UN MAGNIFICO REGALO DI NATALE: LE RIFLESSIONI DI PADRE SANTINO CAVACIUTI SUI VANGELI FESTIVI – di Piero Vassallo

di Piero Vassallo


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Interrogato da Paolo VI, padre Cornelio Fabro dimostrò che la conoscenza della volubilità e della fragilità circolanti nelle filosofie moderne avrebbe fugato le illusioni e gli infondati entusiasmi del clero postconciliare, in quegli anni rapito dagli squillanti proclami lanciati dalle tribune rivoluzionarie  e attirato nei labirintici percorsi tracciati dalla teologia conformista.

L’autorevole opinione di Fabro è ora confermata dagli ispirati commenti ai Vangeli domenicali, scritti di Bernardino De Longhi (pseudonimo dell’insigne filosofo padre Santino Cavaciuti)  e pubblicati in un unico volume, messo in vendita dalla veronese Fede & Cultura al prezzo di euro 15.

Studioso e interprete geniale del pensiero di  François Maine de Biran, Antonio Rosmini e Michele Federico Sciacca, autori che contrastarono efficacemente l’errore illuministico e il delirio neopagano, padre Cavaciuti possiede la chiave d’uscita dalla gabbia delle teologie inquinate dai filosofemi gridati dai pulpiti del totalitarismo.

Un’uscita, quella conquistata da padre Cavaciuti, che indirizza alle perenni  e sempre contemporanee verità del Vangelo e ultimamente avvia alla comprensione delle opportune riflessioni di Benedetto XVI sulla corretta lettura del Concilio Vaticano II.

Per moderare gli appetiti dell’onnivora e orizzontale bontà, che è predicata dai teologi modernizzanti, padre Cavaciuti rammenta che il mondo è creato per la gloria di Dio, dunque che la Carità trascende la generica bontà:  “superare l’egoismo è già tanto ma non è ancora tutto: il nostro amore, la nostra carità si completa quando si incontra con l’amore di Dio: quell’amore che ha la sua espressione suprema in Cristo Gesù”.

Di seguito, commentando il Vangelo che narra l’incontro di Gesù con San Pietro, padre Cavaciuti rammenta la indeclinabile gerarchia dei doveri cristiani: “Gesù ci domanda le opere di misericordia corporale, poi ci domanda di aver fiducia in Lui, di fidarci della sua parola. … La vita cristiana , la fede cristiana, è una vita di fiducia in Gesù”.

La bontà senza la fede che si abbandona in Gesù Cristo è un fuoco fatuo e una mostruosa chimera. Con il pregiudizio ateista, infatti, avanza, non avvistata dai predicatori cattolici, storditi e infatuati dalle scientifiche profezie dei media, la trimurti dell’ateismo: bontà esibita, piacere idolatrato e morte procurata.

Contro la lezione della storia, che insegna la difficoltà di capire il presente, il pensiero di numerosi cattolici è paralizzato dalle profezie, che annunciano spaventose catastrofi demografiche e rovine ecologiche, ove ci si ostini ad affermare la sacralità della vita umana e i limiti al piacere.

Nelle comunità progressiste, dove la fede in Gesù è sostituita dalla fede nell’umanità o alterata dalla doppia morale, la misericordia si riduce, infatti, a delizia partecipata agli adatti e in patibolo per i nascituri e i malati terminali, giudicati inadatti al godimento.

D’altra parte, la teologia che dimentica l’intransigente fede in Gesù per esaltare le nude e supreme opere della misericordia laica, propone una verità dimezzata e disarmata, che scivola nella predica buonista e nella banalità rumoreggiante sopra la noia dei fedeli.

Padre Cavaciuti rammenta invece che “non è il pauperismo che costituisce il valore della povertà evangelica, ma il senso della non assolutezza dei valori temporali, perché il vero valore è al di là di essi: come dice Gesù Cristo, il vero valore è il Regno dei Cieli, è Dio”.

I teologi intesi a parificare Antico e Nuovo Testamento, padre Cavaciuti rammenta che “la parola di Gesù è la parola di Dio ben più di tutto il resto della Sacra Scrittura. In Gesù, nella parola di Gesù, trova il suo compimento e la sua vera interpretazione tutto l’Antico Testamento. Mosé ed Elia hanno parlato con Gesù affidando a Lui tutto quello che essi hanno detto e operato; in Gesù sarà dato trovare il senso dell’intera rivelazione”. Gesù è il fratello maggiore dei profeti e non viceversa, dunque la verità ultima abita nella Chiesa cattolica e non nella Sinagoga.

Dolorosa ma invincibile sorge infine la tentazione di paragonare le medicinali riflessioni di padre Cavaciuti alle prediche fumose, parolame che distruba i fedeli rovesciando nelle loro orecchie i fonemi del vocabolario avventizio e surreale, che altera la tradizione e sconcerta il senso comune.

Il cabaret involontario declina le verità ricevute dal cabaret propriamente detto. L’ex virtù d’obbedienza, quando non è squalificata giusta la sentenza di don Lorenzo Milani, si trasforma in vaga responsabilità, il consumismo diventa l’unico e sommo peccato, la misericordia si riduce al trasformismo in corsa incontrollata nell’espressione farsi altro [alienarsi], l’errore si invera nell’abbraccio ecumenico, le screditate favole di Darwin sono incensate, la confusa protesta dei giovani è ritenuta veggente, Maometto è definito cristiano implicito, i suicidi corrono incontro al Signore, il tabagismo è un vizio deplorevole al pari della sodomia, l’inferno è vuoto, sono cristiani tutti gli uomini compresi quelli che perseguitano e ammazzano i cristiani.

Chi passa in rassegna le stranezze diffuse dai pulpiti modernizzati può apprezzare la profondità e la serietà dei pensieri che scorrono dietro la prosa semplice e chiara di padre Cavaciuti.

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