Unione Sovietica si assiste ad un nuovo periodo di eclisse della pur limitata libertà e dal 1966 Solzenicyn non potrà più pubblicare in patria. In questo periodo intrattiene contatti clandestini con altri dissidenti ed è costantemente sorvegliato dal Kgb, il quale proverà anche ad avvelenarlo. Nonostante tutto cerca con difficoltà di continuare a vivere nella sua Russia che continua ad amare anche nella persecuzione e nella sofferenza. Alla persecuzione in Urss corrisponde d’altro canto il riconoscimento all’estero dei suoi meriti di scrittore e del suo coraggio di resistente, sullo sfondo di una guerra fredda che è anche – in quel periodo – una guerra culturale. Il primo cerchio nel 1968 e Divisione Cancro nel 1969 vengono pubblicati in Occidente. Finché nel 1970 – a pochi mesi dalla sua espulsione dall’Unione degli Scrittori dell’Unione Sovietica – a Solzenicyn viene conferito il premio Nobel: non va tuttavia a ritirarlo per paura che le autorità sovietiche non gli permettano di fare ritorno in Russia, mentre la Svezia, timorosa di inimicarsi la superpotenza, rifiuterà la sua proposta di una cerimonia di premiazione presso l’ambasciata svedese a Mosca.
Durante questi anni nel frattempo continua a lavorare al suo libro più importante e più conosciuto “Arcipelago Gulag” : un ampio e dettagliato resoconto dell’universo concentrazionario sovietico e del gigantesco sistema di repressione in Unione Sovietica dall’inizio della Rivoluzione. La realtà del gulag, termine che da allora entra nel linguaggio occidentale, vi è descritta in tutti i suoi aspetti. Il libro si basa sull’esperienza personale di Solzenicyn e su quella di oltre 250 ex prigionieri le cui testimonianze sono state raccolte dall’autore. Nel 1974 quando il manoscritto, pressoché completo, viene scoperto dalla Polizia a seguito di una perquisizione, Solzenicyn – che si era premurato di inviarne una copia in occidente – autorizza la pubblicazione dell’opera all’estero. E’ l’episodio decisivo che le autorità sovietiche attendevano da tempo: dopo un mese Solzenicyn è arrestato, espulso dal paese, spedito a Francoforte e privato della cittadinanza sovietica.
Negli anni successivi inizia per lo scrittore russo quel lungo periodo di esilio che nell’arco di vent’anni lo porterà dapprima a Zurigo, e poi negli Stati Uniti. Qui vivrà per un periodo all’11 piano della Hoover Tower presso l’università di Stanford e poi a Cavendish nel Vermont dove si trasferirà nel 1976 insieme alla moglie Dimitrievna Svetlova. Nonostante i molti anni relativamente tranquilli vissuti negli Sati Uniti non si abituerà mai del tutto alla sua condizione di esiliato. L’America non è la sua terra e non lo diventerà mai, non imparerà mai bene l’inglese e la nostalgia per la Russia sarà sempre viva in lui.
Sarà soltanto nel 1994 che Solzenicyn finalmente tornerà a vivere in patria, a Mosca, dopo aver compiuto un lungo viaggio che da Vladivostock lo riporterà nella capitale russa. Dopo il suo ritorno in Russia scriverà ancora (1998 “Russia al collasso” e “Due Secoli Insieme”) continuando a condurre una vita appartata. Nel 2007 ricevendo un premio letterario, incontrerà il presidente Putin, del quale apprezzava il tentativo di restaurare l’ orgoglio nazionale russo. Morirà ottantanovenne l’anno successivo.
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La lezione di Harvard
Nel 1978 Solzenicyn è invitato a tenere la lezione di apertura dell’anno accademico ad Harvard. Il discorso, tenuto in Russo con traduzione simultanea, è breve ma interessante perché racchiude in poche pagine il pensiero di Solzenicyn sul mondo occidentale, del quale era diventato ospite da qualche anno. Dice infatti al suo uditorio che parlerà dell’impressione che il mondo occidentale fa a colui che ne viene in contatto, anche se ciò che dirà potrebbe suonare sgradevole. In questo discorso si esprime con grande franchezza e punta il dito contro alcuni aspetti del modo di vivere occidentale: denuncia in particolare la progressiva riduzione del concetto di moralità a quello di legalità e la conseguente identificazione del lecito con il bene, fenomeno all’origine di una diffusa mediocrità spirituale che rende l’uomo incapace di elevarsi al di sopra di una concezione dei rapporti sociali di tipo legalistico, e in cui concetti come auto-moderazione, rinuncia, sacrificio appaiono incomprensibili. Insiste nel criticare lo strapotere dei mezzi di comunicazione di massa, il cui modo di affrontare i diversi temi sarebbe irrimediabilmente superficiale e frettoloso, sicché finirebbero per generare diseducazione più che informazione: “una persona che conduce una vita dotata di senso – dice a questo proposito – non ha bisogno di questo eccessivo e opprimente flusso di informazioni”; parla della mancanza di coraggio da parte delle elites intellettuali e della classe dirigente europea e americana, criticando la retorica e l’ipocrisia dei “diritti civili”, in nome dei quali si conducono battaglie che spesso indeboliscono la resistenza al fenomeno – anche allora di attualità – del terrorismo.
Ma la parte forse più interessante di questo discorso è quella in cui Solzenicyn istituisce un collegamento tra la crisi del mondo occidentale e quella prodottasi in Russia e nei paesi dell’est europeo a causa del comunismo.
Una crisi comune che, per l’autore di Lenin a Zurigo, ha travolto entrambi i blocchi in cui il mondo degli anni ’70 appariva diviso e le cui radici vanno ricercate agli albori della modernità, in quel pensiero umanistico e rinascimentale, poi approfonditosi in chiave politica con l’illuminismo, in cui si annidano i primi semi di quell’ antropologia senza Dio che caratterizza il mondo contemporaneo.
Il socialismo da un lato e il capitalismo democratico dall’altro sono dunque gli effetti, solo apparentemente contrapposti, di una medesima crisi morale, politica e sociale, che ha le sue radici in quell’ “umanesimo naturalizzato” che lo stesso Marx nel 1844 indicava apertamente come l’elemento costitutivo dell’ideologia comunista. “L’umanesimo infatti – dice Solzenicyn al suo uditorio – pone al centro l’uomo e le sue necessità, ed offre una concezione ottimistica della natura umana, la quale non ospiterebbe dentro di se alcun male, mentre il male proverrebbe dalla società e una volta corretta la società anche l’uomo finirebbe per liberarsi da tutti i suoi difetti ed imperfezioni. (…) Così la coscienza perde ogni riferimento ad un’Entità suprema perfetta (Dio) che limiti le nostre passioni e la nostra irresponsabilità”. “Non è un caso – continua – che tutte le promesse della retorica comunista ruotino attorno all’Uomo (con la lettera maiuscola) e alla sua felicità terrena”. L’umanesimo quindi porta al materialismo e il materialismo affligge tanto il mondo occidentale, sotto forma di brama di guadagno e di frenetica rincorsa all’acquisizione di sempre nuovi beni, quanto il mondo comunista che – pur avendo generato miseria – ha come obiettivo ultimo la liberazione dell’uomo dalla necessità del lavoro, una volta che si sarà realizzata la società perfetta, senza classi, dove a ciascuno sarà dato di godere finalmente di una beatitudine tutta immanente e materiale.
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“Lenin a Zurigo”.
Solzenicyn ha un carattere scrupoloso, detesta l’approssimazione, vuole essere, ed è, affidabile. E’ facile accorgersene leggendo le sue opere in cui la forma letteraria si innesta e fiorisce su uno studio sempre rigoroso ed imparziale dei dati storici. L’Arcipelago – opera in cui la narrazione si mescola al resoconto, l’esperienza autobiografica al saggio storico- ne è un chiaro esempio. Anche quando viene narrata la storia di un personaggio particolare in un momento particolare, come in Lenin a Zurigo, o in Una Giornata di Ivan Denisovic, i fatti descritti appaiono al lettore come frammenti vivi di una vicenda più ampia che, benché lasciata sullo sfondo, il lettore riesce comunque ad intuire con chiarezza, quasi si trattasse del vero, seppur indiretto, oggetto della narrazione. Una letteratura, quindi, sempre profondamente compenetrata di storia, anche quando si sofferma nel raccontare fatti ad un primo sguardo insignificanti o banali. In questo senso, Lenin a Zurigo è più di un romanzo storico, cioè di un romanzo in cui una vicenda inventata, viene collocata dall’autore in un preciso contesto storico e dove tuttavia i fatti storici rimangono semplici riferimenti utili solamente a rendere più vivido e plausibile il racconto; è un libro, invece, in cui la storia si fa romanzo e i fatti storici rappresentano la sostanza stessa della narrazione: personaggi, azioni, parole, situazioni, luoghi, atteggiamenti, caratteri, tutto è reale, vero, storicamente accaduto, ed è presentato in maniera accattivante per il lettore, attraverso una forma letteraria in grado di trasportarlo – come attraverso una macchina del tempo – alla presenza del capo della rivoluzione, nel cuore della sua vita personale e politica, al cospetto dei suoi pensieri, delle sue preoccupazioni, dello stesso suo modo di essere e di pensare. Non si tratta dunque di un romanzo storico ma di una storia in forma di romanzo, del resto fondata su uno studio accurato e minuzioso delle fonti. Più efficacemente di quanto potrebbe fare una documentata e ponderosa biografia dell’intera vita di Lenin, Solzenicyn offre al lettore un primo piano di straordinaria immediatezza del capo bolscevico mentre, esule in Svizzera, continua alacremente a lavorare alla realizzazione della missione che si è dato e che racchiude il senso della sua esistenza: l’avvento della rivoluzione bolscevica in Russia, attraverso il rovesciamento definitivo della monarchia zarista. Così ci troviamo di fronte ad un uomo costantemente e fanaticamente dedito ad elaborare piani, tenere riunioni, impartire lezioni, scrivere saggi, opuscoli, volantini, pamphlet, ad incontrare emissari, a pianificare agitazioni, ad analizzare continuamente l’evolversi degli eventi politici alla ricerca del momento propizio per tentare il colpo di mano. Un uomo le cui numerose qualità personali – prontezza intellettuale, fortezza di spirito, capacità psicologica di penetrare nei pensieri dei propri avversari e di anticiparne le mosse – sono messe al servizio di un fanatismo politico senza compromessi che lo spinge sempre verso l’isolamento e le continue scissioni dalle componenti più moderate del suo stesso partito.
Tra i personaggi che incrociano le vicende di Lenin in questo breve romanzo, la figura forse più interessante e complessa è quella del socialista Izrail’ Lazarevič Gel’fand, più noto come Parvus, che insieme a Trotskij e allo stesso Lenin, fu uno dei maggiori esponenti della cosiddetta “emigrazione”, cioè di quel gruppo di rivoluzionari costretti a lasciare la Russia dopo il fallimento del tentativo di insurrezione del 1905.
Parvus è uno strano esempio di rivoluzionario imprenditore, con un talento non meno sviluppato per gli affari che per la rivoluzione. E’ attraverso la sua impresa di import-export, messa in piedi in Danimarca grazie al suo genio commerciale, che riesce a raccogliere ingenti somme da destinare alla causa della Rivoluzione in Russia. A Lenin lo lega una identica valutazione della migliore strategia da adottare: sostenere la prosecuzione della guerra da parte della Russia contro gli imperi centrali e contemporaneamente, con l’aiuto della Germania, fomentare la rivoluzione In Russia, con l’obbiettivo primario di abbattere lo zarismo una volta per sempre.
Parvus è una figura emblematica di quell’alleanza perversa tra capitalismo finanziario e rivoluzione anticristiana che anche oggi appare ben salda e potente. Un’alleanza sorta all’ombra del liberalismo politico, sviluppatasi particolarmente negli Stati Uniti e che si fa promotrice in tutto il mondo di politiche radicalmente anticristiane. Questo movimento, che dispone di risorse economiche pressoché illimitate, oggi si serve di parole d’ordine come “libertà”, “diritti civili”, “democrazia”, “parità”, per agevolare e consolidare il trionfo di una concezione dell’uomo atea e radicalmente ostile alla Chiesa.
Basti, aprendo una piccola parentesi, pensare a figure controverse come quella di George Soros, ebreo di origine ungherese nazionalizzato americano, tycoon dell’alta finanza, famigerato e scaltrissimo speculatore, amico dell’amministrazione Obama, con un patrimonio personale stimato da Forbes in 20 miliardi di dollari, il quale in questi anni ha destinato centinaia di migliaia di dollari ad associazioni abortiste, che subdolamente si presentano, fin dalle loro denominazioni, come cattoliche: Catholics for choice, Catholics United. Antisraeliano, ambientalista, favorevole alla legalizzazione delle droghe leggere, Soros si professa sul piano filosofico discepolo di Karl Popper, mentre sul piano politico è un sostenitore del processo di integrazione europeo, sul quale ha scritto anche numerosi saggi ed articoli. Fautore e finanziatore della rivoluzione “antirussa” in Georgia, sostiene oggi con cospicui finanziamenti la nuova Ucraina.
L’opera di Solzenicyn e il suo pensiero non sembrano pertanto riducibili al semplice anticomunismo ma hanno radici più profonde e ci parlano delle terribili conseguenze della scelta da parte della società moderna di escludere completamente Dio come riferimento ideale dalla dimensione pubblica e collettiva. Il senso ultimo dell’opera e dell’insegnamento di questo grande scrittore possono quindi essere ben riassunti nella risposta che fornì in un’intervista del 1985: “Più di mezzo secolo fa, quando ero ancora un ragazzo mi ricordo di aver sentito un gran numero di anziani offrire la seguente spiegazione per i grandi disastri che hanno colpito la Russia: “Gli uomini hanno dimenticato Dio, ecco perché tutto questo è accaduto”. Da allora per circa 50 anni ho lavorato sulla storia della nostra rivoluzione, nel frattempo ho letto centinaia di libri, raccolto centinaia di testimonianze, e ho io stesso contribuito con otto volumi allo sforzo di rimuovere le macerie lasciate da quel terremoto. Ma se mi chiedessero oggi di esprimere, nella maniera più concisa possibile, la causa principale della disastrosa rivoluzione che ha ingoiato qualcosa come 60 milioni di persone, io non potrei trovare un modo migliore di rispondere se non ripetendo “Gli uomini hanno dimenticato Dio, ecco perché tutto questo è accaduto” “.
7 commenti su “Solzenicyn. La grande lezione di uno scrittore cristiano – di Vincenzo Opportuno”
Solzhenitsyn e’ certo la maggior figura di scrittore cristiano russo del ‘900 e l’emblema piu’ alto della resistenza anticomunista.Non si deve pero’ pensare che la resistenza fosse limitata ad una ristretta cerchia di intellettuali.Mentre nel 1982 vivevo a Mosca,feci con amici l’immancabile gita al Monastero di Zagorsk (oggi Sergiev Posad ).Ad un certo momento notai un vecchietto seduto su una panchina ai bordi d’un prato,circondato da decine di donne anziane ed una minoranza di uomini anziani e giovani.Leggeva ad alta voce da alcuni quaderni scritti in modo fittissimo (usanza comune per copiare a mano i libri rari ed importanti -usare una macchina da scrivere era molto pericoloso)pensieri religiosi o brani biblici.Intervenne quasi subito la polizia (non KGB)che ebbe un furioso battibecco col vecchietto ed il suo ‘pubblico’,durato insolitamente a lungo.Alla fine l’anziano ed un giovane intorno ai 25 anni furono portati via su due camionette diverse .Non seppi piu’ nulla di loro.
Molto bella questa descrizione della vita di Solzenicyn, della sua grande Fede, sempre vissuta
e testimoniata.
E quanto dice Alessio è impressionante: meno male che appartiene alla “vecchia” Russia!
GRAZIE a Vincenzo Opportuno e ad Alessio!
Bellissimo articolo…come al solito i grandi scrittori russi hanno la capacità di indicarci sempre la radice delle cose.
Ricordate cosa Dostoevskij fa dire al buon servo Grigorij sull’assassino Smerdjakov?
Che non era cattivo ma che poi qualcuno doveva avergli detto che Dio non esisteva e lui che era un po tonto ci aveva creduto.
non dimentichiamo le pagine critiche dedicate da Solzenicyn ai vizi dell’Occidente e il libro ridotto quasi alla clandestinità (lo ha pubblicato “controcorrente”, un piccolo, animoso editore di Napoli) sul travagliato rapporto tra russi ed ebrei
Puo’ gentilmente indicare il nome dell’ animoso editore ed il titolo del libro , Dott. Vassallo ? Grazie !
Il libro si intitola due secoli insieme edito da controcorrente
senza nulla togliere al grande Solzhenitsyn con i suoi innegabili meriti, provate però a studiare anche la nobile figura di TOLSTOJ anche lui molto credente e proteso verso gli ultimi…ha donato la sua vasta proprietaà terriera ai poveri contadini russi di fine ottocento…..ho letto RESURREZIONE una vera miniera spirituale !!