TRENTA SECONDI DI DELIRIO. LA VITA RIDOTTA A UNO SPOT – di Alessia Affinito

di Alessia Affinito

 

Un primo piano, un uomo seduto su unfollia letto parla di scelte fatte nel suo passato. Dice senza esitazioni che la vita è, appunto, questione di scelte e comincia un elenco che si interrompe solo quando accenna ad una malattia terminale, ad un inferno da vivere, ad una famiglia coinvolta. Chiede al governo di essere ascoltato. Due righe informano di un 67% di italiani favorevole all’eutanasia mentre compare un numero per chiederne la legalizzazione. Sono i trenta secondi mandati in onda all’interno di una trasmissione di Raitre lo scorso 17 dicembre, e se non si trattasse di un messaggio politico meriterebbe un’analisi quanto meno come strategia di comunicazione.

Il primo aspetto degno di nota è la premessa: la vita è questione di scelte. E quel che non si sceglie non può essere subìto. Poco importa che la realtà si incarichi pressoché quotidianamente di smentire tale postulato: siamo nel regno dell’assurdo, dove qualsiasi sciocchezza è lecita se solo riesci ad imporla con una qualche autorità. Che viene, ad esempio, dal passare in tv. E’ sufficiente un’elementare empirìa per obiettare che quel che si sceglie nella vita è ben poco. Non si sceglie di venire al mondo, prima di tutto. Non si sceglie in quale contesto nascere, né dove, non si sceglie da chi essere generati né chi accompagnerà una prima, decisiva parte dell’esistenza. Spesso non si sceglie neppure il resto dell’elenco: quale lavoro, quale famiglia, quali esperienze fare. Quella della scelta è categoria assai fragile, da usare con la massima cautela, sempre compromesso tra aspirazione e destino, sempre un negoziare tra ideale e reale, mai affermazione assoluta del proprio io. Come gli esseri umani, determinati da relazioni, da un contesto, da una storia, sanno.

Presentare un uomo – la cui gelida solitudine è in minima parte stemperata da una figura che siede in silenzio alle sue spalle – come colui che “sceglie” quando andarsene e in maniera libera, consapevole, virile, è solo l’ultima delle menzogne alle quali ci hanno abituato da tempo i Radicali italiani, che hanno tradotto e diffuso il video. Lo schema è semplice: un messaggio breve, perché sia efficace. La vita umana ridotta a spot, come se l’argomento in questione fosse uno shampoo o un’acqua minerale. Zero argomentazione, zero repliche, zero riflessione. Pensare danneggerebbe la causa. Un uomo che decide autonomamente dimostra di esercitare così il suo arbitrio, chiedendo di morire. Non c’è da temere per lui, non sono gli altri ad imporgli qualcosa. La sua decisione è presa, manca solo che lo Stato dia al suo gesto il bollo della legalità.

Non è chiaro a questo punto quale ruolo debba avere uno Stato quando si è perfettamente in grado di volere qualcosa, capaci di realizzarlo e coscienti di ciò. Se si prende una decisione autonomamente, autonomamente si dovrebbe anche portarla a compimento. Ma lo spot vuole dire altro. Sono sufficienti trenta secondi per suggerire la più agghiacciante concezione del potere pubblico mai esplicitamente teorizzata dal nazismo in avanti, insieme ad una ancor più agghiacciante visione dell’uomo. L’esistenza come un accumulo più o meno ampio di esperienze: da scegliere, da provare, da ricordare. Poi una malattia o qualcos’altro non lo consente più, e andare avanti non vale la pena. Una concezione avvilente, patetica, dogmaticamente astratta, che non tiene conto della complessità dello stare al mondo. Tutto è semplificato, banalizzato, proprio come in un spot. Come se l’esistere fosse solo poter scegliere, poter decidere, potere qualcosa…un attivismo senza soste, un titanismo ininterrotto, e non anche sconfitta, incertezza, attesa.

Un’umanità degradata non rivendica più oggi un diritto a vivere ma uno a morire, considera l’esistenza come fatica da cui liberarsi al più presto se vengono meno certe condizioni, il che equivale ad affermare che un diritto a vivere c’è fintantoché si corrisponde ad uno standard, se sono rispettati alcuni criteri di efficienza, altrimenti tanto vale togliersi di mezzo. Oltre il darwinismo sociale alla Spencer, oltre il mondo nuovo di Huxley. Eccolo il messaggio autentico, la vita umana è un fascio scintillante di scelte e di esperienze, che taglia fuori il lato d’ombra intrinseco ad ogni esistere, e quando questo si manifesta – come malattia, come debolezza – meglio finirla lì.

Quale messaggio per chi lotta ogni giorno contro una malattia, per chi cerca di trovare un senso alle proprie sofferenze e di non restarne schiacciato. Quale disprezzo per ogni vita che non sia integralmente perfetta, vitalmente gagliarda. Quale rozzezza nel collocare l’uomo sullo stesso piano di un arnese che può solo finire nel cestino quando non funziona più. Quale micidiale minaccia per la famiglia umana, per chi un giorno potrebbe non rispondere a determinati canoni, per i deboli, i fragili, per chi “non sta al passo”. E’ inutile andare avanti, fatica sprecata. Da qui ad un più sbrigativo invito ad andarsene quando le cose si mettono male il passo è breve, ma a questo lo spot naturalmente non accenna.

L’obiettivo è ben più ambizioso, uno Stato che rinunci ad ogni criterio di giudizio per concedere ciò che un giorno si dovesse reclamare a gran voce. Voce che nel caso in questione è un sondaggio, ovvero quanto di più effimero si trovi in circolazione, in questo ricalcando la degenerazione più greve di un populismo in altre occasioni prontamente vituperato. Basterebbe un po’ di storia per sapere che senza un criterio di verità il potere è solo supremazia fine a se stessa, strumento di coloro che pro tempore possono decidere per tutti. E basterebbe un po’ di buon senso per capire che non sempre uno Stato deve intervenire. Vi sono atti che la legge può consentire senza per questo mettere in crisi princìpi fondamentali di una democrazia. E ve ne sono altri che presuppongono una posizione nei confronti di valori fondanti, cosicché a seconda che siano vietati o consentiti rimandano ad una differente concezione dell’individuo e della vita umana. Consentire per legge la violazione o l’interruzione di questa – al principio o al suo termine – significa disconoscerne la preminenza, e perciò il valore. Premessa di ogni inferno conosciuto dalla storia.

E’ comprensibile che in un periodo di profonda crisi, morale ed economica, vi sia chi tenti di rovesciare anche i più elementari criteri del senso comune. Meno comprensibile è venga preso sul serio.

 

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