Sull’Ultima Cena e la Pasqua. Appunti critici circa il metodo storico-critico

Il malcostume di utilizzare il metodo storico-critico (che andrebbe rigettato di peso con buona pace della Dei Verbum) con la Parola di Dio porta a guasti e pasticci inenarrabili, non ultimo conduce a mettere in dubbio tutto, portando a pensare che, tutto sommato, tutta quanta la Bibbia sia una bella opera dell’intelletto umano: frutto di inventiva, approssimazione e simbolismo arcaico da pastori. Alla fine, si diventa atei.

Se sfornare seminaristi atei è diventato un po’ lo sport della neochiesa del postconcilio dei concili, noi ci sbattiamo la polvere dai calzari, cercando di mostrare come, con un minimo di raziocinio, le cose vadano a posto senza bisogno di inventarsi teorie fantabibliche. Non dimentichiamo mai che Cristo è il Logos e quindi nella Parola tutto torna, se qualcosa non sembra tornare è per difetto della nostra intelligenza o ignoranza e non certo perché Dio sia bugiardo o per sciatteria dell’autore sacro, come con superficialità si tende insinuare in abito teologico.Nella fattispecie questo è un tentativo di decontaminazione dei fatti del Giovedì Santo e della prima Pasqua.

Esistono alcuni dati incontestabili, come due fattarelli storici: Gesù morì mentre Ponzio Pilato era procuratore (prefetto) romano della Giudea (stando a Tacito, in Annales, XV, 44, Pilato ebbe questa carica dal 26 al 36 d.C.), e morì un venerdì (precisamente il venerdì 7 aprile del 30).

Riguardo allo svolgimento temporale della celebrazione pasquale esistono varie interpretazioni, alcune delle quali, a noi ignoranti, paiono perfino ridicole. La quaestio è causata dal fatto che Giovanni sembra contraddire i Sinottici, da qui lo sbizzarrirsi della fantabiblica. La Coena Domini, o “Ultima Cena” di Gesù con i propri discepoli (più Maria e le donne) è narrata in cinque passi, dai quattro Vangeli e da san Paolo nella sua prima Lettera ai Corinzi.

Il giorno 14 del mese ebraico di Nisan dell’anno 30, Gesù ha celebrato sostanzialmente la Pasqua, pesach, secondo il rituale ebraico previsto dalle Sacre Scritture, fatto confermato dai Sinottici.

Incontestabile in Mc 14,12 si legge: «il primo giorno degli Azzimi, quando si immolava la Pasqua, i suoi discepoli gli dissero: “Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?».

Matteo 26, 17 – 20 è persino più completo: «Il primo giorno degli Azzimi, i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero: “Dove vuoi che prepariamo per te, perché tu possa mangiare la Pasqua?”. Ed egli rispose: “Andate in città da un tale e ditegli: Il Maestro dice: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli”. I discepoli fecero come aveva loro ordinato Gesù, e prepararono la Pasqua.Venuta la sera, si mise a tavola con i Dodici».

Tuttavia, altri vogliono questo passo contraddetto da Gv 18,28: «Allora condussero Gesù dalla casa di Caifa nel pretorio. Era l’alba ed essi non vollero entrare nel pretorio per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua».

Apriti cielo! E un florilegio di teorie.Citeremo solo un paio di studiosi fra i più importanti a titolo esemplificativo: Annie Jaubert e John Paul Meier.

La studiosa francese Annie Jaubert, nel suo libro The Date of the Last Supper, del 1965, tenta di armonizzare i dati all’apparenza contrastanti presenti nei Vangeli, sostenendo niente meno che l’ultima cena di Gesù non possa essere avvenuta di giovedì, ma il martedì (e perché non lunedì o domenica?), perché segue la teoria per la quale la cronologia del Vangelo di Giovanni afferma che la mattina in cui Pilato giudicò Gesù, gli ebrei non avevano ancora mangiato la Pasqua (Gv 18,28).

Ultima Cena di martedì: prima invenzione.

Chi ritiene in errore i tre evangelisti dei Sinottici sostiene che i Giudei, quell’anno, abbiano celebrato la cena pasquale la sera del venerdì, il giorno della preparazione della festa («era la parasceve»).

Quell’anno, quindi, la Pasqua ebraica, intesa come 15 Nisan, coincideva con il sabato: seconda invenzione.

Non solo, per la Jaubert sarebbe inverosimile che eventi quali le varie sedute davanti il Sinedrio, Pilato ed Erode, la persuasione della folla, il confronto con Barabba e la flagellazione si siano svolti in solo 12 ore (sic!), così come ci presentano i Sinottici. Ipotesi totalmente arbitraria, ma che sembrerebbe avvalorata dalle norme del diritto processuale ebraico (Mishna), le quali proibivano di tenere sedute di processo alla vigilia di un sabato o di una festività, poiché il verdetto nelle cause capitali, come era quella di Gesù, doveva essere emesso, se di condanna, il giorno successivo, cosa che diveniva impossibile in quanto festa. Ma il Sinedrio si riuniva di solito nella Lishkat haGazit 1(la stanza delle pietre squadrate) nel Tempio, che era il luogo di incontro, o camera del consiglio, abituale del Sinedrio durante il periodo del Secondo Tempio (VI secolo a.C. – I secolo d.C.), come mai allora ritrovarsi alla casa di Caifa, nottetempo, in tutta fretta? E pare senza nemmeno convocare tutti i sinedriti, illecito luogo e ora straordinaria, evidentemente è stata fatta un’eccezione. L’intera faccenda è orribilmente straordinaria.

Infine, la Jaubert ricorda che il progetto delle autorità giudaiche di uccidere Gesù prima della festa, avrebbe potuto funzionare se Pilato, con la sua titubanza, non avesse poi rimandato la crocifissione fino al venerdì. Altra forzatura che non trova riscontro nell’autore sacro: Gesù viene portato da Pilato il venerdì mattina, dove starebbe il ritardo?

Annie Jaubert avanza questa ipotesi cronologica perché persuasa che Gesù possa aver seguito un antico calendario solare, ritrovato nel Libro dei Giubilei, nel Libro di Enoch e in alcuni testi di Qumran, e non il calendario ufficiale lunare. Questo particolare calendario di 364 giorni fissava il primo giorno dell’anno e la Pasqua (il 15 Nisan) sempre di mercoledì. Tutto ciò per salvare entrambe le tradizioni, sia quella sinottica che quella giovannea, e fare della cena di Gesù al martedì sera una vera cena Pasquale. Non è scritto nel testo sacro che Cristo o gli apostoli seguissero un calendario (per quanto esistesse) a piacimento diverso da quello del Tempio.

Il Libro di Enoch è un apocrifo, quindi non si capisce perché dovrebbe essere preso per attendibile. Inoltre, il criterio canonico cristiano fu fondamentalmente quello di accogliere i testi presenti nella traduzione dei Settanta, di cui il Libro di Enoch non fa parte. Si noti che la traduzione greca dell’Antico Testamento era usata nella tradizione cristiana già a partire dalla composizione del Nuovo Testamento (I secolo d.C.).

Gesù ha seguito un calendario solare: terza invenzione.

Era la parasceve. Ancora oggi in greco moderno paraskevì è il termine comunemente usato per il giorno della settimana “venerdì”. Allo stesso modo, nella Palestina dei Giudei grecizzati al tempo di Gesù, ogni venerdì era parasceve, non si capisce perché da ciò si debba forzare l’interpretazione che fosse la vigilia della Pasqua. Leggiamo sulla Treccani: «dal gr. παρασκευή “preparazione” con riferimento agli usi giudaici, il giorno di preparazione, cioè il venerdì, quando gli Ebrei disponevano quanto era necessario per celebrare la festività del sabato».

Tuttavia, anche altri hanno dato per certa la Pasqua del sabato, come J. P. Meier, il quale ha tratto in inganno perfino J. Ratzinger. Partiamo da quest’ultimo, nel Gesù di Nazareth si legge:

«Questa coincidenza teologicamente importante, che Gesù muoia contemporaneamente con l’immolazione degli agnelli pasquali, ha indotto molti studiosi a liquidare la versione giovannea come cronologia teologica. Giovanni avrebbe cambiato la cronologia per creare questa connessione teologica che, tuttavia, nel Vangelo non viene manifestata esplicitamente. Oggi, però, si vede sempre più chiaramente che la cronologia giovannea è storicamente più probabile di quella sinottica».

Siccome solletica il fatto che Gesù Cristo sia morto durante il sacrificio della pesach ebraica, allora inventiamoci che quest’ultima fosse di venerdì. Non mi pare un modo storico, né critico e per nulla scientifico, ma più che altro mitopoietico. Quasi per eterogenesi dei fini, però, l’espressione «Egli muore come l’Agnello vero che negli agnelli era solo preannunciato» è vera, ma più coerente nella realtà di quanto non lo sia nelle fantasticherie.

Tuttavia, dobbiamo prima parlare delle teorie del Meier. La sua opera più nota è A Marginal Jew: Rethinking the Historical Jesus, (trad. it.: Un Ebreo Marginale, Ripensare il Gesù storico) un’indagine storico-critica su Gesù, articolata in cinque volumi, pubblicati tra il 1991 e il 2016.

Ora, a parte le dichiarazioni eretiche sui fratelli del Signore, le quali dovrebbero già accendere una spia sul fatto che qualcosa non quadra, secondo il Meier Gesù avrebbe istituito l’Eucaristia sì il giovedì, ma durante una semplice cena di addio, «prima della festa di Pasqua» ( cfr. Gv 13,1): «Gesù scelse di fare un banchetto serale con i suoi seguaci più stretti nella casa di qualche sostenitore benestante di Gerusalemme il giovedì verso il tramonto, quando cominciava il quattordicesimo giorno di Nisan, il primo mese di primavera. La cena, benché non fosse un banchetto pasquale e non fosse celebrata come sostitutiva del banchetto pasquale, fu nondimeno qualcosa di più che non un normale banchetto».

Però, se si legge Gv 13,1, innanzitutto è necessario contestualizzarlo, non leggere solo l’incipit: «Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine. Mentre cenavano, quando già il diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo, Gesù sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugatoio di cui si era cinto». 

Prima della Pasqua, certamente, avviene quella che viene chiamata “lavanda dei piedi”, ma il passo in questione costituisce una conferma, non una smentita, che quella fu la cena di pesach. Tanto è vero che al versetto 30 Giovanni poi dice: «Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi». Ora, questo inno è il famoso Inno pasquale con l’Allelujah, ovvero il Salmo 114, proprio della cena pasquale (ulteriore prova che non fosse una cena fra amici). La collezione dei Salmi 113-118 è conosciuta con il nome di Hallel (“inno di lode”, dall’acclamazione Allelujah, “Lodate il Signore”, lett. Allelu -jah<vè>) e fa da sfondo alla celebrazione di varie solennità della liturgia ebraica, soprattutto quella di Pasqua.

Quindi non è necessario scegliere fra due cronologie, sinottica e giovannea come dice il Meier. E nemmeno prediligere Giovanni con l’intenzione, pur lodevole e suggestiva, di far coincidere la crocifissione con l’immolazione dell’agnello pasquale al Tempio di Gerusalemme.

Infatti, si chiede un bel momento pure Joseph Ratzinger: «Rimane la domanda: Ma perché allora i sinottici hanno parlato di una cena pasquale?» Perché, semplicemente, era la Pasqua.

Perciò il paragrafo seguente: «Su che cosa si basa questa linea della tradizione? Una risposta veramente convincente a questa domanda non la può dare neppure Meier. Ne fa tuttavia il tentativo — come molti altri esegeti — per mezzo della critica redazionale e letteraria. Cerca di dimostrare che i brani di Marco, 14,1 e 14,12-16 (gli unici passi in cui presso Marco si parla della Pasqua) sarebbero stati inseriti successivamente». Questa è un’invenzione. I teologi moderni procedono in questo modo: se l’autore sacro dice qualcosa che non collima con l’esegesi, tanto peggio per lui. Sarà un’aggiunta posteriore di qualche furbo, d’altra parte non c’erano i registratori.

I passi che riguardano la Pasqua sono stati inseriti nei Vangeli in un momento successivo: quarta invenzione.

Quindi la conclusione del Meier è, sorprendentemente, una speculazione: Gesù, consapevole della sua morte imminente, sapeva che non avrebbe più potuto mangiare la Pasqua, perciò, invitò i suoi ad un’ultima cena che non apparteneva a nessun determinato rito giudaico, ma rappresentava in qualche modo il suo congedo, in cui Egli donava se stesso come il nuovo Agnello, istituendo così la sua nuova Pasqua. La seconda parte del ragionamento speculativo è una verità, fatta procedere, però, dalla prima parte, la quale è una speculazione inventata a bella posta per reggere un’ipotesi teologica infondata dalle Scritture.

Ora, al Tempio di Gerusalemme si facevano due sacrifici giornalieri detti tamid (letteralmente “sempre”, tamid è il sacrificio quotidiano), entrambi erano obbligatori, un po’ come la nostra messa quotidiana, uno il mattino che apriva la giornata e la possibilità dei sacrifici collettivi e privati o personali del popolo, e uno il pomeriggio, dopo il quale non era più lecito sacrificare.

Il filosofo, rabbino ebreo medievale Moshe ben Maimon, meglio noto come Maimonide, spiega che il secondo tamid si poteva sacrificare dopo le 12.30, però, si attendevano le 14.30 fino alle 15.30: «è un precetto positivo offrire due agnelli in olocausto ogni giorno, e sono chiamati temidin2. Uno la mattina e uno al pomeriggio (lett. “tra le due sere” n.d.r.), come detto in Numeri 28, 3-4: “Due al giorno, un’offerta continua”. Quando si immoleranno? Quello del mattino si immola prima che sorga il sole, dal quando si illumina la faccia di tutto l’oriente. Il tamid del pomeriggio si immolerà da quando si allunga l’ombra e è visibile a tutti che si è allungata, e ciò è dall’ora sesta e mezza in avanti fino al termine del giorno. E non lo si sgozzava ogni giorno se non all’ottava ora e mezza e lo si offriva all’ora nona e mezza. E perché si ritardava due ore dopo l’inizio del tempo dell’immolazione? A causa dei sacrifici individuali o della comunità. Quindi era proibito offrire un sacrificio prima del tamid del mattino e non si immolava un sacrificio dopo il tamid del pomeriggio a eccezione del korban di pesach (il sacrificio pasquale n.d.r.) solamente, perché sarebbe stato impossibile che tutto Israele offrisse le pasque in due ore» (Mishnè Torah, Avodah, Temidin uMusafin, I, 1-4).

Quindi solamente il 14 di Nisan si anticipava il tamid del pomeriggio per dare modo a tutti di terminare i sacrifici in preparazione della Pasqua che incombeva con la sera, poiché c’era grande affluenza di gente al Tempio da tutto Israele. Infatti, aggiunge Maimonide: «Quando il giorno prima di Pesach cade durante la settimana o di sabato, il sacrificio pomeridiano si macellerà dopo l’ora settima e mezza e si offrirà dopo l’ottava e mezza in modo che [il popolo] abbia il tempo di macellare i suoi sacrifici pasquali. Se il giorno prima di Pesach cadesse di venerdì, [il sacrificio pomeridiano] si scannerà all’ora sesta e mezza, l’inizio del tempo assegnato, e si offrirà all’ora settima e mezza, in modo che abbiano tutto il tempo per arrostire [i loro sacrifici] prima dell’inizio del sabato» (ibidem, par. 5).

Perciò, la suggestione del Meier non è certamente peregrina, per quanto errata. L’ora della morte di Cristo non è particolarmente quella del sacrificio della Pesach ebraica, ma è veramente quella del tamid di chiusura del giorno santo di Pasqua, il 15 Nisan. In un certo senso, così, la crocifissione di Nostro Signore Gesù Cristo viene a essere il tamid che pone fine a tutti i tamid, in quanto il sacrificio di Cristo è eterno e definitivo.

L’ultima cena è solo una cena fra amici: quinta invenzione.

Tuttavia, rimane il (falso) problema dei sadducei e dei farisei che devono ancora mangiare la pasqua ebraica il venerdì 7 aprile (15 Nisan) del 30. Per fare ciò, prima è necessario stabilire in modo inequivocabile che l’ultima cena fu giovedì 6 aprile 30 d.C.

Dunque, sappiamo che la pasqua ebraica cadeva dopo l’equinozio di primavera, nel giorno del plenilunio del mese di Nisan. Siccome il calendario ebraico era basato sui mesi lunari, ogni mese iniziava con la Luna nuova, quindi il giorno del plenilunio era sempre il 15 del mese.

Oggi, con l’avvento di calcolatori molto potenti, è diventato possibile risalire al momento esatto del verificarsi di eclissi di Sole e di Luna in qualunque luogo della Terra e per qualunque data nel passato. Basandosi su questi dati e sul calendario ebraico un paio di studiosi inglesi nientemeno che del “Dipartimento di Metallurgia e Scienza dei Materiali” dell’Università di Oxford Colin Humphreys3 (oggi fisico di Cambridge) e W. G. Waddington indicano4 che il 14 Nisan fu di venerdì in due date compatibili con la tradizione cristiana circa i fatti della Passione: il 7 Aprile del 30 d.C. e il 3 Aprile del 33 d.C. sono gli anni in cui ci fu un’eclissi di sole il venerdì dopo il plenilunio nel mese di Nisan. Questi calcoli sono un grosso ostacolo per noi, perché, ci confutano matematicamente, dal momento che forniscono un computo esatto, se utilizziamo un trasformatore elettronico basato sul calendario ebraico: ovvero Pasqua venerdì sera e il sabato, confermando il Meier.

Ciò perché qualsiasi calendario ebraico si utilizzi la data dell’Ultima Cena non è mai, in nessun anno, un giovedì. Peccato che il calendario ebraico venisse di volta in volta stabilito dal Sinedrio, perché, per sua natura, creava non pochi grattacapi.

Altro passo indietro. Inizialmente, anche i cristiani usavano il calendario ebraico per stabilire i giorni delle loro celebrazioni, con la Pasqua che cadeva la prima domenica dopo il 15 del mese ebraico di Nisan. Tuttavia, al Concilio di Nicea nel 325 d.C., la Chiesa cambiò, decidendo di fissare un proprio giorno per la Pasqua (la Pasqua cristiana non è il 15 Nisan, ma la domenica di Resurrezione!). Ragion per cui, oggi, la Chiesa di Roma celebra la Pasqua la prima domenica (yom rishon) dopo la prima luna piena dopo il 21 marzo (equinozio di primavera).

Il calendario ebraico, invece, si basa principalmente su un sistema lunare, ma vengono apportate correzioni quando necessario per assicurarsi che le date rimangano sempre all’interno della stessa stagione. Queste correzioni sono imposte dalla Bibbia, che comanda che la Pasqua (Deuteronomio 16:1) debba avvenire in primavera e la festa di Succot, cosiddetta “delle Capanne” (Esodo 23:16) debba avvenire in autunno, come spiegato anche dai rabbini. Questo, in un certo senso, fonde insieme i calendari lunare e solare.

Questa correzione avveniva con una decisione presa dal Sinedrio (la “corte suprema” religiosa ebraica), basata sulla testimonianza oculare delle fasi lunari. Gli anni bisestili sarebbero stati decisi sulla base di alcune considerazioni riguardanti sia le stagioni che considerazioni pratiche tra cui l’equinozio di primavera, la maturazione dell’orzo e le condizioni delle strade, secondo il Talmud.

Quando il Sinedrio si sciolse a causa della persecuzione dei romani, Hillel II calcolò un calendario fisso, in un’impresa di matematica e astronomia, ottimizzato e impostato per le prossime centinaia di anni ed è in uso, ad oggi, nella stessa forma, in cui gli anni bisestili con un mese aggiunto si verificano negli anni 3, 6, 8, 11, 14, 17 e 19 di un ciclo di 19 anni.

Questo è collegato a un’altra regola del calendario ebraico, che solleva un problema con i tempi dell’Ultima Cena: secondo Maimonide, per il calendario di Hillel il primo giorno di Pasqua non può mai cadere di lunedì, mercoledì o venerdì a causa della legge che impone che Rosh Hashanah, il capodanno ebraico, non possa mai essere di sabato sera, cosa che accadrebbe se la Pasqua ebraica fosse di giovedì (inoltre, la quantità di giorni tra Pesach e Rosh Hashanah non cambia mai, almeno secondo il calendario fisso!). Ecco perché, utilizzando un qualsiasi convertitore elettronico di calendari non esce mai un 14 Nisan di giovedì.

Però, esiste pur sempre il fatto che la Luna non segue il calendario ebraico, ma viceversa, e la natura non mente, come non mentono i santi Evangelisti. Dunque, abbiamo detto che il 14 Nisan quell’anno era il 7 aprile del 30, e sarebbe un computo esatto, se utilizzassimo un qualsiasi trasformatore elettronico basato sul calendario ebraico. Se invece utilizzassimo (come ha fatto il sottoscritto) semplicemente un calcolatore perpetuo delle fasi lunari, scopriremmo che nel 30 dopo Cristo il plenilunio di aprile (Nisan) è esattamente giovedì 6 e non venerdì 7.

In conclusione: Gesù celebrò la cena pasquale il giovedì sera e morì l’indomani in piena pasqua ebraica. Presso i Giudei, come tutti sanno, i giorni si contavano a partire dalla sera, esattamente nel momento in cui spuntava la prima stella: cfr. Luca 23,54 “Era il giorno della parascève e già splendevano le luci del sabato”. La festa di Pasqua durava sette giorni, dal 15 giorno santissimo al 21 Nisan; il 14 Nisan era il giorno della preparazione: si immolavano gli agnelli nel Tempio e si toglieva il lievito dalle case. Stando anche a Maimonide era una mitzvà aseh, un precetto positivo, immolare la Pasqua il 14 Nisan dopo mezzogiorno (Mishnè Torah, Korbanot, Korban Pesach 9, I,1). Questo sacrificio di Pasqua, come dice Esodo 12,10, deve essere mangiato entro la notte del 14, altrimenti bruciato (vedi cap. X,14 «tutti i piatti cotti che salgono sulla tavola con essa <la Pasqua scil.> saranno bruciati con essa e non si mangeranno se non fino a mezzanotte come la Pasqua stessa»).

Insieme al sacrificio5 di Pasqua si poteva sacrificare anche l’”offerta festiva”, in ebraico hagigah, un sacrificio di pace o shelamim possibile nelle tre feste di pellegrinaggio: Pesach6, Succot e Shavuot. Mentre il sacrificio pasquale consisteva in agnello o capretto (Esodo12, 3-6), la hagigah poteva esser presa da bovini (come dice Deuteronomio 16,2). Inoltre, sempre Maimonide (Mishnè Torah, Korbanot, Korban Pesach X,13) dice, nel caso della Pasqua: «La hagigah del 14 (Nisan) è lecita ma non è obbligatoria ed è mangiata per due giorni e una notte <frammezzo scil.>». Quindi tutto il 15 Nisan, il giorno santissimo della Pasqua. È del tutto ragionevole e usuale, a maggior ragione quell’anno, essendo la Pasqua un venerdì e quindi due giorni di divieto di cucinare per gli Ebrei, che molti abbiamo immolato anche un vitello da consumare poi il venerdì (dobbiamo ancora mangiare la Pasqua), anche se non si poteva tenere per il sabato. Per tutti questi motivi i Giudei che condussero Gesù da Pilato non entrarono nel pretorio “per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua” (Gv 18, 28), cosa del tutto normale che non contraddice i Sinottici.

Tutte queste citazioni e ragionamenti si sarebbero ben potuti evitare leggendo con calma e dovuta riflessione la Bibbia. Nel Secondo libro delle Cronache, libro canonico riconosciuto, leggiamo tranquillamente come avveniva, di norma, la procedura sopra verbosamente esposta: «Giosia celebrò in Gerusalemme la pasqua per il Signore. Gli agnelli pasquali furono immolati il quattordici del primo mese» (2 Cronache 35,1). «Giosia diede ai figli del popolo, a quanti erano lì presenti, del bestiame minuto, cioè tremila agnelli e capretti come vittime pasquali, e in più tremila buoi. Tutto questo bestiame era di proprietà del re» (2 Cronache 35,7). «Immolarono gli agnelli pasquali: i sacerdoti spargevano il sangue, mentre i leviti scuoiavano. Misero da parte l’olocausto da distribuire ai figli del popolo, secondo le divisioni dei vari casati, perché lo presentassero al Signore, come sta scritto nel libro di Mosè. Lo stesso fecero per i buoi. Secondo l’usanza arrostirono l’agnello pasquale sul fuoco; le parti consacrate le cossero in pentole, in caldaie e tegami e le distribuirono sollecitamente a tutto il popolo. Dopo, prepararono la pasqua per se stessi e per i sacerdoti, poiché i sacerdoti, figli di Aronne, furono occupati fino a notte nell’offrire gli olocausti e le parti grasse; per questo i leviti prepararono per se stessi e per i sacerdoti figli di Aronne» (2 Cronache 35,12-14).

Di lì a poco Nabucodonosor avrebbe distrutto tutto.

SINOSSI. La cronologia si stabilisce dunque così:

-Giovedì 14 Nisan: giorno di preparazione. La sera Gesù mangia la Pasqua nel cenacolo con gli apostoli e, in disparte, le donne.

-Venerdì 15 Nisan: primo giorno della festa. Flagellazione, crocifissione e poi morte di Gesù nell’ora del secondo tamid.

-Gesù morì il 7 aprile dell’anno 30 (in quell’anno ci fu un’eclisse di sole confermata dai moderni strumenti di osservazione computerizzati) nel suo trentatreesimo anno non compiuto: in conseguenza di ciò la prima Pasqua fu il 9 aprile dell’anno 30, una domenica.

L’anno zero non esiste, perciò sul fatto che Cristo nacque il 2 a.C. si genera un altro grosso ginepraio in cui un giorno spero di fare pulizia.

NOTE

1Il nome nasce presumibilmente per distinguerlo dagli edifici del complesso templare adibiti a scopi rituali, che dovevano essere costruiti con pietre grezze. (Ex.gr. la Torah proibisce l’uso di pietre squadrate o toccate dal ferro per l’altare secondo Es 20:25, Deut 27:6).
2Plurale di tamid.
3Nel 2011 lo stesso Humphreys ha affermato nel suo libro The Mystery of the Last Supper che l’Ultima Cena ha avuto luogo mercoledì (mercoledì santo), non come tradizionalmente si pensa giovedì (giovedì santo), e che le apparenti discrepanze temporali (15 o 14 Nisan) tra il i vangeli di Matteo, Marco e Luca contro Giovanni sono radicati nell’uso di diversi calendari da parte degli scrittori. Marco, Matteo e Luca sembrano usare un vecchio calendario ebraico in stile egiziano (usato ancora oggi dai Samaritani) mentre Giovanni sembra riferirsi al più nuovo calendario ebraico in stile babilonese. L’Ultima Cena di mercoledì consentirebbe più tempo per l’interrogatorio e la presentazione a Pilato prima della crocifissione di venerdì rispetto a quanto concesso nella visione tradizionale. Humphreys propose che la data effettiva dell’Ultima Cena fosse il 1 aprile 33. Invenzione in nota si può dire?
4Dating the crucifixion, nature, 1983.
5I sacrifici si potevano prendere solo da cinque specie animali: ovini, caprini, bovini, tortore e colombe. Inoltre, i sacrifici avevano un limite di tempo e di spazio. Di spazio si intende che potevano essere immolati solo al Tempio di Gerusalemme e mangiati, in stato di purità rituale, solo all’interno delle mura.
6Secondo Maimonide la hagigà si può portare solo se la Pasqua cade in un giorno feriale e non di sabato.

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