“Storie di una casa perduta”, di Alberto Ottaviano. Un affascinante racconto della memoria  –  di Giovanni Lugaresi

Un libro che si raccomanda alla lettura, anche di giovani (o aspiranti) giornalisti: perché imparino ad osservare e… a scrivere.

di Giovanni Lugaresi

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zzottvnQualcuno l’ha detto: spesso si conosce meglio la storia attraverso la letteratura. Ed è vero.

L’osservazione ci è venuta spontanea leggendo un libro di narrativa di un giornalista ormai in anni, di quella generazione cioè che, nata e cresciuta alla macchina per scrivere è arrivata sino al computer, e che in tipografia scendeva a impaginare colonne di piombo e cliché per poi passare (gradualmente, s’intende!) alla impaginazione eseguita sul video.

Diciamo di Alberto Ottaviano da Brescia, una vita al giornale locale, che con questo “Storie di una casa perduta” (Giuliano Ladolfi Editore; euro 14,00), ci accompagna lungo il percorso di una esistenza, di una famiglia, e quindi di una città, di un ambiente, dai primi anni Cinquanta del Novecento a oggi.

E se si è parlato di storia, è appunto in virtù di una narrazione che riguarda anche la città, con i vari suoi aspetti: sociali, culturali, religiosi.

Per cui, non soltanto figure di famiglia e di amici, ma di un ambiente operoso, e dalla forte connotazione religiosa, per così dire, anche per via della presenza del futuro cardinale Giulio Bevilacqua (amico di Giovanni Battista Montini), dei padri dell’Oratorio, della Morcelliana – e qui a noi viene in mente la figura del “prete romano” Giuseppe De Luca, a quella editrice legatissimo, ma questa, come avrebbe detto Kipling, è un’altra storia…

E’ un racconto della memoria che Ottaviano propone su due registri, per così dire: quello del passato legato ai suoi ricordi, e quello di un presente attentamente osservato, giusto il costume dei vecchi giornalisti che si alzavano dalla sedia di redazione per andare “sul fatto”, per vedere, bene osservare, e poi scrivere. Anche il carattere tipografico l’autore l’ha adeguato a questi due registri: i ricordi in tondo, le osservazioni del presente in corsivo.

Alla fine ne esce un affresco, un “amarcord” per dirla alle Fellini, che va al di là del piccolo microcosmo cittadino per allargarsi al nostro mondo urbano, di ciascuno di noi, perché tanti di noi hanno alle spalle una città che pur non essendo Brescia, tanti elementi in comune con la “leonessa” ce li ha.

La memoria come presente del passato (secondo la definizione agostiniana) è espressa in queste pagine con una scorrevolezza narrativa esemplare e con un sentimento del cuore che non scade mai nella retorica. Un pezzo di cronaca che attraverso la prosa di Ottaviano diventa appunto storia. E che si raccomanda magari alla lettura di giovani (o aspiranti) giornalisti: perché imparino ad osservare e… a scrivere.

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