Dopo la pubblicazione dell’articolo di P. Giovanni Cavalcoli, OP, su “Il modernismo di Gustavo Bontadini”, è pervenuta a Riscossa Cristiana una lettera del prof. Marco Berlanda.
Pubblichiamo di seguito la lettera del prof. Berlanda e la risposta di P. Cavalcoli, ringraziando entrambi gli studiosi per il contributo all’approfondimento.
La lettera di Marco Berlanda
FUOCO AMICO CONTRO BONTADINI
di Marco Berlanda
Mi riferisco al contributo del Prof. Giovanni Cavalcoli intitolato “Il modernismo di Gustavo Bontadini“[1] per formulare alcune osservazioni da modesto studioso ed ex allievo di Bontadini.
Mi sembra che gli aspetti positivi da riconoscere all’articolo del prof. Cavalcoli siano, oltre alla chiarezza espositiva e alla scelta di dedicare spazio a un pensatore che merita grande attenzione (come confermato dai contributi scientifici che continuano a essere pubblicati sul suo conto), il riconoscimento dello sforzo messo in atto da Bontadini nel confrontare il tomismo e il pensiero moderno e nel conciliare l’idealismo e il realismo. Inoltre, opportunamente, Cavalcoli aggiunge che “merito indubbio del Bontadini fu quello di voler riproporre la questione dell’essere e quindi di una valida metafisica”.
Tutto il resto mi sembra opinabile, a cominciare dal titolo. Lo dico naturalmente con il massimo rispetto per l’Autore e cercando nel seguito, come è doveroso, di esplicitare le mie ragioni.
La filosofia di Bontadini fu una filosofia e una metafisica, non una teologia o una posizione esegetica. Come ben documentano i suoi biografi (da ultimo Luca Grion), Bontadini fu un fervente cattolico fedele a Santa Romana Chiesa, ma mai scrisse contributi teologici o esegetici in senso proprio. Si occupò di apologetica, e anzi per diversi anni organizzò seminari su questa disciplina, ma per difendere il depositum fidei tradizionale rispetto alle obiezioni dei filosofi e scienziati critici, utilizzando argomenti esclusivamente razionali.
Ritengo che impiegare una categoria di tipo religioso, come quella del Modernismo, per qualificare (o squalificare) una dottrina filosofica, rappresenti in questo caso un accostamento superficiale e una forzatura polemica[2]. Ma soprattutto, al di là delle formule più o meno felici, l’articolo in esame non precisa perché si ritiene che “un aspetto importante dell’attuale modernismo” (si presume teologico) tragga “origine, già dagli anni lontani del fascismo, dall’opera di Gustavo Bontadini”. Quale è il rapporto di condizionamento a cui si pensa? Di relazioni dirette Cavalcoli non se ne mostra alcuna. Del resto non ve ne sono[3]. Forse l’articolo si riferisce a condizionamenti indiretti, cioè tra filosofia di Bontadini e filosofia utilizzata dagli attuali e non meglio precisati teologi modernisti? In effetti è questo l’ambito, quello filosofico, in cui si muove il seguito dell’articolo, e in questo dominio si concentrano i miei rilievi.
In primo luogo Bontadini viene definito “sedicente tomista”. Senonché Bontadini si autodefinì e fu sempre, piuttosto, un neoscolastico o un neoclassico. La differenza non è irrilevante e stupisce che un Autore come il prof. Cavalcoli, formato a questo genere di classificazioni, la trascuri. Si pensi del resto a quanto Bontadini scrisse nel saggio dal titolo significativo Con Tommaso oltre Tommaso (1974).
“Il Bontadini – si legge nell’articolo di Cavalcoli –, benché cattolico e sedicente tomista, in realtà si era lasciato sedurre dall’idealismo panteista hegeliano di Giovanni Gentile”. Ora, a parte il fatto che il panteismo hegeliano fu sensibilmente riformato da Gentile (cfr. La riforma della dialettica hegeliana del 1912), Bontadini fu tutto meno che “sedotto” dalla dimensione immanentistica della filosofia gentiliana. Al contrario, la respinse, se anche solo si pensa allo sforzo critico che egli profuse, con successo, contro l’immanentismo metafisico di Gentile sin dai propri primissimi anni di attività e fino al termine della sua attività (si vedano per esempio il saggio Abbozzo di una critica dell’idealismo immanente, che risale agli anni 1925-1926, quando Bontadini aveva 22-23 anni e non era ancora laureato, o lo scritto La critica negativa dell’immanenza, pubblicato nel 1926. Tra le ultime prese di posizione si rilegga Gentile e la metafisica, del 1977).
Procedo. Che Bontadini apprezzasse la dimensione gnoseologica, non quella metafisica, dell’attualismo, è ben vero, anche se la gnoseologia di Gentile che egli valorizzò ne fu una versione essenzializzata. In questo senso è certo che “egli non nascondeva affatto tale simpatia”, ma era una simpatia verso un attualismo gnoseologico rigorizzato o “mandato in sé” e visto come antidoto allo gnoseologismo dualistico moderno. Anche in questo caso la verità impone di evitare giudizi sommari.
Come il suo maestro Olgiati, prosegue Cavalcoli, “anche Bontadini sentiva questa esigenza di assumere il positivo della filosofia moderna nel tentativo in sé generoso di mettere pace tra realisti ed idealisti e di porre in continuità la filosofia moderna con quella che egli chiamava «filosofia classica», con un’espressione in realtà non molto felice, desunta dalla cultura corrente”. Le cose non stanno esattamente in questi termini. Bontadini, rispetto ad Olgiati, non era tanto interessato ad accogliere specifici elementi positivi delle filosofie moderne che fossero conciliabili col tomismo, quanto soprattutto a mostrare che il ciclo filosofico moderno, polemico con l’epoca classica a partire da Cartesio e sino a Kant, al termine del proprio procedere, con l’idealismo, toglieva se stesso, per così dire, riportando in auge la metafisica classica, o per lo meno la sua possibilità. La discontinuità tra filosofia moderna e periodo precedente veniva superata con l’idealismo, soprattutto attualistico, a patto di spingere un poco oltre anche l’attualismo.
Passando a interrogarsi sulla natura della metafisica classica valorizzata da Bontadini, riconducibile come ispirazione sino a Parmenide, il testo di Cavalcoli afferma che “la concezione parmenidea dell’essere […], secondo Bontadini, era la stessa di S. Tommaso. Da qui il recupero di S. Tommaso, ma un Tommaso non aristotelico, bensì parmenideo: operazione per la verità disperata”. Ma anche in questo caso mi sembra inevitabile dissentire. Mai Bontadini sostenne l’identità fra concezione parmenidea dell’essere e metafisica tomistica, anzi sostenne il contrario (si veda per esempio La concezione classica dell’essere e il contributo del tomismo).
Sentiamo ancora Cavalcoli: Bontadini “credette di poter reimpostare la nuova metafisica dell’essere sulla base dell’immanentismo di origine cartesiana, che era giunto ad Hegel, del quale Gentile era notoriamente seguace in Italia”. Ma come è fattibile, ci chiediamo, perseguire una metafisica della trascendenza basandosi sull’immanentismo? Evidentemente è impossibile, dal momento che si tratta di tesi contraddittorie. Bontadini fu talmente sprovveduto da tentare l’impossibile? In realtà l’articolo parla di immanentismo in una duplice accezione, quella gnoseologica e quella metafisica, rimproverando a Bontadini di aver voluto dimostrare la trascendenza metafisica (di Dio rispetto al mondo) sulla base dell’immanenza gnoseologica (dell’essere rispetto al pensiero).
Dimostrazione impossibile? Il prof. Cavalcoli è di questo avviso, poiché – afferma – “questa trascendenza non è una vera trascendenza, cioè non mette in gioco un Dio reale distinto dall’umano pensiero, ma comporta un Dio meramente pensato o meramente ideale, quindi immanente al pensiero umano ed in ultima analisi prodotto da questo pensiero”. Ora, dico io, si può discutere all’infinito su che cosa l’idealismo e l’attualismo intendano esattamente sostenere a proposito del pensiero, ma certo Bontadini quando, in sede metafisica, pensava a Dio e all’essere si riferiva a qualcosa di reale e non prodotto dal pensiero alla stregua di un ens rationis. Contro l’idealistica creatività del pensiero, del resto, egli si oppose sempre, qualificandola come “retorica”. E difese efficacemente il concetto aristotelico e tomistico dell’intenzionalità. Come si può trascurarlo?
Quanto all’interpretazione bontadiniana dell’idealismo e della relativa concezione del pensiero, il prof. Cavalcoli si limita a richiamare alcuni giudizi tradizionali, che giustappongono realismo e idealismo, senza entrare nel merito dell’esegesi di Bontadini, che meriterebbe ben altra penetrazione.
L’impresa filosofica di filosofia di Bontadini è caratterizzata da “vanità” e “pericolosità”, come ritiene Cavalcoli sulla scia di Cornelio Fabro? Ma ci chiediamo: perché nella discussione filosofica si usano questi toni?
Per Bontadini “l’assoluto è il pensiero”? Sfido il prof. Cavalcoli, autore di questa attribuzione, a mostrare anche un solo passo in cui Bontadini abbia pronunciato un simile giudizio. In realtà Bontadini scrisse e sostenne una cosa ben diversa, cioè che il pensiero è intrascendibile, nel senso che qualsiasi realtà sia posta o immaginata come estranea o trascendente in assoluto rispetto al pensiero, per il fatto stesso di essere posta (dal pensiero), gli risulta non assolutamente estranea, ma in qualche modo, anche se indeterminatamente o in misura minima, intenzionata. Beninteso si parla in questo caso di pensiero non come fenomeno psico-fisico, che in effetti è trasceso in infiniti modi dalla realtà, ma come apertura intenzionale, rappresentativa o logica. Cioè come pensiero in senso proprio. Ciò che è trasceso è invece il mondo e l’esperienza.
Bontadini nega quindi il “Mistero divino nella sua infinità”? Anche in questo caso bisogna dar torto al giudizio affrettato di Cavalcoli. In effetti il pensiero metafisico, condensato nella “protologia” bontadiniana, nel momento in cui afferma dimostrativamente il divino, cioè riconosce Dio come trascendente il mondo e l’esperienza, si rende conto con ciò stesso di cogliere un minimo della realtà divina, sfuggendogli la relativa infinità. Infinità rispetto alla quale il pensiero filosofico deve tacere, riconoscendo i propri limiti. Ciò in coerenza con la tradizione metafisica antica e medievale.
E’ questa una metafisica e gnoseologia “di marca prettamente gentiliano-hegeliana”? Suvvia, prof. Cavalcoli, non confondiamo gnoseologia e metafisica per amore di polemica!
Il prof. Cavalcoli conclude la propria analisi in questi termini: “la proposta bontadiniana di un confronto della filosofia classica con quella moderna è fallita ed è fallita perché Bontadini non si è fatto guidare da S. Tommaso, o quanto meno dal vero S. Tommaso, da sempre raccomandato dalla Chiesa, ma da quello stesso idealismo che doveva essere vagliato alla luce di Tommaso per prenderne il positivo e respingerne il negativo. Invece Bontadini ha assunto l’idealismo acriticamente e in blocco, restando quindi colpito dal veleno in esso contenuto”.
Giudizio ingeneroso e storiograficamente infondato, se si ha la pazienza di rileggere gli scritti bontadiniani e di riconoscere lo sforzo del filosofo milanese di distinguere, nell’ambito dell’idealismo, la giusta critica al dualismo gnoseologico dalla dimensione deteriore o retorica rappresentata dalle dottrine della creatività del pensiero, della dialettica astratto-concreto, delle forme assolute dello spirito, dell’Io trascendentale, dell’antitrascendentistico ecc.
Ma tant’è, talvolta il fuoco amico è più ostile di quello nemico. Parlo di fuoco amico perché il tomista Cavalcoli dovrebbe riconoscere nel neoclassico Bontadini un parente filosofico, un intelligente erede del grande Tommaso, non un suo avversario.
Anche padre Giacon, tomista inflessibile, polemizzò con Bontadini negli anni Trenta. Egli temeva, di fronte alla geniale interpretazione storiografica della filosofia moderna proposta da quest’ultimo, possibili cedimenti teoretici al soggettivismo e all’immanentismo, i quali avrebbero potuto riflettersi anche in campo metafisico. Senonché a partire dagli anni Cinquanta e sino ai primi anni Ottanta Bontadini esplicitò la propria metafisica, che risultò trascendentistica, creazionistica e coerente con la fede cristiana. I timori si confermarono infondati: nessun pericolo per il realismo, per la metafisica creazionistica e per la fede, anzi loro rilancio. Perché anche padre Cavalcoli non ne prende atto e non riconsidera con una disposizione d’animo meno arcigna il contributo di Bontadini, considerato ormai da molti come uno dei maggiori filosofi del Novecento?
Con sincera amicizia.
Marco Berlanda
[1] Comparso sul sito internet www.riscossacristiana.it a fine novembre 2012.
[2] Anche se per Modernismo si intende la componente filosofica del movimento modernista che fiorì tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, descritta dall’enciclica Pascendi (1907) di Pio X, la qualificazione in esame appare arbitraria. A Bontadini fu infatti estranea non solo la teologia, ma anche la filosofia elaborata dai modernisti, né Bontadini fu modernista – per riprendere le altre dimensioni indicate da Pio X come proprie del movimento in questione – neppure quale credente, storico, critico, apologista o riformatore. Lo confermano le sue opere e i biografi.
Più precisamente, in termini filosofici, egli non fu agnostico come i modernisti, se per agnosticismo si intende, come indica la Pascendi, la dottrina per cui “la ragione umana è ristretta interamente entro il campo dei fenomeni, che è quanto dire di quel che apparisce e nel modo in che apparisce: non diritto, non facoltà naturale le concedono di passare più oltre. Per lo che non è dato a lei d’innalzarsi a Dio, né di conoscerne l’esistenza, sia pure per intromessa delle cose visibili”. Né ebbe simpatia per una filosofia della religione basata sulla dottrina modernista dell'”immanenza vitale”, per cui “la fede, inizio e fondamento di ogni religione, deve riporsi in un sentimento che nasca dal bisogno della divinità. Il quale bisogno, non sentendosi dall’uomo se non indeterminate ed acconce circostanze, non può di per sé appartenere al campo della coscienza: ma giace da principio al di sotto della coscienza medesima o, come dicono con vocabolo tolto ad imprestito dalla moderna filosofia, nella subcoscienza, ove la sua radice rimane occulta ed incomprensibile”. Neppure egli condivise l’opinione dei modernisti, per i quali, “essendo Iddio in pari tempo e l’oggetto e la causa della fede, la detta rivelazione è al tempo stesso di Dio e da Dio: ha cioè insieme Iddio e come rivelante e come rivelato. Di qui […] quell’assurdissimo effato dei modernisti che ogni religione, secondo il vario aspetto sotto cui si riguardi, debba dirsi egualmente naturale e soprannaturale”.
[3] Più avanti lo stesso Cavalcoli ammette che la teologia di Bontadini “è in linea con S. Tommaso e la fede cattolica”.
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La risposta di P. Giovanni Cavalcoli, OP
IL CATTOLICESIMO DI GUSTAVO BONTADINI
di P. Giovanni Cavalcoli, OP
Caro Prof. Berlanda,
per quanto riguarda il suo intervento, piuttosto che rispondere alle sue obiezioni, preferisco chiarire il mio pensiero su Bontadini con precise citazioni o posizioni comunemente note. Questo per tre motivi: 1. ritengo in tal modo di essere più chiaro e persuasivo; 2. Le confesso che non ho sempre capito che cosa Lei intende dire, per cui penso che la nostra discussione possa essere sveltita in questo modo e quindi avere maggior vantaggio, piuttosto che se io Le chiedessi spiegazioni, cosa che richiederebbe da parte sua a sua volta un’ulteriore risposta; 3. Lei tocca alcuni punti che mi sembrano di secondaria importanza. Ne ho preso atto, ma ritengo che non sia il caso di interloquire. Mettiamoci invece su di un terreno sul quale è facile intenderci sul significato di ciò che diciamo. In tal modo sarà più facile il confronto delle idee. Inoltre credo che, con quanto sto per dire, toccheremo il vero nodo della questione.
Per quanto dunque riguarda il “modernismo” di Bontadini, non intendevo collegarlo in tutto e per tutto a quello condannato da S.Pio X, benché non sarebbe difficile trovare agganci, soprattutto laddove il Papa condanna l’immanentismo. Lo stesso idealismo è una forma di fenomenismo. Lo so che Bontadini è più filosofo che teologo, ma Lei sa bene che la Pascendi condanna anche la filosofia del modernismo come fondamento della teologia modernista. Quanto a questioni esegetiche, non entro in questo campo, perché neppure io sono un biblista.
Mi riferivo invece ad un concetto più ampio di modernismo, a una forma di modernismo che oggi si sta diffondendo, e che consiste in quella forma mentis per la quale ci si ritiene “moderni”, eventualmente in linea con l’ammodernamento o il progresso promossi dal Concilio Vaticano II, da qui anche il nome di “progressismo”, per il semplice fatto di assumere la modernità in blocco ed acriticamente, anziché operare in essa, alla luce della philosophia perennis e del Magistero della Chiesa, quel doveroso discernimento che assume il positivo e respinge il negativo.
Bontadini purtroppo è caduto in questo errore con la sua proposta di una filosofia “neoclassica” o “neoscolastica moderna” basata sulla cosiddetta “filosofia moderna”, fondata sul cogito cartesiano, per il quale Bontadini ha un’esagerata ammirazione affermando che Cartesio “ha rifatto la filosofia daccapo”. Io direi piuttosto che l’ha guastata nelle fondamenta.
E’ vero che Bontadini ha ammirazione anche per il pensiero classico, greco e medioevale, in particolare per Parmenide e per S.Tommaso. Egli tuttavia ritiene che una nuova filosofia, adatta ai tempi moderni, possa e debba essere ricavata da un’interpretazione cartesiana, con la mediazione di Gentile, dei due precedenti pensatori. In tal modo si metterebbe in luce la loro “anima di verità” (secondo l’espressione di Mons.Olgiati), per cui, come dice Bontadini, Tommaso apparirebbe straordinariamente “moderno”.
In tal senso intendevo accostare l’interpretazione bontadiniana dell’essere tomista all’essere parmenideo e sostenere che Bontadini ha frainteso l’essere tomista, che è analogico (uno-molteplice), confondendolo con quello parmenideo che è univoco (uno solo). Inoltre l’essere parmenideo è idealistico (“to autò to einai kai to noèin”: “l’essere e il pensiero sono la stessa cosa), mentre l’essere tomista è notoriamente realistico, ossia comporta la distinzione dell’essere dal pensiero.
Indubbiamente il vero maestro di Bontadini non è Tommaso. In tal senso egli non è un tomista. Ho parlato a suo riguardo di “tomismo”, perché dobbiamo dargli atto di uno sforzo di far apparire moderno Tommaso, ma tale tentativo, come ho detto nel precedente articolo, è fallito, perché Bontadini vuol interpretare Tommaso sulla base di Parmenide, Cartesio e Gentile. I veri maestri di Bontadini sono questi. E già questo fatto fa sorgere molti dubbi sull’autenticità del cattolicesimo di Bontadini, come adesso andrò spiegando.
Anche Maritain considerava moderno S.Tommaso. Nel suo libro Le Docteur Angélique lo chiama “Apostolo dei tempi moderni” e in Antimoderne dice che Tommaso è “ultramoderno”. Ma Maritain si guarda bene dal dare di Tommaso un’interpretazione idealistica, anche in considerazione del fatto che l’idealismo è stato condannato dalla Chiesa, cosa che mostra all’evidenza l’incompatibilità dell’idealismo con la fede cattolica.
Come ho detto nel mio precedente articolo, Bontadini cerca indubbiamente di correggere l’idealismo di Gentile, ma resta alla fine sostanzialmente impigliato nel suo sistema, giacchè ne accetta i principi fondamentali: 1. “l’identità del pensiero con l’essere”; 2. “l’essere è l’essere pensato”; 3. l’essere non trascende il pensiero ma è “immanente”; 4. il pensiero non è trasceso dall’essere, ma è “intrascendibile”; 5. credere all’esistenza di un essere esterno al pensiero è già renderlo immanente al pensiero; 6. l’essere non è “presupposto” al pensiero ma è supposto col pensiero; 7. il pensiero non passa dalla potenza all’atto ma è “atto del pensare”; 8. l’ignoranza e l’errore non esistono, perché l’essere è costitutivamente, originariamente, necessariamente, sempre ed aprioricamente oggetto del pensiero; 9. l’essere non è analogico ossia uno e molteplice, ma è univoco, assolutamente uno; 10. la molteplicità non nasce dall’analogia ma dalla dialettica.
Ora ci si domanda come tutti questi principi possono essere conciliati con una sana filosofia e con la fede cattolica.
Infatti, le conseguenze sono le seguenti:
1. confusione tra il pensiero umano e il pensiero divino. Osservo infatti che a) solo il pensiero divino è puro atto di pensare. Il pensiero umano passa dalla potenza all’atto; b) solo nel pensiero divino il pensiero coincide con l’essere. Per il pensare umano l’essere è distinto dal pensiero, esterno al pensiero, indipendente dal pensiero. Non dipende dal pensare umano, ma dal potere creatore divino; c) solo il pensiero divino sorge da se stesso come autocoscienza assoluta senza nessun precedente empirico, perché Dio è puro spirito infinito. Invece il pensare umano suppone l’esperienza sensibile, perché nell’uomo il senso si accompagna all’intelletto. E nell’uomo l’autocoscienza suppone il contatto sensibile con le cose esterne; d) solo Dio sa di esistere immediatamente ed aprioricamente, senza passar attraverso nessun previo contatto col mondo. Noi invece giungiamo a sapere che Dio esiste solo partendo dalla conoscenza del mondo ed applicando il principio di causalità (“per ea quae facta sunt”, Rm 1,20; Sap 13,5).
2. Negazione della nozione della verità. S.Pio X nella Pascendi accusa i modernisti di “pervertire l’eterna nozione della verità”. Ora la gnoseologia idealista nata da Cartesio fa esattamente questo, perché non fa consistere la verità nella adaequatio intellectus ad rem, innanzitutto le cose esterne sensibili e poi i dati della coscienza e le realtà spirituali, ma, come dirà poi Kant, nella “coerenza del pensiero con se stesso”: un’attenzione, quindi, non al reale, ma alle proprie idee, questo è ciò che conta per l’idealista. Ora però per il cristiano Cristo è la Verità fatta Persona. Per cui offendere la nozione della verità è offendere Cristo. E’ questo cattolicesimo?
3. Negazione del dogma della creazione. In Bontadini il divenire esiste, ma è contradditorio, perché manca a Bontadini una nozione analogica dell’essere: per lui l’essere o c’è o non c’è. Non riesce concepire un essere meramente potenziale, un “poter-essere”, per cui manca la nozione dell’ente contingente. Per lui l’essere è solo atto. Non c’è passaggio dalla potenza all’atto, perché la potenza non esiste. Dunque non esiste neppure la causa efficiente che ha appunto la funzione di spiegare il contingente e di far passare all’atto l’essere potenziale o di attuare l’essere possibile.
Ma il creare è appunto il potere divino di causare l’essere delle cose o, come dice S.Tommaso, la creazione è la productio totius entis ex nihilo sui et subiecti. Ora questo è dogma di fede. Negare questo vuol dire andare contro una verità di fede. Bontadini invece tenta una prova meramente dialettica dell’esistenza di Dio: se Dio non ci fosse il divenire sarebbe contradditorio. Ma poi alla fine anche con l’esistenza di Dio, secondo lui, il divenire, benché reale, resta contradditorio. Dio è l’Essere assoluto e non contradditorio, che pone il finito negando la sua infinità. Quindi non l’ente mondano ad immagine dell’Essere divino, ma l’ente mondano come negazione del divino. Si capisce allora come un Severino negherà l’esistenza del contingente e del divenire in nome dell’essere e del principio di non-contraddizione (inteso alla parmenidea)
Non dubito dell’intenzione di Bontadini di elaborare una filosofia in armonia con la fede cattolica e del fatto che egli stesso facesse professione di cattolicesimo. Vedo d’altra parte che Lei ha una conoscenza di Bontadini ben più ampia della mia e sono disposto a credere che l’ultimo Bontadini si sia avvicinato al realismo cattolico e ad all’ammissione realistica della trascendenza divina.
Preciso però che in questa mia analisi mi riferisco soprattutto al Bontadini degli anni ’20 degli “Studi sull’idealismo” pubblicati da Vita e Pensiero e in particolare allo scritto programmatico, che ho citato nel mio articolo, nel quale riprende e sviluppa a suo modo il pensiero di Mons. Olgiati. Se poi egli, come Lei asserisce, negli anni ‘70 si è accostato al concetto cattolico di creazione, non ho che da compiacermi. Ma ciò non toglie che quanto egli ha scritto da giovane resti quello che è e non deponga affatto a favore del suo cattolicesimo.
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