Tornare al corporativismo cattolico dell’800 per sconfiggere la crisi del mondo lavorativo – di Luciano Garibaldi

Un libro-intervista con il docente e politico Gaetano Rasi, recentemente scomparso, invita alla riscoperta di quella che fu la migliore risposta dell’Occidente alla sfida lanciata dal marxismo

di Luciano Garibaldi

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Ritorno al corporativismo? Potrebbe essere la soluzione ideale alla grave crisi del mondo lavorativo che attraversa l’era contemporanea, in gran parte dovuta al dilagare delle tecnologie che distruggono ogni giorno migliaia di posti di lavoro rendendoli inutili. Dev’essere questo il pensiero che ha convinto Mario Bozzi Sentieri, saggista e storico impegnato nella politica, a dare alle stampe il libro «Intervista sul corporativismo. La via sociale oltre la crisi dei vecchi modelli» (Eclettica Edizioni, 160 pagine, 16 euro). Dopo l’ampia premessa di Bozzi Sentieri che narra la storia del corporativismo, il nucleo del libro consiste nella  dettagliata ed esauriente intervista che l’Autore fece al docente e uomo politico Gaetano Rasi, scomparso, ultranovantenne, nel novembre 2016.

Il corporativismo, troppo presto dimenticato e messo in un angolo, è stato la migliore risposta dell’Occidente alla sfida lanciata dal comunismo. Da qui l’idea di riconsiderarlo quale alternativa alla crisi del sistema partitocratico ed insieme risposta alla crisi economico-sociale. Ritrovare l’essenza del corporativismo – attraverso le parole di Gaetano Rasi e l’introduzione del curatore dell’intervista Mario Bozzi Sentieri – significa accettare le sfide del cambiamento, immaginando strumenti di rappresentanza capaci di favorire una maggiore integrazione dei fattori della produzione e, contemporaneamente, la specializzazione nello svolgimento dei processi politici, dando voce e spazio al Paese reale, alle categorie produttive, al mondo delle professioni e delle competenze.

Di particolare rilievo, ed anche di maggiore interesse per i problemi attuali, la parte dedicata, nella lunga intervista, alla funzione della Chiesa. Dopo la rottura dell’Ordine tradizionale e il prevalere del liberalismo ideologico ed economico, solo la Chiesa Cattolica si impegnò direttamente nelle opere di carità, organizzando ospedali per gli indigenti, scuole per i poveri e mense per i figli degli operai. Figure esemplari  di questo autentico movimento di solidarietà sociale furono gli italiani San Giovanni Bosco, fondatore della congregazione dei Salesiani, e San Giuseppe Cottolengo, attraverso la Piccola Casa di Torino,  il francese Frédéric  Ozanam e la sua “Società di San Vincenzo de’ Paoli”. In Francia l’industriale cattolico Léon Harmel istituì nei suoi stabilimenti di Val de Bois una Cassa mutua assistenziale, un Centro di studi sociali ed un Consiglio di fabbrica, attraverso il quale coinvolse i lavoratori nella gestione dell’impresa.

Insieme alle opere, il mondo cattolico non tardò  ad elaborare, rispetto alla nascente questione sociale, una propria, originale linea d’intervento, finalmente consapevole della partita in gioco.

In Italia il gesuita Carlo Maria Curci, critico verso le  nuove teorie sociali d’impronta marxista, ma sensibile ad un più diretto impegno del mondo cattolico sui temi sociali, auspicò, nel 1885, la creazione di società partecipate dagli operai, in grado di favorire una più equa retribuzione e l’eliminazione delle controversie tra capitale e lavoro, all’origine della lotta sociale. Padre Matteo Liberatore, anch’egli gesuita e fondatore della “Civiltà Cattolica”, manifestò il suo favore al ristabilimento delle corporazioni. Il Vescovo Geremia Bonomelli  dedicò varie lettere pastorali alle questioni sociali, ipotizzando un intervento dello Stato nei rapporti fra capitale lavoro.

Sulla via degli ideali corporativi, un ruolo importante ebbe, in Francia,  René La Tour du Pin,  marchese de la Charce, tra i fondatori, nel 1899, dell’Action Française, il quale   arricchì l’analisi controrivoluzionaria di un prezioso insegnamento sociale che nella restaurazione monarchica e nella restaurazione corporativa fondava i pilastri per la restaurazione finale dell’ordine cristiano.

E’ da questo complesso lavorio intellettuale che nacque, nel 1891, l’enciclica di Leone XIII Rerum novarum. Dopo una sintetica introduzione dedicata alla “questione operaia” e alle misere condizioni in cui versavano i “proletari”, ormai soli ed indifesi, dopo la soppressione delle corporazioni, “… in balìa della cupidigia  dei padroni e di una sfrenata concorrenza”, il Pontefice denunciava il “falso rimedio” che è il socialismo, nocivo nelle sue conseguenze, ingiusto nella sostanza perché disconosce la proprietà privata essenziale alla natura umana, e perché imposta in maniera errata i rapporti fra lo Stato, la famiglia e i beni. Il “vero rimedio”, titolo della seconda parte dell’enciclica, veniva individuato nelle “relazioni tra le classi sociali” e quindi negli scambievoli obblighi di giustizia tra i ricchi ed i poveri, i capitalisti ed i lavoratori.

La Rerum novarum fu – e rimane – l’ atto costitutivo della nuova dottrina sociale della Chiesa cattolica. Superata, ma non esclusa, la dimensione caritatevole, il mondo cattolico accetta la sfida della modernità, individuandone i limiti, le storture, le debolezze strutturali, secondo  una logica ricostruttiva.

Fu poi Giuseppe Toniolo, docente universitario e militante cattolico, a dare una più compiuta articolazione scientifica alle linee dottrinarie tracciate da Leone XIII. Partendo dall’esperienza medioevale, Toniolo immaginò un processo di crescita dell’intera società, attraverso l’azione individuale e dell’associazionismo, in grado di realizzare una “ricomposizione giuridica corporativa” della società stessa.

Per il corporativismo cattolico, il fine è dunque il bene comune dei consociati, all’interno del più ampio piano salvifico. Questi insegnamenti furono  confermati, in occasione del quarantesimo anniversario della Rerum novarum, con l’enciclica Quadragesimo anno (1931), emanata da Pio XI, per il quale  il “vero e genuino ordine sociale” nasce dalla coesione tra datori di lavoro e prestatori d’opera. Purtroppo, nel secondo dopoguerra, questi importanti insegnamenti furono via via abbandonati dalla Democrazia Cristiana, che pure aveva, al suo interno, eminenti studiosi della dottrina corporativa (uno tra tutti Amintore Fanfani), lasciando così il campo alla conflittualità sociale. Analogo comportamento si ebbe da parte della Chiesa, specialmente dopo l’avvento al trono papale di Giovanni XXIII. «I documenti pontifici recenti non parlano più di corporativismo. Sembra che con Pio XII sia scesa nella tomba pure l’idea di realizzare l’unione fra le classi nella società mediante la sistemazione organica delle professioni»: così scrisse, nel 1967, su «La Civiltà Cattolica»,  il gesuita Bartolomeo Sorge, sottolineando il sostanziale distacco tra gli insegnamenti, in materia sociale,  di Pio XII e quelli del suo successore.

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