Ucraina, Kosovo, Metochia… La persecuzione dei cristiani di cui nessuno parla

Sabato 27 settembre si è tenuto a Bologna il primo convegno italiano dedicato alla persecuzione delle Chiese ortodosse in Europa. Il tema della giornata, del tutto assente sui mezzi di comunicazione, è di vitale importanza per chiunque, credente e non credente, abbia cuore la libertà. E, come ha sottolineato il responsabile di Ricognizioni nella sua relazione, non riguarda solo il mondo ortodosso o, più genericamente, l’est europeo, ma tocca da vicino anche il mondo occidentale, per nulla estraneo a quanto sta accadendo. Qui riportiamo la relazione di Dragana Trifković, direttore generale del Centro per gli Studi Geostrategici.

Dai bombardamenti della NATO a oggi, la persistente persecuzione della Chiesa ortodossa serba in Kosovo e Metochia.
di Dragana Trifković

Dal bombardamento della Serbia da parte della NATO nel 1999, il territorio della provincia meridionale serba del Kosovo e Metochia è sotto il controllo delle forze internazionali delle Nazioni Unite (UNMIK) e della NATO (KFOR). I compiti principali di queste forze internazionali, per i quali hanno ricevuto mandato, sono il mantenimento della pace e dell’ordine pubblico, la protezione della popolazione civile, nonché la tutela dei diritti umani e delle libertà fondamentali.

Tuttavia, da quando le Nazioni Unite e la NATO hanno assunto il controllo del territorio, non è stata garantita la pace in Kosovo e Metochia, né è stata attuata con impegno la Risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Questo ha incoraggiato i separatisti albanesi a intraprendere azioni violente e illegali.

Situazione continua dal 1999: fatti principali – Dal 1999, la situazione in Kosovo e Metochia è caratterizzata dai seguenti fatti:

Circa 250.000 serbi sono stati espulsi dal Kosovo e Metochia, e fino a oggi non si sono creati i presupposti per il loro ritorno.

Il rispetto dei diritti umani e la situazione generale della sicurezza in Kosovo e Metochia sono estremamente critici, segnati da frequenti atti di terrorismo, violenze fisiche, omicidi su base etnica, una drammatica espansione della criminalità organizzata, rapine, usurpazione e distruzione di proprietà privata, restrizioni alla libertà di movimento, eccetera.

I diritti religiosi della popolazione serba rimasta sono particolarmente minacciati, come dimostrano le persecuzioni e gli attacchi contro il clero e i fedeli della Chiesa ortodossa serba, gli assalti a chiese, monasteri e cimiteri ortodossi, nonché la confisca e l’appropriazione illegale dei beni ecclesiastici.

In Kosovo e Metochia si trovano circa 1.300 chiese e monasteri ortodossi serbi, oltre a circa 700 resti ecclesiastici. Molti di questi edifici sacri furono costruiti tra il XIII e il XVII secolo. I monasteri e le chiese del Kosovo e Metochia rappresentano il patrimonio culturale più minacciato d’Europa.

Dall’arrivo delle forze internazionali in Kosovo e Metochia – Dall’arrivo delle forze internazionali in Kosovo e Metochia, sotto la supervisione di UNMIK e KFOR, circa 150 chiese, monasteri e cimiteri serbi sono stati distrutti. L’esempio più drammatico si è verificato il 17 e 18 marzo 2004, quando estremisti albanesi hanno organizzato un pogrom contro la popolazione serba, durante il quale sono stati distrutti trenta chiese e monasteri ortodossi serbi e circa mille abitazioni serbe. Mentre gli estremisti albanesi perpetravano violenze organizzate contro i serbi e le loro proprietà, le forze del KFOR osservavano passivamente; alcuni membri si sono persino fotografati davanti agli edifici in fiamme.

Oltre alla distruzione fisica, le chiese e i monasteri serbi in Kosovo e Metochia sono oggetto di falsificazioni storiche, con l’obiettivo di rimuoverli dal patrimonio culturale serbo e reinterpretarli come dardanici, illirici, cattolici romani o albanesi, con l’intento finale di assimilarli al patrimonio culturale albanese. Attraverso la manipolazione storica e la propaganda, gli albanesi cercano di convincere l’Europa e il mondo intero di essere un popolo autoctono che avrebbe vissuto su questi territori per secoli.

A titolo di esempio, per quanto riguarda il Patriarcato di Peć, che per secoli è stato il centro della Chiesa ortodossa serba e che è stato inserito nella lista del patrimonio culturale serbo dell’UNESCO, gli albanesi sostengono che si tratti di una chiesa ortodossa albanese. La Chiesa della Vergine di Ljeviša, fondazione del re serbo Milutin Nemanjić del XIV secolo, viene descritta come “la più antica chiesa albanese della regione”. Il Monastero di Gračanica, anch’esso fondazione del re Milutin, è stato rinominato dagli albanesi come “Chiesa di Ulpiana”. Storici kosovari affermano che si tratti di una fondazione della dinastia albanese Nimani. Per quanto riguarda la fondazione di Stefan Dečanski Nemanjić, figlio di Milutin — il Monastero di Dečani — si sostiene che sia stato costruito dalla tribù locale Gashi. I Santi Arcangeli presso Prizren, fondazione dell’imperatore Dušan del XIV secolo, vengono presentati nelle pubblicazioni albanesi come “rovine di un monastero albanese”.

Questi sono solo alcuni esempi di grossolana falsificazione storica che in Kosovo e Metochia ha raggiunto proporzioni di massa. È importante sottolineare che le chiese e i monasteri serbi ora rivendicati come parte del patrimonio culturale albanese sono stati attaccati, incendiati o distrutti durante il pogrom di marzo. Sorge quindi una domanda logica: perché gli albanesi avrebbero distrutto questi edifici sacri se davvero li considerano parte della loro eredità?

I cimiteri serbi come obiettivo degli attacchi in Kosovo e Metochia – Anche i numerosi cimiteri serbi in Kosovo e Metochia sono stati oggetto di attacchi. Riporto solo un esempio: le autorità di Priština hanno utilizzato escavatori per dissotterrare un antico cimitero serbo nei pressi della Chiesa di San Demetrio a Kosovska Mitrovica nord, dove i defunti venivano sepolti dalla fine del XIX secolo fino agli anni Sessanta del secolo scorso. Durante l’operazione sono emerse ossa umane.

La comunità internazionale tace su questi fatti, che non vengono menzionati né nelle istituzioni internazionali né nei media. Al contrario, si promuove la falsa narrazione di un presunto sviluppo democratico in Kosovo, privo di qualsiasi fondamento. Persino i difensori dei diritti umani evitano di sostenere il ritorno dei 250.000 serbi espulsi da Kosovo e Metochia, poiché ciò metterebbe in luce la pulizia etnica avvenuta dopo il 1999, quando il controllo del territorio è passato alle forze internazionali.

La missione internazionale (KFOR, UNMIK, EULEX) ha formalmente il compito di garantire il ritorno dei rifugiati serbi, ma nella pratica si dimostra passiva. La maggior parte dei media occidentali evita questo tema perché non si adatta alla narrazione della “missione di successo della NATO”, mentre il ritorno dei serbi non è considerato “politicamente desiderabile”.

La distruzione delle chiese e dei monasteri serbi in Kosovo e Metochia – La distruzione delle chiese e dei monasteri serbi in Kosovo e Metochia è un tema di cui non si parla, poiché confermerebbe ulteriormente il fallimento della missione delle forze internazionali. La distruzione dei luoghi sacri non è solo un atto di vandalismo, ma anche uno strumento di pressione psicologica sui serbi — affinché si sentano insicuri e indesiderati. Le autorità politiche di Priština non condannano gli attacchi, oppure li relativizzano. Gli attacchi raramente vengono indagati fino in fondo. Nel migliore dei casi, l’autore viene arrestato, ma le pene vengono ridotte al minimo o non vengono affatto applicate. Questo invia un messaggio chiaro: tali atti rimangono impuniti. L’impunità incoraggia nuovi attacchi, poiché gli aggressori sanno che non subiranno conseguenze.

I luoghi sacri della Chiesa ortodossa serba rappresentano il simbolo della presenza secolare dei serbi in Kosovo e Metochia. Per una parte radicale della comunità albanese, essi sono un promemoria che il Kosovo non è una “terra albanese”. Per questo motivo diventano bersaglio di distruzione — come tentativo di cancellare l’identità serba. È necessario lanciare un appello alle istituzioni internazionali, alla comunità internazionale e in particolare ai difensori dei diritti umani affinché smettano di ignorare questi fatti e si assumano la responsabilità per ciò che sta accadendo.

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