UGO DI SAN VITTORE E LA DIGNITA’ DELL’ABITO MONASTICO – di Don Marcello Stanzione

di Don Marcello Stanzione

 

 

Ugo nasce ad Harthingham, Sassonia, nel 1096 e muore a Parigi nel 1141. Tra il 1115 e il 1120 entra nell’abbazia parigina di S. Vittore. Grande  maestro e uomo di profonda spiritualità, promuove la formazione intellettuale e il fervore religioso tra i suoi discepoli. Vive dedito allo studio, all’orazione e all’insegnamento. Le sue opere principali sono : il  Didascalion di carattere pedagogico in cui insegna l’arte di studiare, espone la struttura del sapere e l’importanza delle discipline profane per intraprendere la vita che conduce alla sapienza; il De sacramentis christianae fidei, vera somma teologica imperniata sulle opere della creazione e della redenzione di cui Cristo è il centro; il suo diffuso commento In hierarchiam celeste D. Dionigi Aeropagitae e opere più strettamente mistiche.

ugo svUgo distingue tre gradi del sapere : il primo, comprende la filosofia e l’insieme delle arti e delle scienze; il secondo, il senso storico della Scrittura, la storia della Chiesa e la storia profana in rapporto a essa ; il terzo, la divinitas o teologia che trova il suo adempimento nella mistica. Ugo s’interessa ai temi dogmatici e mistici. Studia Dio, la creazione, l’incarnazione e la mediazione di Cristo, i suoi sacramenti, la Chiesa. Il suo pensiero è caratterizzato dal simbolismo che percepisce nel mondo sensibile. Attraverso i simboli sensibili del mondo, della Scrittura, dei sacramenti divini, l’uomo deve giungere alle realtà invisibili. Egli dà al termine sacramentum un significato ampio: indica le realtà sante e misteriose che hanno funzione di segno e sono date fin dall’inizio per la restaurazione dell’uomo. L’incarnazione è l’evento centrale della storia e Cristo l’unico mediatore che dà senso ed efficacia a ogni altra mediazione. Ugo non dà una dottrina precisa sui sacramenti di Cristo, ma insiste sulla necessità dell’intenzione del ministro e chiarisce la nozione di efficacia sacramentale.

Anche la Chiesa è sacramento di Cristo, l’arca che Cristo ha creato per la salvezza dell’umanità. Il tempo della Chiesa è tempo di crescita finché Dio sia tutto in tutti. Il cristiano per giungere a Dio deve progredire nella purificazione dell’uomo interiore che conduce al vero amore di sé e di Dio. La contemplazione di Dio rimane tuttavia riservata all’altra vita. Ugo, chiamato il “secondo Agostino”, integra tutte le forme del sapere nell’ascesa dell’uomo a Dio e il suo influsso, tramite Pietro Lombardo e Tommaso d’Aquino, s’inserisce nello sviluppo della teologia occidentale. Nelle regole dei novizi che Ugo viene esponendo nella Mystica e nella Epositio in Reg. Sancti Augustini , offre ai suoi lettori suggerimenti che prescrivono una grande semplicità che non esclude, anzi ha in sé peculiarmente il rispetto della propria dignità di chierici al servizio di Dio. Il modus, la regula che egli con tanto fervore raccomanda nella contemplazione, nell’estasi, tornano puntualmente nella prescrizione per le vesti monastiche, che non devono essere né troppo preziose, né appariscenti, ma neppure disadorne o goffe; non più ornate di quanto sia necessario, né più disadorne di quanto sia lecito…quanto è superfluo è ragione di morte spirituale; ed i religiosi debbono ricordare che è più valevole per la propria salvezza essere poveri in Cristo.

didasI chierici non devono indossare vesti morbide e delicate, poiché il vero ornamento del chierico è la purezza della morte, e con lei la castità, l’umiltà, la mansuetudine, l’obbedienza , la pazienza, la carità. Questi sono gli indumenti per mezzo dei quali può piacere all’imperatore celeste; lo sposo invisibile ti chiede la bellezza interiore, non quella esteriore. L’attenzione di Ugo all’abbigliamento dei monaci è riferibile all’attenzione con la quale egli guardò alla bellezza delle opere umane, ad esempio alla tessitura della lana, ma soprattutto è rapportabile all’unità fondamentale del corpo e di spirito, per cui come si è visto anche le cose esteriori vengono spiritualizzate, considerate espressioni di un contenuto spirituale. Anche all’uso delle vesti sacre dà un singolare rilievo; è doveroso conoscere la ragione per la quale i sacerdoti appaiono abbigliati in una particolare maniera, infatti le loro vesti sono simboli di quale deve essere il loro stato interiore; il rito delle vesti sacre è desunto in parte dal vecchio ed in parte del Nuovo Testamento. Ugo si sofferma sulla tunica di bisso, intessuta anche in lino, in modo da essere perfettamente adattata alla membra del corpo, a dimostrare che nulla nella vita sacerdotale deve esservi di superfluo o dissoluto. Il bisso ed il lino, in natura non candidi, ma ridotti a bianchezza con varie tecniche, stanno a dimostrare la candidezza che il sacerdote può acquistare, castigando il suo corpo. Una seconda tunica, detta giacintina, poiché imita il colore del cielo sereno, viene indossata soltanto dal pontefice, il cui compito è di spaziare con la mente nel cielo più che nelle cose terrene; essa esprime simbolicamente la purezza del cuore. L’ultimo indumento che indossa il sacerdote è la pianeta, o casula, che simboleggia la carità; senza di essa infatti, nulla varrebbe la munditia, la giustizia e la pazienza, che sono esemplificate dagli altri indumenti, poiché non vale usare la lingua degli uomini e degli angeli, se non si possiede la carità.

Per Ugo di San Vittore coloro che assunsero il nome e l’abito di religiosi, e furono consacrati ai santi altari di Cristo ed ordinati ai divini misteri, volentes Domino iugitur inhaere, devono avere per modello gli angeli, che sono ministri della volontà di Dio.

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