Storia di una nazione – racconto di Alfonso Indelicato (seconda parte)

Storia di una nazione – seconda parte – per leggere la prima parte, clicca qui

un racconto di Alfonso Indelicato

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zzzzcttrtt… Così, considerato quanto poco durassero i matrimoni, i giovani di quella antica nazione presero a non più contrarne – nella forma sacramentale così come in quella civile – limitandosi a dimorare nella stessa abitazione per il tempo che il reciproco interesse durava.

E quando quest’ultimo aveva termine o si faceva più tenue convertendosi in un mite affetto (perché tale e non altro è  il destino dei sentimenti umani, destino che peraltro in passato non aveva mai impedito solidissimi matrimoni) allora aveva termine anche il dimorare insieme e la connessa farsa di vita familiare.

***

In questo contesto di relazioni evanescenti e orbate di futuro,  in questo diffuso rifiuto di responsabilità in ordine a un vincolo durevole, non poteva che venir meno anche l’interesse per la procreazione e l’educazione della prole. Sembrava, questo, un impegno troppo oneroso per chi non sapeva se il sorgere dell’indomani  lo avrebbe visto ancora insieme al suo convivente. Molteplici furono le motivazioni che si diedero alla spaventosa denatalità che colpì la popolazione, ma tutte erano deboli a fronte di questa: che per concepire la cura e l’educazione di un figlio bisogna credere nella famiglia come in qualcosa di fecondo e durevole, e per l’appunto in questo non si credeva più.

Così tra i due sessi si apriva e poi andava approfondendosi sempre più un baratro che non era fatto soltanto di reciproca incomprensione – questa in  fondo c’era sempre stata, fin dalla notte dei tempi –  ma di un’ostilità più o meno viva a seconda delle circostanze e dei temperamenti.

La diversità tra l’uomo e la donna non era più un dato di natura che complicava i rapporti ma parlava anche di un destino comune: altro non appariva, adesso, che la premessa di un’inimicizia profonda e foriera di drammatici contenziosi, inimicizia che soltanto la passione più intensa poteva per qualche tempo prevenire o attenuare. Ma che non dava scampo, nel tempo, a chi nel momento dell’ardore aveva fantasticato una lunga vita insieme.

Tra le pareti domestiche la donna manifestava un’aggressività sorda, petulante e capziosa, cui l’uomo rispondeva con remissività rassegnata e impotente, poiché  sapeva che l’autorità pubblica, se avesse bussato alla porta, gli avrebbe strappato i figli, la casa e il denaro per consegnarli alla donna, e l’avrebbe precipitato così nella solitudine e nella miseria: preferiva dunque egli vivere silente come sotto un ricatto continuo. Talora però, e man mano sempre più di frequente, egli non sapeva affrontare giudiziosamente la sua condizione, e la rabbia compressa esplodeva in atti  di violenza bestiale. Questo era lo scenario di ogni relazione (ed erano la maggior parte) che andava a finire: centellinate stille di veleno e stolida brutalità.

Di tutto questo che avveniva, in verità, non sarebbe giusto dare la colpa ai singoli. Il cambiamento verificatosi era epocale: in pochissime decine di anni si era percorso un cammino di secoli. Non si può chiedere alla moltitudine l’esercizio della virtù in grado eroico: salvare il proprio matrimonio stringendo i denti quando era presente, comodamente pervia, spalancata, la via d’uscita. La fermezza delle leggi, il biasimo della società: sono questi i fattori che sostengono la coscienza del singolo nel cammino accidentato. Ora l’uno e l’altro non sussistevano più, e la coscienza del singolo, anche quando illuminata da una retta ragione, rimaneva sola in un deserto, nuda e impotente. Non era, insomma, la sostanza umana che era mutata: questa permane uguale nel tempo. Donne che ora contristavano i loro mariti, in altri tempi sarebbero state spose devote; uomini che incrudelivano nei confronti delle spose, le avrebbero tenute care.

E avvenne infine che quanti – tra gli uomini come tra le donne – dentro di sé covavano segretamente qualche inclinazione verso persone dello stesso sesso, diedero corpo a questa inclinazione e conobbero un nuovo genere di amore, il facile e disimpegnato amore del coito sterile, e quanti già lo praticavano, ma con riserbo e intimo imbarazzo, si sentirono, più che giustificati, gli interpreti e quasi i beniamini dei nuovi tempi, tanto numerosa era la compagnia in cui si ritrovavano.

***

“Nonno …”

L’anziano interruppe la lettura e rivolse al ragazzo gli occhi profondi, sormontati da due lunghe sopracciglia oblique il cui colore nerissimo contrastava con la barba quasi candida.

 “Parla pure, Asif”.

“Cosa vuol dire coito?”

In verità, un momento prima di pronunciare quella parola,  l’anziano si era allarmato dentro di sé, e  aveva rapidamente cercato un sinonimo. Non l’aveva però trovato. Ora bisognava in qualche modo rispondere al suo nipotino.

“Vuol dire … quando un maschio e una femmina stanno insieme”.

“Ma insieme come?” insisteva il ragazzino con la petulanza di chi ha intuito di essere alle soglie di scoprire un segreto scabroso.

Il vecchio allora lo fissò brevemente con uno sguardo non tanto severo quanto definitivo, al che il ragazzo subito tacque e riprese il viso dell’attenzione.

… Finché, essendosi gli abitanti di quella nazione ormai avvezzati a ogni mutamento che prima pareva inusitato, e i loro governanti non essendo molto diversi dai governati, senza troppe resistenze furono approvate leggi che permettevano all’uomo di sposarsi con l’uomo, la donna con la donna. E tali leggi consentirono loro ben presto di crescere, se lo gradivano, dei piccoli d’uomo e di chiamarli figli, comunque e dovunque li avessero ricevuti.

Fu in quel torno di anni che si tastò una volta per tutte il tenore della religione diffusa da duemila anni in quella antica nazione. Essa era invero una falsa religione, pur contenendo dei rudimenti di verità che attendevano il loro compimento, quel compimento che ora è finalmente avvenuto grazie alla diffusione del culto del vero Dio. Aveva essa bensì la qualità di ingentilire gli animi, ma i suoi sacerdoti, fosse per il timore di rimanere isolati dalle opinioni comuni, fosse per mera confusione di idee e dottrine, presero a fare proprie tutte le suggestioni che provenivano dal mondo. Tra queste fu appunto quella di considerare il desiderio di persone del proprio sesso simile all’affetto tra un uomo e una donna, poiché veniva comunque chiamato, tale sorta di legame, amore. E così si videro molti sacerdoti benedire nei luoghi sacri quelle unioni, e annotarle nei loro registri.    

Si consumò così in quell’antica nazione la fine della famiglia. E, con essa, della società intesa come una comunità capace di vivere attraverso i tempi mantenendosi fedele a se stessa, alle sue tradizioni. Perché essa era stata il luogo in cui le generazioni si parlavano, e ora questo luogo non c’era più. Sopravviveva un certo numero di esse, ma erano come isole  in mezzo a un mare coperto di detriti galleggianti, insufficienti  a garantire il persistere di quei retaggi che educano i bambini e che i giovani contestano ma finiscono prima o poi per raccogliere. E così le giovani generazioni rimasero come cieche, frantumi umani plasmati dai mezzi di comunicazione e dai loro messaggi multiformi e discordanti.

***

“Fu allora che …”

Il ragazzo, seduto sul basso divanetto del salotto, stava agitandosi già da un po’. Non è facile tenere fermo troppo a lungo un ragazzetto poco più che decenne, per quanto serio e ben disposto ad imparare come Asif.

Egli aveva seguito il racconto dell’anziano con vivo interesse per quasi mezz’ora, poi aveva cominciato a guardare fuori dalla finestra che si affacciava sull’ampia piazza, infine a giocherellare col cellulare che aveva in tasca, peraltro senza osare di estrarlo completamente fuori.

L’anziano sorrise, comprensivo e benevolo. Chiuse il grosso libro che teneva fra le mani e lo posò delicatamente accanto a sé.

“Bene Asif, ora basta così. Riprenderò il racconto, se lo vorrai, domani.”

“Certo nonno, certo che lo voglio … domani.”

zzzzmzznAsif si alzò di scatto dal divanetto e si affacciò alla finestra aperta. Del resto era ora di smettere la lettura: era prossimo il tramonto, e dall’altra parte della piazza, sul minareto che un tempo era la cuspide più alta della cattedrale, fra poco si sarebbe affacciato il muezzin.

“Nonno …”

“Sì?”

“Dimmi solo una cosa: come li abbiamo conquistati?”

Il nonno sorrise nuovamente. Si era alzato in piedi dal folto tappeto sul quale era accovacciato, e con gesti lenti stava spianando la sua lunga veste variopinta con i palmi delle mani.

“Abbiamo detto domani, no?”

“Ma almeno dimmi: li abbiamo sconfitti in una grande battaglia? Come quelle battaglie del tempo antico, quando  i nostri cavalieri uccidevano i nemici che indossavano pesanti armature?”

Il viso di Asif aveva ora un’espressione incuriosita e ansiosa. Il ragazzetto amava il genere di racconti i cui protagonisti sono eroi forti e avventurosi.

“In realtà, Asif, non ci fu nessuna battaglia”.

“E allora, com’è che abbiamo vinto noi?”

L’anziano stava ora tramestando dentro un piccolo armadio istoriato. Ne trasse due tappetini da preghiera e li dispose sul pavimento nella direzione corretta.

“Se mi hai ascoltato, Asif, dovresti aver capito perché non fu necessaria nessuna battaglia”.

Asif, che mentre parlava era rimasto affacciato alla finestra per vedere il muezzin, si girò verso il nonno. Aveva ora la bocca semiaperta, e i suoi grandi occhi neri sembravano inseguire pensieri lontani e sfuggenti. Poi si posarono fermamente sul viso del nonno dai lineamenti scavati e, quando non sorrideva, austeri.

“Non sapevano più combattere?”

La voce del vecchio uscì lieve dalle sue labbra, mentre sollevava leggermente le spalle con un gesto in cui si mescolavano indifferenza e disprezzo.

“Non sapevano per cosa combattere.”

Così disse l’anziano, e si inginocchiò sul suo tappetino, facendo cenno ad Asif di fare altrettanto.

“Nonno, nonno!” esclamò il ragazzo dopo essersi inginocchiato.

Il muezzin s’era infine affacciato sulla balconata del minareto, e si disponeva al suo ufficio.

“Dimmi, Asif”.

“Nella storia che mi stai leggendo si dice che le donne di questa nazione non volevano più bene ai loro mariti.”

“Press’a poco si dice così.”

“Allora, perché quando siamo arrivati qui, hanno voluto subito bene, a noi? Una delle mogli di papà è nata qui …”

“E tuo padre, Asif, non le vuole meno bene di quanto ne vuole a tua madre Karima oppure a Rashida.  Se poi in cuor suo ha una predilezione, non la dimostra. Così deve fare il bravo credente.”

“E allora, nonno, perché?”

Il vecchio sorrise, poi gli sfuggì una specie di ghigno soffocato,  e intanto andava abbozzando dentro di sé la risposta migliore da dare al ragazzo.

Ma non poté appagare la curiosità di Asif: in quel momento si era alzato il grido del muezzin. Risuonava nel cielo terso sopra la vastissima piazza, lungo i portici dell’arengario, e, dall’altro lato, dentro la galleria dalla volta di ferro e di vetro intitolata a un antico monarca, e ne giungevano gli echi fino al massiccio edificio costruito dall’architetto Piermarini. Là dove un tempo – così si dice – si svolgevano empi spettacoli in cui uomini e donne indossavano vesti sgargianti e cantavano a gran voce canti lascivi.

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(fine)

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