di Piero Laporta
fonte: ItaliaOggi – Gruppo Class
Il governo tecnico, che afferra il potere attraverso l’investitura d’una istituzione legittima, il presidente della repubblica, è una sorte di fase storica come post fascismo?
Occorre riflettere sul tema, senza liquidarlo con faciloneria perché, alla risposta, è connessa una serie di implicazioni importanti.
Il fascismo, è ben noto, ebbe un’investitura da un organismo legittimo, la monarchia sabauda, che fu, piaccia o meno, madre dell’Italia unita, progenitrice quindi della repubblica e madrina giustappunto del fascismo.
Il regime mussoliniano rispondeva (come può testimoniare lo stesso presidente della repubblica Giorgio Napolitano, il quale ne scrisse in proposito) prima a favore ,e poi contro, all’esigenza di preservare la proprietà dalle rivendicazioni dei ceti emergenti, le masse operaie e contadine che esigevano fosse riconosciuta la dignità del loro lavoro e della loro persona.
Per i più giovani, che hanno smarrito la memoria di quei tempi, basti ricordare che un’antenata di un sindaco progressista d’una cittadina garganica dava da mangiare ai braccianti cibo raccolto peggio che dalla spazzatura. E risparmio i dettagli disgustosi.
La repubblica e la democrazia, persa la guerra che difendeva gli interessi di quella nobildonna, parvero una soluzione e lo furono finché non crollò il famigerato Muro.
Il fallimento della prima guerra del Golfo, il cui obiettivo strategico era il monopolio statunitense sulle fonti petrolifere mediorientali e asiatiche, col successivo corrente fallimento afghano, hanno causato agli Stati uniti e alle economie ad essi collegate, una crisi senza precedenti, che questa volta attacca in profondità lo strato intermedio della società, il ceto medio appunto, cerniera fra i ceti produttivi e quelli proletari.
Come il proletariato di un tempo voleva essere protagonista del suo lavoro, il ceto medio oggi esigerebbe, attraverso la democrazia, il controllo delle finanze che egli produce. La cupola elitaria, come la nobiltà di un tempo, non se ne dà per inteso.
Ecco il fiorire di circoli decisionali , più o meno istituzionali e più o meno settari, ruotanti intorno alla finanza, che come il sangue blu, diventa discrimine sociale orizzontale e transnazionale.
Persino la massoneria (tipico strumento associativo dei ceti medio alti) perde importanza e declina, davanti a questi nuovi assetti.
Se fino agli inizi del secolo scorso i ceti elitari erano rappresentati dal notabilato, oggi sono le élites finanziarie la cupola della società al disotto della quale tutto deve essere regolato in funzione dell’empireo superiore.
La difesa di tali interessi, analogamente a quella dei latifondisti agli inizi del secolo scorso, riporta la questione della legittimità del governo alla Marcia su Roma, che oggi avviene attraverso una marcia sulle borse, nella sostanziale incapacità degli organismi di difesa, sia economici e tanto meno militari, di difendere oggi la costituzione repubblicana come ieri quella sabauda.
La vocazione all’unitarietà delle strategia dei fascismi, ancora più evidente nelle oligarchie finanziarie transnazionali, porta verso lo scontro bellico inevitabile fra chi è da una parte e chi dall’altra dello schieramento.
Il fatto che al governo tecnico postfascista l’Italia arrivi per mano di un presidente della repubblica, per altri versi commendevole, il quale ha tuttavia attraversato tutto l’arco di storia che vede l’involuzione post fascista della democrazia, è la conferma che la continuità che Giovanni Spadolini volle vedere dal Risorgimento alla Repubblica, attraverso la Resistenza, ha come architrave il trasformismo, prescritto sotto varie forme da taluni medici non disinteressati, assunto febbrilmente come una droga e sedato col moralismo più o meno indignato.
Ma comunque lo si osservi è la fine di questa democrazia e il presagio di disastri ben peggiori. Gli Usa del nobel per la pace Hussein Barak Obama sono oggi come la Germania nel 1939. E quella Germania pareva invincibile, lo sembrò anche al re e a Mussolini. Il resto è noto.