La proposta talebana di Gabanelli ipotizza una società scoperchiata dall’occhio del potere
di Massimo Tosti
fonte: Corrispondenza Romana
L’invito rivolto la settimana scorsa ai giornalisti da Mario Monti a non definire più «furbi» gli evasori fiscali, ma a chiamarli «ladri», ha spinto Milena Gabanelli a suggerire (dalle autorevoli colonne del Corriere della sera) una soluzione impeccabile per debellare l’evasione.
Come? Abolendo il denaro contante: lo sterco del diavolo, come veniva chiamato nei secoli bui del Medioevo. Tutti gli italiani (ma proprio tutti, anche i bambini che lo usano per comperarsi un lecca-lecca) dovrebbero munirsi di carta di credito, giustificando così i loro conti spese.
Il meccanismo per giungere a questo risultato è semplicissimo (come l’uovo di Colombo): applicare una tassa fissa del 33 per cento su tutti i prelievi e i depositi di contante. Questa tassa verrebbe restituita come sgravio fiscale per i primi 150 euro al mese pro-capite (perché anche la conduttrice di Report ammette che un piccolo fondo spese: per pagare l’autobus, il giornale o il parcheggio, è indispensabile: non cita il bar, dove il cappuccino andrebbe pagato, evidentemente, facendo uso della carta di credito).
Si tratterebbe dunque di una tassa «che nasce per essere evitata, la cui ricaduta non può che essere l’emersione del sommerso», la cui applicazione condurrebbe a recuperare nei primi 12 mesi un centinaio dei 154 miliardi di evasione. «Ricordo», conclude Milena la talebana, «che solo tre categorie umane non possono fare a meno del contante: lo spacciatore, il delinquente, l’evasore. Categorie alle quali non sta certamente a cuore il futuro del paese nel quale vivono, ma che sono evidentemente molto ben protette».
Il ragionamento consente un’obiezione: chi può escludere che le tre categorie non riscoprano il sistema del baratto? Uno spacciatore potrebbe farsi pagare in natura: un prosciutto ogni tot dosi di cocaina; il delinquente potrebbe trattare con il ricettatore per farsi dare beni di prima necessità in cambio degli orologi rubati in gioielleria.
Ma non è questo il punto. Qui è in gioco il concetto stesso di libertà individuale, forma primordiale della cosiddetta privacy. Anche chi conduce una vita irreprensibile si sentirà osservato e spiato in ogni movimento. È già stato abbattuto il muro con la legge che impedisce di effettuare pagamenti sopra i mille euro in contanti.
Se la proposta della signora Gabanelli trovasse accoglienza presso il governo e il parlamento, ognuno di noi (salvo a pagare un’ulteriore tassa del 33 per cento) sarebbe spiato in ogni momento della sua vita sociale, dovendo render conto alla società di qualunque piccola spesa: un mazzo di fiori regalato a una segretaria in cambio della sua sollecitudine sul posto di lavoro; una camicia acquistata su una bancarella; un cinema strappato a un pomeriggio di noia.
E siamo sicuri che l’ortolano sarà disposto a strisciare la carta per un mazzetto di rosmarino o di basilico?
La «tracciabilità» è un vocabolo inquietante, anche per la gente per bene. Ognuno di noi aspira ogni tanto alla condizione di irrintracciabile (pur senza avere alcunché da nascondere).
Si va in vacanza in un luogo impervio, si staccano i telefoni, per conquistarsi un’oasi di pace. Ci si sente liberi, finalmente. Ci sono altri mezzi per combattere la sacrosanta battaglia contro gli evasori fiscali (che danneggiano tutti noi).
Non è prendendo a modello la società oppressiva descritta da George Orwell in 1984 (o l’applicazione che ne fecero gli Stati comunisti) che miglioreremo le nostre condizioni di vita. L’etica è una cosa; lo Stato etico è l’esatto opposto.